Cittadinanza terrestre: tra ecologia ed ecopsicologia


Al termine della fantastica avventura cominciata nel XV secolo, il grido di Colombo acquista un significato planetario: Terra! Terra! Un grido con il quale viene rivendicata l’appartenenza dell’uomo alla Terra che diventa la patria dell’Umanità.

Ecco allora che diventiamo tutti cittadini del mondo, a cominciare dalla Terra vista e sentita come casa planetaria, una casa che va abitata con responsabilità ecologica: rispettosa delle differenze, aperta all’incontro e al dialogo, attenta a costruire una comune identità terrestre.

Nel corso della storia fino ai giorni nostri, attraverso la mondializzazione siamo entrati in quell’era planetaria in cui, per evitare il disastro ecologico, è necessario promuovere un “nuovo orizzonte di cittadinanza”.

Una cittadinanza contrassegnata dalla solidarietà e dalla fraternità, dalla responsabilità, dal paradigma dell’ecologia e da quello del dialogo. Identità di cittadinanza  che risulta essere partecipata, attiva, responsabile e pur rispettosa di differenze, alterità, minoranze, e che è forma socio-politica ancora in fieri e sempre da presidiare.

Per raggiungere questi scopi è necessario elaborare un paradigma alternativo al sistema di valori fondato sull’ossessione della crescita economica illimitata: è utile e fondamentale un sistema di valori quale quello proposto dall’Ecologia e dall’Eco-psicologia:  due discipline, che hanno finora lavorato una sull’Ecosistema e l’altra sugli aspetti mentali.

Una collaborazione che nasce per il raggiungimento dell’obiettivo di garantire un futuro che possa evitare gravi eventi traumatici per la Terra e quindi anche per la specie umana. Nata dall’incontro tra la psicologia e l’ecologia, l’ecopsicologia permette di riconsiderare la propria identità in termini più vasti a partire dal dialogo con gli aspetti più profondi di sé stessi e con il mondo naturale.

L’inconscio ecologico riconosce la stretta interconnessione dell’umanità con la Terra: il desiderio di impegno attivo nei confronti dell’ecosistema naturale sorge spontaneo, frutto del senso di compartecipazione.

I precursori dell’ecopsicologia – disciplina nata dall’incontro tra ecologia e psicologia per affrontare e risolvere “insieme” i problemi, le esigenze e le aspirazioni dell’uomo e dell’ambiente – sono l’ecologia, la psicologia e la psicologia ambientale. Fondata nel 1989 da Theodore Roszak (1933-2011), che la concepì come la scienza della “riconnessione” tra uomo e ambiente, l’ecopsicologia si prospetta come la “dolce medicina” capace di “curare” l’alienazione uomo-natura intervenendo con proposte etiche, formative, educative affinché questo ricongiungimento si possa realizzare a beneficio di entrambi su diversi livelli.

Da Ego a Eco

Secondo l’ecopsicologia l’inquinamento dell’ecosistema ha procurato una crisi ecologica e ambientale, che a sua volta ha determinato anche una crisi esistenziale. Si tratta dunque di una crisi etica, antropologica e culturale prima ancora che ecologica; perciò non è possibile affrontare i problemi ambientali senza indagare anche le determinanti psicologiche. Uno degli ambiti di applicazione dell’ecopsicologia è l’educazione ambientale (EA), in cui confluiscono contenuti, saperi e competenze legate sia all’area umanistica che si occupa di educazione sia all’area scientifica che si occupa di ambiente ed ecologia. Recentemente è stato proposto di sostituire il termine educazione ambientale (EA) con quello di educazione allo sviluppo sostenibile (ESS), poiché inserendo il concetto di sostenibilità parallelamente si farebbe riferimento al fattore ambientale, economico e sociale della comunità globale.

Un percorso di educazione ambientale ecopsicologicamente orientato coinvolge l’individuo sul piano fisico-sensoriale (corpo), cognitivo (mente), emotivo-affettivo (cuore) e spirituale (anima), e coltiva questi campi della natura umana promuovendo relazioni ecologiche con se stessi, con gli altri e col mondo fondate su attenzione, ascolto, rispetto, presenza, empatia, dialogo e sinergia.

Infatti la volontà dell’uomo planetario è regolata non dalla chiusura (in sé, nella propria cultura, identità, tradizione, etc.) bensì dall’apertura: dal guardare al mondo e alla sua varietà come risorsa e come occasione (di crescita, di sviluppo). All’etica dell’incontro ci si forma sì nella “società aperta” (e aperta in quanto pluralistica), ma se e solo se si assume in essa la diversità come valore, poiché ci si incontra sempre tra diversi e lo “spazio dell’incontro” è sempre uno spazio dialettico: carico di tensioni; da rilanciare costantemente; da coltivare con coscienza critica.

La maggior parte dei percorsi di educazione ambientale si rivolge quasi esclusivamente alle scuole di ogni ordine e grado, ma i trattati nazionali e internazionali più rilevanti in materia parlano chiaramente di educazione permanente e di life long learning, quindi di un’educazione ambientale che dovrebbe interessare e coinvolgere tutte le fasce di età e tutti i contesti culturali, formativi, ricreativi della società.

L’ecopsicologia, infatti, opera in campo educativo non tanto per “dare” qualcosa ai bambini, ai ragazzi, agli adulti quanto per “aiutarli” a ritrovare quel “legame” col mondo che essi hanno ancora potenzialmente vivo dentro di sé.

“Occorre varare un forte processo di riforma. É il momento di reagire, di impegnarsi a collegare i problemi, di contestualizzare i dati, di integrare la conoscenza delle parti con il tutto, secondo il metodo della complessità”(Edgar Morin).

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