I robot prenderanno il posto degli uomini? La domanda è sempre più ricorrente, mentre veniamo travolti da quella che viene definita Quarta rivoluzione. Si prevede che 75 milioni di lavoratori in tutto il mondo saranno sostituiti dalle macchine entro il 2022. Ciò che ci conforta è che questo accadrà nei processi produttivi e non in quelli decisionali e creativi. Ma non basta. Il fenomeno, secondo il World Economic Forum, genererà 133 milioni di nuovi posti di lavoro ed attività che oggi non esistono. Dobbiamo, quindi, essere preparati.
Cosa sono e dove si trovano i robot?
Il termine robot indica una macchina in grado di eseguire compiti in modo autonomo. Le sue tre parti principali corrispondono a quelle umane: il software è il cervello, il motore corrisponde ai muscoli e i sensori rappresentano gli organi di senso. Il computer elabora le informazioni fornite dai sensori per prendere decisioni e far muovere i motori. Oggi i robot hanno le forme più disparate, si trovano in ogni settore economico e ci aiutano in tante attività. E’ quindi importante capire come funzionano a partire dai primi anni della scuola e imparare a programmarli.
Smartphone, tablet, elettrodomestici intelligenti, smart toys, videogiochi. Tutti questi oggetti operano perché qualcuno li ha programmati e agiscono attraverso un codice che viene eseguito. Conoscere fin da piccoli questo meccanismo permette di capire come funziona il mondo.
Per i più piccoli ci sono le Bee bot e Cubetto, per i più grandicelli Dot e Mind, ma anche Ozobot eLego Mindstorm. Tutti hanno come minimo comun denominatore il coding, la programmazione.
Cosa cambia con la robotica educativa?
La robotica educativa è un approccio semplice e pratico al funzionamento dei robot, alla programmazione informatica e all’apprendimento delle STEM (materie scientifiche). Serve ad acquisire un metodo di ragionamento attraverso il learning by doing. Sperimentando gli studenti sviluppano il pensiero computazionale, l’attitudine all’analisi e al problem solving. La robotica educativa permette, inoltre, di far lavorare in gruppo docenti e alunni e di apprendere in modo divertente e creativo, migliorando la capacità di comunicazione, la cooperazione e il lavoro di gruppo.
L’idea nasce dal Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston e dalle idee rivoluzionarie di Seymour Papert con il Linguaggio LOGO e con Mitchel Resnick che realizzò i primi prototipi di Lego/Logo.
“I bambini adorano costruire oggetti. Così mi dissi: scegliamo un set di costruzioni e aggiungiamo tutto quello che serve per creare dei modelli cibernetici”. Così Seymour Papert spiega la sua idea di far gestire i computer ai bambini fornendogli strumenti facili da manipolare.
“I bambini dovranno essere in grado di costruire una tartaruga dotata di motori e sensori e avere il modo di scrivere programmi logo per guidarla”.. Il primo esperimento fu appunto una tartaruga meccanica programmabile tramite un’interfaccia, poi in tempi più recenti si riuscì a costruire computer più piccoli da inserire all’interno dei modelli stessi.
Che tipo di didattica?
L’apprendimento per scoperta cambia la modalità tradizionale di insegnamento perché l’alunno diventa soggetto attivo, continuamente sollecitato a risolvere problemi. Dà i comandi e verifica cosa accade. Se sbaglia, il robot si comporta in modo diverso da quanto atteso e l’errore diventa elemento di metacognizione. Dall’analisi e dalla correzione si impara a risolvere i problemi e nascono nuove idee. In questo processo, il docente assume il ruolo di mediatore, di guida.
Come avviene la #disseminazione?
La European Robotics Week (ERW) quest’anno si celebra dal 16 al 25 novembre. La settimana europea della robotica è nata nel 2011 dalla volontà di avvicinare la robotica ad un pubblico più ampio e di costruire la futura Robotic Society. Dopo 8 anni dalla prima Campagna di alfabetizzazione, la gamma di aree applicative è cresciuta come anche il bisogno di competenze scientifiche richieste dal mercato del lavoro. La call riguarda gli sponsor e gli espositori che si riuniranno ad Augsburg in Germania all’evento di apertura (16-18 novembre), ma richiama anche insegnanti e allievi di tutte le età impegnati in un dialogo sulle questioni sociali guidate dalla scienza (ad esempio fare lavori rischiosi o prendersi cura di persone non autosufficienti). Decine di migliaia di studenti di tutta Europa avranno la possibilità di interagire con i robot, integrando l’esperienza didattica con un percorso di apprendimento autonomo, esplorativo e auto-motivato.
Parola all’esperto
Robotica educativa: insegnare con i … piccolini
Innanzitutto… mi presento…
Ciao, sono Gianfranco De Giglio, insegno Tecnologia presso la scuola secondaria di primo grado “Michelangelo” di Bari; da un po’ di anni ormai mi occupo di Robotica educativa sia in orario curricolare che in occasione di progetti pomeridiani rivolti a bambini e ragazzi di vari ordini di scuola (dalla primaria alla secondaria di secondo grado) e svolgo attività di formazione rivolta a docenti di ogni ordine e grado su come applicare la robotica educativa nella didattica quotidiana; sono inoltre formatore docenti nei corsi per conduttori di Laboratorio di Robotica Educativa per la rete nazionale di robotica Robocup jr il cui presidente è Giovanni Marcianò con il quale sono coautore del libro di Testo edito da SEI “LABORATORIO DI CODING E ROBOTICA” nel quale sono illustrate attività curricolari di Tecnologia eseguite con la robotica o con il coding. Da un anno, inoltre, sono anche formatore Pearson-COMAU per il “patentino della robotica”.
Cosa è la Robotica Educativa?
Padre della robotica educativa è Seymour Papert con la sua teoria del Costruzionismo, che, partendo da quella del Costruttivismo di Piaget, introduce il concetto di artefatti cognitivi, ovvero oggetti e dispositivi che facilitano lo sviluppo di specifici apprendimenti, asserendo, appunto, che il processo di apprendimento, a prescindere dall’età, è un processo di costruzione di rappresentazioni più o meno corrette e funzionali del mondo con cui si interagisce. Quindi la robotica educativa non è solo “insegnare a programmare o a costruire un robot”, ma è “imparare con i robot”; non è una disciplina a parte, ma una metodologia didattica trasversale, multidisciplinare e interdisciplinare e quelli che ormai definisco da tempo “i piccolini”, ossia i robot, sono da considerarsi dei facilitatori, dei mediatori per l’apprendimento, per l’inclusione e per favorire lo sviluppo di tutte quelle competenze trasversali che non solo le Indicazioni Nazionali ci richiedono, ma la Vita, il mondo del lavoro, la cosiddetta “società liquida” di cui parla Bauman.
Ho detto prima, “non è una disciplina a parte” proprio per rispondere a una delle osservazioni che più frequentemente mi viene posta dagli insegnanti durante i miei corsi di formazione: “io però ho anche il mio programma da svolgere!”, “ho poco tempo”; ecco, premettendo che ormai l’idea dei programmi disciplinari è ormai obsoleta visto che si dovrebbe insegnare per competenze, ad ogni modo, affinchè si tratti di robotica educativa, è necessario che, come ho già detto, si utilizzino i robot come mediatori e facilitatori per l’apprendimento di argomenti che si intendono svolgere.
Quali Robot?
Spesso assisto a dibattiti o mi viene posta la domanda circa il miglior tipo di robottino da scegliere o da far acquistare alla scuola: la mia risposta è sempre “dipende”: dalla attività didattica che si intende effettuare, dal budget di spesa della scuola e così via.
Una distinzione tra i vari kit robotici (di cui in commercio vi sono ormai le più svariate tipologie) è possibile farla:
- Robot solo programmabili (ma già assemblati);
- Robot programmabili e assemblabili come per esempio i kit della Lego (dal WeDo 2.0 ai Mindstorm).
È chiaro che con la seconda tipologia vi è non solo la possibilità di rendere il robot più flessibile e adattabile all’attività didattica che si intende svolgere, ma anche dar più spazio alla creatività, all’immaginazione.
A chi è rivolta? Quali ordini di scuola?
Come si suol dire, “chi ben comincia è a metà dell’opera”, infatti si può, anzi si dovrebbe, incominciare già in tenera età dalla scuola dell’infanzia, con simpatici robot programmabili (ormai sul mercato ce ne sono svariate tipologie anche riguardo al prezzo) e proseguire via via nei vari ordini di scuola con kit robotici sempre più sofisticati. Non solo sarebbe auspicabile incominciare il prima possibile, ma ancor più importante è che ci sia una continuità tra i vari ordini di scuola! Si pensi poi che grazie al fatto che in un laboratorio di robotica educativa “sparisce” di fatto la cattedra come simbolo di un rapporto insegnante-alunni di una scuola da libro “Cuore” e l’insegnante diventa un “regista” che lancia l’input, pensa lo scenario, ma lascia che siano gli alunni a creare, scoprire, provare, sbagliare e riprovare stando però in mezzo a loro contribuendo così a creare anche un legame molto forte con loro aumentando così la motivazione, la passione e l’interesse per le attività scolastiche. Se poi ci sono attività extra quali la preparazione e la partecipazione a competizioni nazionali come quelle organizzate dalla rete Robocup jr, si vivono momenti indimenticabili sia per il docente che per gli alunni.
Concludo, ringraziando per l’attenzione e la pazienza chi ha letto queste righe che saranno sempre insufficienti per descrivere qualcosa di così pratico, vivo ed emozionale come la Robotica Educativa una “non disciplina” come l’ha definita l’ex ministro Maria Chiara Carrozza e mi piace per questo motivo definire #indisciplinati tutti quei docenti che la applicano con i loro alunni.
Gianfranco De Giglio
Mi chiamo Stefania Altieri e sono una docente di scuola primaria. Ho insegnato in tutti i gradi di scuola, dall’infanzia all’università. Mi sono specializzata nell’uso delle TIC nella didattica e nella documentazione digitale. Tengo corsi di formazione a livello nazionale sul coding e sulla robotica, sulle nuove metodologie didattiche e sulle piattaforme di condivisione. Sono ambasciatrice Scientix, comunità europea per gli educatori scientifici, e modero un gruppo tematico eTwinning sul coding e sul pensiero computazionale a livello europeo. Ho partecipato a seminari e convegni come relatrice e ho disseminato buone pratiche educative attraverso numerosi progetti eTwinning, premiati con quality label. Sono nel direttivo del movimento nazionale RosaDigitale e coordinatrice regionale dell’Emilia Romagna, per le pari opportunità in ambito tecnologico (e non solo). Credo fermamente nel ruolo dell’insegnante per la formazione delle nuove generazioni per un futuro migliore e responsabile.