Il Dirigente scolastico non si esprime “twittando”

di Patrizia Todaro

Mesi di studio, di seria preparazione; approfondimento, allenamento, formazione, corsi on line, libri, dispense, webinar, incontri in presenza, partecipazione a comunità di pratiche. Ambienti di apprendimento virtuali, reali, confronti, mutuo-aiuto, condivisione, speranze, progetti di vita.

Il MIUR fissa la data: il 29 maggio. Bene, si sperava un po’ più tardi ma va bene, ci adeguiamo e intensifichiamo lo studio. Il nostro bioritmo inizia a cambiare e, insieme ad esso, in alcuni casi, anche il nostro corpo. Qualcuno ingrassa, qualcun altro dimagrisce. Le case sempre più trascurate, più disordinate, invase dai libri; i mariti, le mogli, i genitori e i figli si accontentano di pochi ritagli di tempo, ma si resiste e si va avanti. La data si avvicina ma il MIUR comunica il rinvio: 23 luglio. Qualche ora di polemica, destabilizzazione: cambiano i programmi, si rinuncia alle vacanze, ci si riorganizza la vita e si continua a studiare. Terminano le attività didattiche, gli esami di Stato e negli ultimi giorni le ore di studio diventano preponderanti e si riduce al minimo il tempo per tutto il resto. Non importa, si resiste.

Dopo il 23 luglio pronostici, dubbi, ipotesi, congetture: quale sarà il punteggio minimo per superare la prova? Tutto trasparente, lineare, regolare, computerizzato, omogeneo? Non esattamente. Iniziano ad emergere alcune problematiche, i primi ricorsi, le prime polemiche, ma va bene, resistiamo e andiamo avanti.

Il gioco comincia a farsi duro, la prova scritta richiede un’approfondita preparazione su nove aree tematiche assai corpose, legate da un robusto e coerente fil rouge normativo e concettuale, in linea con le Direttive europee, con la nostra Costituzione e dall’animo progressista, innovativo, equo e inclusivo.

Ci appassioniamo, ci documentiamo, studiamo giorno e notte e riduciamo la nostra vita a pochi momenti in cui ci sentiamo anche un po’ alienati. Qualcuno non ha il tempo neppure per vedere il cielo, ma non importa. Resistiamo e ci sentiamo preparati ad affrontare qualsiasi argomento, a qualunque livello di complessità.

Crediamo nel nostro progetto di vita e crediamo di poter apportare autentica e consapevole innovazione al sistema scolastico, al quale abbiamo dedicato la vita. Abbiamo fiducia nei nostri ragazzi, li conosciamo e sappiamo quanto potenziale vi sia, soprattutto alla luce dell’evoluzione autonomistica e della recente legislazione scolastica, per offrire loro l’opportunità di affrontare il futuro, mutevole, complesso e incerto, con opportune strategie e competenze. Desideriamo poter essere artefici del loro successo e anche del nostro.

Arriva il fatidico giorno, il 18 ottobre, quando ci rechiamo, ciascuno presso la sede assegnata, a sostenere la famigerata prova scritta. Paura, timore, preoccupazione: è normale! Quanti esami abbiamo già sostenuto? Ridimensioniamo la paura e contiamo sulla nostra indiscutibile preparazione.

Di fronte a quel monitor ci rendiamo conto che le nove aree indicate nel bando, sono state bypassate ed i quesiti, pressoché monotematici, richiedono uno sterile elenco di azioni.

La leadership per l’apprendimento che sognavamo, ha dovuto fare un passo indietro, abbassare lo sguardo e lasciare spazio ad un anonimo burocrate che doveva banalmente elencare ciò che avrebbe operativamente posto in sequenza, a mo’ di algoritmo, in tale o tal altro specifico caso, cercando di scrivere quanto più velocemente possibile, senza “perdere tempo” per riflettere e tantomeno per argomentare.

Una prova in linea con un concetto di “fast” proprio quando si sta finalmente riscoprendo il valore dello “slow”, persino nei momenti socioculturali di consumo dei pasti e della produzione agricola (km zero, slow food, come tentativo di riconciliarsi con la natura e con l’ambiente e nel rispetto dell’ecosistema). Forse bisognerebbe ricondurre a sistema il concetto di rallentamento, perché come affermava già Rousseau: “Bisogna perdere tempo per guadagnarne”.

Smarrimento, delusione, frustrazione e magone per non aver potuto far sapere al MIUR chi c’era dietro quel monitor, quale eccezionale idea avesse dell’istituzione scolastica e come avrebbe voluto coniugare teoria (normativa preziosa e corposa) e prassi per poter dirigere una scuola di successo. Quali criteri docimologici e metodologici vi sono a fondamento di tale tipologia di prova?

Insomma, mesi di studio per prepararci ad attraversare la “route 66” a bordo di una Pick-up equipaggiata in maniera ottimale, per poi trovarci a comprimere il nostro considerevole bagaglio su una carretta dei Flinstones e a “twittare”, veloci come un battito di ciglia e alla maniera del più improvvisato e dilettante politico contemporaneo, proposizioni semplici attraverso un software che, tra l’altro, ad onta di ogni poderoso buon auspicio promosso dal Piano Nazionale Scuola Digitale, ricordava tanto il DOS degli anni ’80…

One thought on “Il Dirigente scolastico non si esprime “twittando”

  1. Mirco 10 Novembre 2018 at 8:11

    Ottimo articolo…leggendolo ho ripercorso il percorso ad ostacoli che molti di noi hanno intrapreso e che , purtroppo, non è ancora terminato.

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