Ispettori Miur

Ruolo dell’ispettore tecnico in merito a programmi scolastici, sussidi didattici e tecnologie educative

Quando si parla di ispettori scolastici subito ci ritorna alla mente l’immagine di burocrati occhialuti e critici alle dipendenze del MIUR, pronti al controllo e alla censura. L’ispettore tecnico può essere anche questo, ma in realtà è molto di più. È  una figura fondamentale nell’ordinamento scolastico, prevista già fin dalla Legge Daneo Credaro del 1911, a cui oltre al ruolo amministrativo e di controllo era affidata anche la funzione didattica, benché riferita a programmi scolastici ministeriali e prescrittivi.

Con i Decreti Delegati nasce un nuovo profilo di ispettore non più percepito come censore ma di sostegno e di aiuto alle scuole ed alla stessa amministrazione, in funzione della democratizzazione tanto auspicata negli anni 70.

All’art. 4 della  L. 417/1974, poi trasfuso nell’art. 397 del TU 297/94 si legge che gli ispettori “contribuiscono a promuovere e coordinare le attività di aggiornamento del personale direttivo e docente delle scuole di ogni ordine e grado; formulano proposte e pareri in merito ai programmi di insegnamento e di esame e al loro adeguamento, all’impiego dei sussidi didattici e delle tecnologie di apprendimento, nonché alle iniziative di sperimentazione di cui curano il coordinamento; possono essere sentiti dai consigli scolastici provinciali in relazione alla loro funzione; svolgono attività di assistenza tecnico-didattica a favore delle istituzioni scolastiche ed attendono alle ispezioni disposte dal Ministero della pubblica istruzione, dal sovrintendente scolastico regionale o dal provveditore agli studi; prestano la propria assistenza e collaborazione nelle attività di aggiornamento del personale direttivo e docente nell’ambito del circolo didattico, dell’istituto, del distretto, regionale e nazionale”.

Attualmente le modalità di esercizio della funzione ispettiva tecnica sono determinate, ai sensi del combinato disposto dell’Atto di indirizzo per l’esercizio della funzione ispettiva tecnica, il D.M. n. 60 del 23.07.2010, dell’art. 9 del D.P.C.M. n. 98 del 2014 e dell’art. 3, comma 2, del D.M. n. 753 del 2014.

Il nuovo Atto di indirizzo, emanato dal MIUR mediante il D.M. n. 1046 del 28 dicembre 2017, come specifica in sintesi la nota di trasmissione datata 11.04.2018, pur rafforzando il ruolo ispettivo nei processi di attuazione del Sistema Nazionale di Valutazione  “conferma la centralità della funzione ispettiva tecnica nell’azione di supporto all’attuazione dell’autonomia delle istituzioni scolastiche”. E non potrebbe essere altrimenti.

In un contesto sociale ed economico in continua evoluzione e cambiamento, in cui la scuola cessa di essere l’unica agenzia educativa ma deve tener conto ed integrarsi con tutte le altre agenzie educative extrascolastiche e con le esigenze del territorio, i saperi tradizionali perdono la loro valenza e funzione formativa. Infatti non basta più apprendere contenuti una volta per tutte, in quanto questi sono continuamente messi in discussione e superati da nuovi saperi, in un mondo in cui tecnologie e nuove scoperte rimpiazzano continuamente quelli già acquisiti.

Allora diventa necessario non più formare individui in base a programmi stabiliti e prescrittivi a cui tutti devono attenersi, ma operare una rivoluzione copernicana che metta al centro dell’azione educativa e didattica il singolo studente in grado di apprendere. Questa volta non più nozioni, ma la capacità di far fronte ai repentini cambiamenti imposti dal mondo moderno, la competenza di “imparare ad imparare”.

A tutto ciò bisogna aggiungere tutti i problemi ancora irrisolti  che gravitano attorno all’istituzione scolastica quali i temi dell’emergenza educativa, del bullismo, del cyberbullismo e della violenza, mentre appare sempre più pressante l’esigenza di riconoscimento e valorizzazione delle identità e dei ruoli professionali interni al sistema educativo e scolastico.

Per far fronte alla complessità individuale e sociale sopra delineata, a partire dagli anni ’90 la scuola si è organizzata diventando un sistema complesso ed autonomo in cui tutte le sue componenti lavorano in sinergia per realizzare il fine ultimo che è il successo formativo del singolo alunno.

Nuovi cambiamenti sono stati apportati negli ultimi anni, oltre che dall’Autonomia scolastica, dalla L. 10/2011 che ha avviato il Sistema Nazionale di Valutazione e dalla L. 107/2015 che insieme ai suoi Decreti attuativi ha introdotto nel sistema scuola snodi tematici ed operativi quali l’autonomia scolastica incentrata in modo particolare sull’innovazione digitale, sulla didattica laboratoriale e sull’alternanza scuola-lavoro. Ma ha posto l’attenzione anche all’organico dell’autonomia, al miglioramento e al merito, ad un nuovo profilo di Dirigente nonché alla formazione e all’aggiornamento professionale obbligatorio.

Riguardo ai programmi scolastici, non più fissi e prescrittivi, ma Indicazioni Nazionali in cui vengono delineati obiettivi generali e linee guida  da sviluppare in autonomia dalle singole istituzioni scolastiche, gli ispettori forniscono consulenze principalmente per quanto riguarda la loro attinenza alle scelte educative e didattiche contenute nel PTOF e in linea con gli obiettivi del Piano di Miglioramento e con la progettualità sempre in esso contenuti. Essi inoltre offrono consulenza alla costruzione dei curriculi e guidano all’innovazione didattica e tecnologica fornendo supporto e aggiornamento per l’acquisizione da parte di docenti e dirigenti di nuove competenze riguardanti l’uso di nuove tecnologie e sussidi didattici.

In tale contesto il corpo ispettivo è chiamato ad operare sull’ineludibile e vitale esigenza del miglioramento della qualità del sistema  formativo in un imprescindibile confronto europeo. Si tratta di funzioni e compiti di tutto rilievo dalle quali emerge il profilo di un professionista dotato prima di tutto di buona cultura, con ottime conoscenze e competenze psicopedagogiche, con una assoluta padronanza delle discipline  di insegnamento, della lingua inglese, dei sistemi europei e dei sistemi informatici.

Esso deve essere composto da soggetti altamente qualificati che orientano sul piano tecnico-scientifico le comunità scolastiche nel loro percorso di studi, di operatività e di ricerca, mettendo a disposizione le basi scientifiche dei processi di valutazione.

In una scuola costruita attorno alla persona del docente e dell’alunno, l’ispettore deve saper riformare producendo idee capaci di muovere e orientare chi  insegna o dirige nella scuola. A tal fine diventa fondamentale che esso abbia una solida esperienza di insegnamento alle spalle e che continui ad essere aperto a quei docenti che dimostrano preparazione scientifica e culturale.

Il buon ispettore, infine, non sostanzia il suo agire con il potere deterrente e nemmeno, in senso stretto, dirigente. Non ordina, ma sa persuadere, poiché insegnanti e dirigenti riconoscono la sua credibilità umana, culturale, professionale e scientifica.

La funzione ispettiva e il ruolo di collaborazione con gli uffici centrali, regionali e provinciali dell’Amministrazione scolastica

Prima del 1974 (dei cosiddetti decreti delegati) esistevano due distinte figure d’ispettore: l’ispettore scolastico e l’ispettore ministeriale. Il primo si occupava della scuola elementare e dirigeva un ufficio intermedio tra il provveditorato agli studi e le direzioni didattiche, per l’appunto denominato ispettorato, aveva compiti di vigilanza sulle scuole elementari ma anche di tipo amministrativo, per esempio nominava i supplenti. Il secondo si occupava dell’istruzione secondaria, svolgeva attività di consulenza per il ministero, comprese le ispezioni, e i ruoli erano assegnati per competenza disciplinare (materie letterarie, scientifiche, ecc.).

Con i decreti delegati l’ispettore scolastico e quello ministeriale confluirono nel nuovo ruolo degli ispettori tecnici. Furono definiti i compiti che possono ricondursi a tre grandi settori:

  • coordinamento dell’aggiornamento e della sperimentazione (promozione in materia di aggiornamento, sperimentazione, ecc.),
  • consulenza e assistenza tecnica alle scuole, agli organi centrali e periferici dell’amministrazione e
  • accertamento (realizzazione delle ispezioni disposte).

Sono questi i compiti tuttora previsti dal D. Lgs. 297/1994 che hanno sancito la duplice natura della funzione ispettiva tecnica: quella promozionale e quella di controllo.

L’accesso al ruolo ispettivo fu regolato per legge da un rigoroso concorso (tre prove scritte e una orale) al quale potevano accedere il personale direttivo della scuola o docenti con almeno 9 anni di servizio. Altri decreti cercarono di garantire un minimo assetto organizzativo nazionale con la creazione di organi collegiali ispettivi centrali e periferici i quali, però, non trovarono quasi mai una realizzazione pratica.

La funzione ispettiva si svolge in collaborazione con gli uffici centrali, regionali dell’amministrazione scolastica ed è diretta alla realizzazione delle finalità d’istruzione e di formazione affidate alle istituzioni scolastiche e educative. Essa è esercitata da ispettori tecnici che, più in particolare, svolgono i seguenti compiti:

  • elaborazione di progetti per attuare gli obiettivi indicati dal ministro in materia di politica scolastica;
  • consulenza in merito a programmi scolastici, sussidi didattici e tecnologie educative;
  • promozione delle attività di aggiornamento del personale direttivo e docente delle scuole di ogni ordine e grado;
  • assistenza tecnico-didattica, studio e ricerca, consulenza sui progetti di sperimentazione;
  • verifiche e ispezioni concernentispecifiche situazioni disposte dal ministro e dagli uffici dell’amministrazione scolastica.

Al termine di ogni anno scolastico, al corpo ispettivo dovrebbe essere richiesta dagli uffici scolastici regionali una relazione sull’andamento generale dell’attività scolastica e dei relativi servizi, strumento utile all’amministrazione scolastica per pensare e per proporre nuovi indirizzi politici riguardanti l’offerta educativa territoriale delle scuole.

Quali sono i nodi problematici della funzione ispettiva?

I dirigenti con funzioni tecniche sono dirigenti tout court o no? Quali sono i loro compiti? Come conciliare la dirigenza con le funzioni tecniche e con i compiti previsti dal D. Lgs. 297/1994? La struttura organizzativa del Servizio ispettivo ha ancora una sua validità? Come conciliare l’indipendenza e l’autonomia professionale connesse alla funzione ispettiva con la dipendenza gerarchica dai direttori regionali?

Tali interrogativi cui l’amministrazione centrale ha dato risposte del tutto provvisorie, nonché contraddittorie, sollecitano un ripensamento della funzione ispettiva, ma non solo questo. Ci sono ragioni di ordine e di rilievo più generale. L’autonomia delle scuole va inserita in un sistema che sia in grado di assicurare l’esercizio effettivo e non distorto di essa e un servizio ispettivo indipendente è, come del resto raccomandato dall’OCSE, una delle condizioni di tale sistema, tanto più che le scuole rischiano di essere alla mercé di due contrapposte tendenze.

Da un lato, vi è il pericolo di un nuovo centralismo, già insito nella normativa vigente e che, se realizzato appieno, trasformerebbe gli uffici scolastici regionali in una sorta di super provveditorati con poteri più estesi e pervasivi. Dall’altro, c’è il rischio che un malinteso federalismo porti a pesanti ingerenze localistiche nella vita delle scuole e determini profonde spaccature e ineguaglianze tra aree geografiche del Paese e nel suo tessuto sociale e culturale.

Se si parte dal presupposto che la funzione ispettiva tecnica sia uno tra gli elementi essenziali di un equilibrato sistema di governo dell’istruzione, che s’ispiri ai principi di libertà didattica, democrazia, pluralismo, sussidiarietà e federalismo, allora la questione del rilancio di tale funzione diviene centrale.

Il supporto tecnico-didattico alle scuole e le azioni di consulenza degli ispettori

La funzione ispettiva concorre alla realizzazione delle finalità di educazione e di formazione affidate alle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado. Essa è esercitata da dirigenti tecnici (ispettori) che sono collocati, a livello centrale, in posizione di dipendenza funzionale dal capo del Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione e, a livello periferico, dai dirigenti preposti agli uffici scolastici regionali (DPCM n.98/2014). Tra le aree di intervento all’interno delle quali gli ispettori operano figurano le azioni di supporto tecnico-didattico alle scuole e di studio, ricerca e consulenza sui progetti di sperimentazione all’amministrazione centrale. Di tali attività, il Ministro detta le modalità operative con apposito atto di indirizzo (DM n. 753/2014).

Per quanto riguarda il ruolo di assistenza tecnico-didattica alle scuole, gli ispettori riportano le novità in arrivo, chiarendone misure e procedure attuative. Contemporaneamente, essi  raccolgono esigenze ed aspirazioni locali che riportano all’Amministrazione centrale per le scelte di competenza. La  funzione di consulenza, particolarmente significativa perché derivante da contatti diretti e concreti con le scuole ispezionate, prevedeva in passato una differenza di ruolo tra gli Ispettori centrali e quelli periferici.

La legge 517/89 ha eliminato questa distinzione, ma l’Amministrazione continua ad assegnare parte degli ispettori in servizio ai propri uffici ministeriali ed altri agli uffici scolastici periferici. Attualmente, sono previsti 30 posti per tale funzione (ispettori consulenti), ma solo 21 vengono effettivamente utilizzati. De Grauwe (2007) parla, al riguardo,  di “funzione di collegamento” tra il vertice del sistema di istruzione (che detta norme e regole) e le istituzioni scolastiche (presso cui l’educazione si realizza).

Le relazioni annuali che molti Ispettorati pubblicano sull’educazione sono un esempio di tale ruolo finalizzato ad un proficuo adeguamento delle politiche scolastiche nell’ottica del miglioramento del sistema. Fra le attività di consulenza degli ispettori figurano la predisposizione delle prove scritte per gli esami di Stato, la vigilanza sullo svolgimento delle stesse, il supporto all’Amministrazione nella predisposizione della normativa scolastica, la messa a punto dei piani di studio per le scuole, l’individuazione di nuovi indirizzi, la conduzione di sperimentazioni nazionali.

E’ stato rilevato che la funzione ispettiva  di supporto alle scuole potrebbe essere in contrasto rispetto a quella di controllo e di valutazione che il corpo ispettivo esercita a livello istituzionale. La prima andrebbe ad intaccare il lato severo del venir valutati attraverso visite e controlli. C’è, tuttavia, chi oppone a tale rischio l’idea dell’ ispettore “amico critico” in funzione della crescita e dell’ incremento qualitativo del servizio educativo. La ricerca, lo studio e la sperimentazione, difatti, sono da sempre alla base dello sviluppo e dell’innovazione oltre che strumenti di efficacia ed efficienza operative.

Il sistema scolastico, che soddisfa le istanze socio-culturali ed economiche in continua evoluzione, fa leva su processi continui di riflessione e stimolo alla individuazione di procedure sempre più adeguate. In tale contesto si pone la funzione ispettiva affinché le istituzioni scolastiche possano mantenere i propri standard aggiornati ed elevati in funzione delle previste finalità educative il cui conseguimento mette alla prova le loro autonome capacità esecutive.

Dirigente ispettore

Il ruolo dell’ispettore tecnico nelle verifiche e ispezioni concernenti specifiche situazioni disposte dal Ministro e dagli uffici dell’Amministrazione scolastica

La funzione tecnico-ispettiva concorre – secondo l’Atto di Indirizzo emanato con D.M. n. 60 del 23 luglio 2010 e nel quadro delle norme sull’istruzione – alla realizzazione delle finalità di istruzione e di formazione affidate alle istituzioni scolastiche ed educative. Essa si svolge in collaborazione con gli uffici centrali, regionali e provinciali dell’Amministrazione scolastica ed è diretta alla realizzazione delle finalità di istruzione e di formazione affidate alle istituzioni scolastiche ed educative.

Il quadro normativo di riferimento, oltre al citato DM 60/2010, comprende le seguenti disposizioni: D. Lgs. 16/4/1994, n. 297 (art. 397: Funzione ispettiva; art. 419: Ruolo degli ispettori tecnici; art. 285: Consulenza tecnico-scientifica); Direttiva PCM 2/7/2002 Attività d’ispezione; DM 29/12/2009 (art. 4: Dirigenti con funzioni tecnico-ispettive); DPCM 11/2/2014, n. 98 (art. 9: Corpo ispettivo); DPR 28/3/2013, n. 80 (art. 5: Contingente ispettivo nel SNV).

La funzione tecnico-ispettiva è esercitata da ispettori tecnici che, più in particolare, svolgono i seguenti compiti:

  • elaborazione di progetti per attuare gli obiettivi indicati dal ministro in materia di politica scolastica;
  • consulenza in merito a programmi scolastici, sussidi didattici e tecnologie educative;
  • promozione delle attività di aggiornamento del personale direttivo e docente della scuola di ogni ordine e grado;
  • attività di assistenza tecnico-didattica, studio e ricerca e consulenza sui progetti di sperimentazione;
  • verifiche e ispezioni concernenti specifiche situazioni disposte dal Ministro e dagli uffici dell’Amministrazione scolastica.

Al termine di ogni anno scolastico il corpo ispettivo redige una relazione sull’andamento generale dell’attività scolastica e dei relativi servizi.

Attività di verifica e vigilanza

In particolare, le attività di verifica e di ispezione costituiscono un fondamentale momento di integrazione del sistema, nonché uno strumento per il perfezionamento dell’azione dei singoli e delle organizzazioni.

Le attività previste sono le seguenti:

  • visite ispettive disposte dal Direttore Generale dell’USR e dall’Amministrazione Centrale;
  • vigilanza sugli esami di stato conclusivi del 1° e 2° ciclo;
  • verifiche sul funzionamento delle scuole paritarie;
  • partecipazione alla Commissione Medica di Verifica;
  • verifica dei requisiti delle sezioni “Primavera” con ispezioni a campione;
  • vigilanza sui corsi di differenziazione didattica secondo il metodo Montessori.

Visite ispettive disposte dal Direttore Generale dell’USR o dall’Amministrazione Centrale

Le visite vengono assegnate, di norma, in relazione alle aree tematiche e/o al settore di competenza di ciascun ispettore o – qualora ciò non sia possibile – a rotazione, in modo da assicurare un’equa ripartizione dei carichi di lavoro e salvaguardare l’opportunità degli interventi sul territorio, secondo le indicazioni fornite più avanti.

Verifiche sul funzionamento delle scuole paritarie

Accanto agli accertamenti finalizzati alla verifica dei requisiti previsti per il riconoscimento e il mantenimento della parità (punti 4.1 e 5.7 del D.M. 10/10/2008, n. 83), sono previste specifiche azioni di monitoraggio del regolare funzionamento delle istituzioni scolastiche paritarie, con particolare riferimento allo svolgimento degli esami di idoneità e, nell’ambito della più generale attività di vigilanza di cui al punto successivo, degli esami di stato, secondo quanto espressamente previsto dall’art. 1, comma 152 della legge 13/07/2015, n. 107. Anche per le scuole non paritarie sono previsti accertamenti ispettivi, finalizzati all’inclusione e mantenimento nell’apposito elenco regionale (punto 1.5 del D.M. 10/10/2008, n. 83). Le azioni e gli accertamenti di cui al presente punto sono effettuati normalmente in relazione al settore di competenza.

Vigilanza sugli Esami di Stato conclusivi del 1° e del 2° ciclo

La sessione degli esami di stato, del 1° e del 2° ciclo, vede impegnati i dirigenti tecnici, in relazione al settore di competenza, in un’azione di vigilanza e supporto ai presidenti e ai membri delle commissioni d’esame, ed è preceduta da sessioni di attività di formazione previste nell’ambito delle attività di sviluppo della tematica di cui al successivo punto (valutazione degli alunni e del sistema formativo).

Visite ispettive

A tale riguardo, i Dirigenti degli Uffici Scolastici Territoriali, di concerto con i Dirigenti tecnici incaricati di svolgere attività di consulenza e supporto nel territorio, possono contribuire a raffreddare precocemente conflitti e risolvere criticità. Gli accertamenti ispettivi costituiscono uno strumento di ausilio tecnico a supporto dell’attività dell’Amministrazione e sono organizzati come di seguito.

a. Richiesta di accertamento ispettivo

Nel caso in cui si reputi necessario attivare un’indagine ispettiva, i dirigenti scolastici inviano un’apposita richiesta al Coordinamento del Servizio Ispettivo per il tramite del dirigente dell’Ufficio Scolastico Territoriale di competenza che provvede ad una prima istruttoria degli atti e a una prima valutazione del caso. Solo ove effettivamente necessario, e comunque nel caso di documentate problematiche inerenti al profilo didattico e/o relazionale, il dirigente dell’UST avanza richiesta di accertamento ispettivo al Direttore Generale trasmettendo gli atti al Coordinatore del Servizio Ispettivo per un accertamento tecnico mirato, unitamente ad una relazione informativa dei fatti e agli gli allegati ritenuti necessari, oltre che ad una personale valutazione del caso. Di norma non si dà corso a indagini ispettive per fatti sanzionabili disciplinarmente, in quanto la gestione degli stessi è in capo al dirigente scolastico o all’Ufficio competente per i procedimenti disciplinari a seconda della gravità dei fatti medesimi.

b. Conferimento dell’incarico ispettivo e relativo svolgimento

Il Direttore Generale, sulla base delle valutazioni formulate dal Coordinatore del Servizio Ispettivo e di quelle trasmesse dal Dirigente dell’UST, valuta l’opportunità di disporre un incarico ispettivo. Il Dirigente tecnico incaricato può chiedere al Direttore Generale, previo parere del Coordinatore del Servizio Ispettivo, di avvalersi delle collaborazioni di personale della scuola o amministrativo fornito di specifiche competenze in relazione alla natura dell’incarico. Apposita comunicazione di avvio dell’accertamento è notificata – a cura del Coordinatore del Servizio Ispettivo – contestualmente a tutti i soggetti interessati.  Il Dirigente tecnico incaricato conclude l’accertamento e produce la relazione ispettiva di norma nel termine di 30 giorni dal conferimento dell’incarico stesso, salvo diversa disposizione contenuta nell’atto di conferimento. Eventuali proroghe che in caso di necessità dovessero essere richieste sono autorizzate, previa istruttoria del predetto Coordinatore, dal Direttore Generale e non eccedono di norma i 90 giorni dal conferimento dell’incarico.

c. Conclusione dell’incarico ispettivo

Il Coordinatore del Servizio Ispettivo cura il monitoraggio, la documentazione e l’archiviazione delle situazioni sottoposte ad indagine ispettiva. A conclusione dell’accertamento ispettivo, il Dirigente tecnico incaricato trasmette, in riservata originale, relazione con esauriente analisi dei fatti, siglata su tutte le pagine e completa dei necessari allegati, agli Uffici indicati nella lettera di incarico e al Coordinatore del Servizio Ispettivo.

d. Proposte tecniche dei Dirigenti incaricati di accertamento ispettivo

Le relazioni ispettive esplicitano nelle conclusioni le proposte tecniche degli eventuali interventi da mettere in atto o provvedimenti da assumere. Ove le proposte riguardino l’avvio di procedimenti disciplinari, esse non si configurano quale tipologia di sanzione da irrogare considerato che, come noto, i procedimenti disciplinari necessitano di ulteriore attività istruttoria in contraddittorio con gli interessati. Per quanto concerne i casi nei quali emergano comportamenti di rilevanza disciplinare in capo a personale docente o Ata delle Istituzioni scolastiche, va ricordato che l’art. 3 del D.M. 912 del 18 dicembre 2014 prevede che la gestione dei procedimenti disciplinari di pertinenza dell’Ufficio competente per i procedimenti disciplinari (cfr. art. 55 bis, comma 4 D. Lgs. 165/2001) è tra le funzioni assegnate agli Uffici Scolastici Territoriali, mentre per i dirigenti scolastici la competenza è dell’Ufficio disciplinare presso l’USR.

e. Provvedimenti amministrativi in esito ad accertamenti ispettivi

I Dirigenti gli Uffici Scolastici Territoriali sono tenuti, all’esito della visita ispettiva, ad assumere eventuali provvedimenti amministrativi – che non rientrano nell’ambito delle procedure disciplinari – relativi a:

  • personale comparto scuola del territorio di pertinenza (ad esclusione dei Dirigenti scolastici);
  • personale comparto ministeri dell’Ufficio Scolastico Territoriale di pertinenza.

Rimangono in capo al Direttore Generale eventuali provvedimenti amministrativi all’esito di visita ispettiva, relativi a:

  • Dirigenti scolastici (area V);
  • ritiro del “Decreto di parità scolastica” di cui alla legge 62/2000.

Ricevute le relazioni ispettive, gli Uffici competenti si attivano tempestivamente per l’adozione dei provvedimenti consequenziali. I provvedimenti assunti devono essere trasmessi, oltre che ai destinatari, anche al Coordinatore del Servizio Ispettivo per consentire l’archiviazione della pratica, e, per conoscenza, ai Dirigenti tecnici interessati. La comunicazione riguarda altresì gli esiti dell’eventuale contenzioso.

Ove ad esito della visita ispettiva non si reputi di assumere alcun provvedimento amministrativo, occorre comunque che i Dirigenti di cui sopra, nell’ambito delle competenze elencate, attestino la chiusura del procedimento amministrativo avviato con il conferimento di incarico ispettivo, dichiarando essere l’ispezione senza esito amministrativo e dandone comunicazione al Coordinatore del Servizio Ispettivo e ai Dirigenti tecnici interessati.

f. Incarichi ispettivi riguardanti scuole paritarie, non paritarie e scuole straniere

Gli accertamenti ispettivi riguardanti le Scuole non statali (scuole paritarie, scuole non paritarie iscritte nei relativi elenchi regionali, attività di insegnamento gestite da Enti stranieri in Italia) sono effettuati in relazione al settore di competenza degli ispettori e sono, in linea generale, riferibili alle seguenti tipologie:

  • accertamento del possesso dei requisiti previsti dalle norme di riferimento per il riconoscimento della parità scolastica, per l’iscrizione all’elenco delle scuole non paritarie o per il rilascio dell’autorizzazione o del nulla osta per le scuole straniere operanti in Italia;
  • verifica del permanere dei requisiti soggettivi ed oggettivi connessi con il precedente punto;
  • accertamenti in ordine al rispetto delle norme generali dell’istruzione, degli ordinamenti, ecc.;
  • accertamento di altre eventuali particolari situazioni non connesse agli aspetti sopra indicati.

g. Gestione delle istanze di accesso di atti connessi ad accertamenti ispettivi

Le istanze di accesso di cui alla L. 241/1990 sono gestite dagli Uffici territoriali cui la visita ispettiva si riferisce, anche per facilitare il coinvolgimento degli eventuali controinteressati. Fanno eccezione le sole istanze di accesso strumentali al diritto di difesa nei procedimenti disciplinari avviati a carico dei Dirigenti scolastici. In tal caso la competenza è in capo ad apposito Ufficio.

Si rammenta infine che, ai sensi dell’art. 3 del D.M. 10 gennaio 1996, n. 60, “in caso di incarichi ispettivi nei confronti di personale dipendente di istituzioni scolastiche o di enti vigilati, l’accesso alla relazione finale e alla documentazione in essa richiamata è consentito, limitatamente alla parte riguardante il richiedente, dopo la conclusione dei procedimenti ispettivi”.

(Le suindicate informazioni sono state tratte dalla Nota Prot. n. MIUR AOO DRLO R.U. 2859 dell’Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia – Coordinamento Dirigenti Tecnici, del 24 febbraio 2016, avente ad oggetto “Articolazione della funzione tecnico-ispettiva – USR Lombardia”, a firma del Direttore Generale Delia Campanelli).

Dirigente tecnico e formazione

Il docente ed il personale direttivo coadiuvato dall’ispettore tecnico nella promozione delle attività di aggiornamento del personale direttivo e docente della scuola di ogni ordine e grado

Il procedimento di valutazione delle istituzioni scolastiche, così come previsto dal DPR 80/2013, dalle successive DM 11/2014 e CM 47/2014, si è sviluppato attraverso precisi protocolli finalizzati a valorizzare il ruolo delle scuole nel processo di autovalutazione. In realtà già il Regolamento dell’autonomia DPR 275/1999, faceva obbligo ad ogni istituzione scolastica di rendere conto dei risultati delle proprie scelte didattico-educative e, successivamente, il D. Lgs. 286/2004 istituiva il Servizio nazionale di valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione, l’INVALSI.

La Direttiva triennale 74/2008 ne chiariva le Aree di intervento: valutazione di sistema, valutazione delle scuole, valutazione (rilevazione) degli apprendimenti degli studenti, valutazione del personale della scuola, diffusione della cultura della valutazione. La DM 11/2014 promuoveva strategie di miglioramento sulla base di scelte interne condivise, partendo dal consolidamento dell’identità e del senso di appartenenza.

Uno dei punti chiave del nuovo sistema di valutazione è relativo al miglioramento professionale dei docenti e del personale direttivo sotto la stretta guida e l’azione costante di monitoraggio del corpo ispettivo. Nell’ultimo quinquennio la funzione ispettiva ha assunto un ruolo determinante sin da quando ai sensi del DPCM 98/2014 e del DM 753/2014 uno specifico atto di indirizzo del MIUR ha chiarito le finalità dell’esercizio di tale corpo, regolamentata più recentemente dalla DM 1046 del 28/12/2017. In essa emerge la finalità della L. 107/2015 nel voler armonizzare il ruolo del servizio ispettivo anche alle politiche dell’Unione Europea, nel sottolineare il ruolo del servizio come strumento conoscitivo, valutativo e di miglioramento delle diversità scolastiche anche grazie alla loro funzione di ricerca, formazione e consulenza.

La funzione ispettiva tecnica, svolta in ogni scuola di ogni ordine e grado, è particolarmente messa in rilievo nelle attività che caratterizzano la professione docente, soprattutto facendo chiari riferimenti alle scuole del secondo ciclo di istruzione, agli esami di stato, alla formazione in servizio del personale della scuola, al supporto tecnico per agevolare le azioni tese al perseguimento di uguaglianza e di equità di opportunità.

La Legge 107/2015 ha rafforzato la funzione del nuovo sistema ispettivo, determinandone un ruolo chiave nel potenziamento dell’autonomia scolastica, poggiata essenzialmente sulla didattica laboratoriale, sull’alternanza scuola lavoro, sulle competenze digitali, sull’organico dell’autonomia, composto da docenti di ruolo, di sostegno e di potenziamento, la cui formazione diventa strutturale, permanente, obbligatoria e finanziata, anche grazie alla carta del docente ed al rinnovato strumento delle reti (cc. 70-72 e 74).

Il Corpo ispettivo coordina le azioni dei nuclei di valutazione delle scuole, anche in applicazione della valutazione dei dirigenti scolastici avviata con la Direttiva Miur 36/2016 e con le Linee guida del 28/9/2016.

La nota Miur dell’11/4/2018 rafforza la relazione sinergica tra corpo ispettivo ed azione amministrativa centrale e territoriale e pone al centro del dibattito del nuovo sistema di valutazione anche il ruolo direttivo. I dirigenti tecnici dei Nuclei di supporto al SNV svolgono l’importante ruolo di consulenza sulle aree prioritarie scolastiche, agganciandosi in maniera coerente e con la massima puntualità agli obiettivi di miglioramento delle singole istituzioni scolastiche.

In fondo, valutare vuol dire migliorare, si traduce, quindi, nella logica di supporto alla professionalità dei docenti e dei dirigenti, nel miglioramento di formazione, istruzione, progettazione, pianificazione.  Il processo di valutazione, dunque, non si conclude con la formulazione di un giudizio o con l’attribuzione di un punteggio da pagella, piuttosto esso valida un modus operandi frutto di un processo di miglioramento continuo.

Il cambiamento migliorativo genera interventi organizzativi, gestionali, didattici e professionali che, attivati consapevolmente, valorizzano la capacità di autogoverno di ciascuna scuola, favorendone il conseguimento di obiettivi prioritari e strategici, veri indicatori di un bilancio sociale positivo, nel quale il docente cura consapevolmente il suo percorso di crescita e di apprendimento durante l’intero arco della vita, costellata da numerosi momenti di auto-realizzazione e di realizzazione dei propri studenti.

Funzione ispettiva e supporto al miglioramento: opportunità e vincoli

Le modalità di esercizio della funzione ispettiva tecnica sono determinate, ai sensi del combinato disposto dell’art. 9 del D.P.C.M. n. 98 del 2014 e dell’art. 3, comma 2, del D.M. n. 753 del 2014 con apposito Atto di indirizzo del Ministro. Il MIUR, mediante il D.M. n. 1046 del 28 dicembre 2017, ha finalmente emanato l’Atto di indirizzo per l’esercizio della funzione ispettiva tecnica.

Il nuovo Atto di indirizzo, come specifica in sintesi, la nota di trasmissione datata 11.04. “rafforza il ruolo della funzione dirigenziale tecnica nei processi di attuazione del Sistema nazionale di valutazione e conferma la centralità della funzione ispettiva tecnica nell’azione di supporto all’attuazione dell’autonomia delle istituzioni scolastiche sottolineando, in proposito, la necessaria relazione sinergica che deve intercorrere tra l’esercizio dei compiti affidati al Corpo ispettivo e l’azione amministrativa affidata alle strutture centrali e territoriali dell’Amministrazione”.

E’ in tale logica, centrata sull’ineludibile e vitale esigenza del miglioramento della qualità del sistema formativo in un imprescindibile confronto europeo, che il Corpo ispettivo opera, sempre in posizione di dipendenza funzionale del Capo Dipartimento per l’Istruzione, per il servizio ispettivo tecnico centrale, e della dirigenza regionale, a livello periferico.

Come sottolinea il D.M. 1046/2017, “il Servizio Ispettivo Tecnico costituisce parte integrante del Sistema Nazionale di Valutazione di cui concorre a realizzare gli obiettivi, in collaborazione con gli altri soggetti individuati dal D.P.R. 80/2013”.

Le sue nuove e specifiche mansioni, pertanto, riguardano la partecipazione alla realizzazione ed allo sviluppo del SNV, secondo quanto previsto dal D.P.R. 80/2013, mediante “il coordinamento dei nuclei di valutazione delle scuole” e curando “il coordinamento dei nuclei di valutazione dei Dirigenti scolastici in applicazione della Direttiva n. 36/2016”.

I dirigenti tecnici “partecipano ai Nuclei di supporto al SNV ed ai gruppi tecnici per la valutazione costituiti presso l’Amministrazione centrale e periferica, contribuiscono alle attività di formazione nell’ambito del SNV”, assicurando “un supporto tecnico-scientifico per le tematiche ed i processi definiti dall’Amministrazione al fine di fornite consulenza sui vari aspetti riguardanti le aree prioritarie della politica scolastica”.

La funzione ispettiva costituisce, dunque,  un elemento fondamentale per il miglioramento del sistema scolastico. All’interno del sistema designato con l’acronimo SNV , il sistema di valutazione nazionale era ben bilanciato dal legislatore: vi era un sistema a tre gambe:

  • l’INVALSI, incaricato della rilevazione degli apprendimenti,
  • il contingente dei dirigenti tecnici con funzione ispettiva, incaricato di condurre la valutazione esterna delle scuole e dei dirigenti scolastici, e
  • l’INDIRE, con compiti di sostegno ai processi di miglioramento.

Il primo misurava gli esiti, il secondo valutava i processi, il terzo interveniva sulle criticità con la formazione e il supporto. Ed ecco la prima criticità: tale disegno non si è del tutto realizzato perché il DPR 80/2013 è stato emanato senza che fosse stato istituito il corpo ispettivo ed ha assegnato all’INVALSI e all’INDIRE la predisposizione degli strumenti di autovalutazione, al primo il RAV, al secondo il format per la stesura del PDM, senza renderne obbligatoria l’adozione del modello.

La valutazione esterna, affidata al contingente dei dirigenti tecnici, potendo contare su poche decine di ispettori in servizio, di fatto non si realizza. Oltretutto all’INVALSI spetta la raccolta e l’elaborazione dei dati di autovalutazione delle scuole (RAV), agli ispettori il loro utilizzo a fini valutativi e per giunta resta non risolta la funzione di supporto e di formazione che il disegno iniziale affidava all’INDIRE, il quale non è al momento strutturato per svolgerla pienamente.

Appare evidente che ci sarebbe bisogno di una maggiore armonizzazione fra i soggetti coinvolti nella valutazione di sistema perché misurare va bene, valutare anche ma il fine ultimo è il superamento delle criticità ed il miglioramento dell’efficacia delle scuole, altrimenti le raccomandazioni ministeriali resteranno mere enunciazioni di principio.

Il corpo ispettivo, privo di stato giuridico, al momento opera fra la collaborazione con INVALSI e l’applicazione delle direttive ministeriali. L’auto-valutazione è utile per sensibilizzare e coinvolgere, ma non può sostituire la valutazione esterna. Anzi, senza di essa, rischia di diventare fuorviante per il sistema e per le stesse scuole.

Oggi le scuole autonome devono essere accompagnate e sorrette dalla valutazione esterna affinché le norme si traducano in reali opportunità di miglioramento e non in vincoli e ulteriori pastoie burocratiche di cui la scuola del terzo millennio non ha proprio bisogno.

Ispettore

Il ruolo dell’ispettore tecnico nell’elaborazione di progetti per attuare gli obiettivi indicati dal Ministro in materia di politica scolastica

L’ispettore, figura centrale nella scuola, nella tradizione è visto più come il censore che non come, invece, l’occhio critico di aiuto e sostegno al nuovo e moderno concetto di scuola. Nell’art. 4 del Dpr 417/74 relativo alla funzione ispettiva si legge che: gli ispettori contribuiscono a promuovere e coordinare le attività di aggiornamento del personale direttivo e docente delle scuole di ogni ordine e grado; formulano proposte e pareri in merito ai programmi di insegnamento e agli esami, alle metodologie di sperimentazione di cui curano il coordinamento; possono essere sentiti dai consigli scolastici provinciali in relazione alla loro funzione; svolgono attività di assistenza tecnico-didattica delle scuole ed attendono alle ispezioni disposte dal Ministero; svolgono anche attività di studio, ricerca e consulenza tecnica per il Ministro.

Come si evince dal su citato Dpr si tratta di una figura con compiti e funzioni importanti, di spessore, di un profilo professionale che abbia conoscenze, competenze e dimestichezza con le problematiche inerenti la scuola in particolare con le problematiche educative e psico-pedagogiche oltre che supportato da un ottimo sostrato culturale. I tempi sono, ormai, più che maturi per ridefinire la funzione ispettivo-tecnica, in un contesto di autonomia delle istituzioni scolastiche, di avvio del Sistema Nazionale di Valutazione, di innovazioni introdotte dalla Legge 107 del 2015.

E possiamo affermare che, in questo senso,  il DM n. 60 del 2010 contiene praticamente il nuovo atto di indirizzo che ridisegna la funzione ispettivo-tecnica, inserendola in un’ottica di supporto al processo di innovazione e di miglioramento e tenendo conto del nuovo quadro del sistema istruzione derivante dalle riforme degli anni ’90 e dall’attribuzione dell’autonomia scolastica.

Il DM 60 evidenzia che l’autonomia delle scuole richiede comunque la permanenza di competenze che fanno capo all’Amministrazione scolastica centrale e periferica. In quest’ottica, diventa un must dell’Amministrazione, la promozione dell’innovazione scolastica, anche attraverso l’attività di ispezione  come strumento conoscitivo delle varie realtà amministrate. Al corpo ispettivo compete la vigilanza tecnica sui risultati formativi conseguiti, l’assistenza alle scuole, la formazione continua, iniziale e in servizio, del personale dirigente scolastico e docente, affidate anche alla funzione tecnica.

Ai dirigenti tecnici viene riconosciuto un ruolo strategico, anche per il supporto ai processi dell’Amministrazione attiva e per la capacità di concorrere alla realizzazione della politica scolastica. Il nuovo corpo ispettivo dovrebbe essere un autonomo organismo strutturato non solo in funzione del controllo delle scuole ma anche, e soprattutto, della promozione culturale, dell’innovazione, della ricerca e della progettualità a vari livelli.

Gli ispettori della P. I., meglio conosciuti come dirigenti tecnici, vanno chiaramente  impiegati per risolvere dei casi individuali ma soprattutto per l’orientamento culturale e il miglioramento della qualità delle scuole nei settori in cui la loro preparazione scientifica e tecnica e l’indipendenza di giudizio possono rappresentare un input di qualificazione dell’autonomia scolastica.

Nel rilanciare  la scuola dal punto di vista qualitativo bisogna considerare assolutamente indispensabile la funzione ispettiva, migliorandone le condizioni di efficienza e di efficacia operativa, la possibilità di costante formazione, il disporre di mezzi adeguati; e ciò diventa prioritario con la scuola dell’autonomia dove è fondamentale ridefinire, rinnovandola, anche la funzione di controllo esercitata dall’Amministrazione.

Il controllo, al di fuori ovviamente delle “Ispezioni disposte”, potrebbe e dovrebbe essere utilizzato in termini di supporto, promozione, accompagnamento, suggerimento. Gli ispettori devono produrre e far valere una elaborazione culturale di spessore come base della progettazione nazionale, regionale, provinciale, in modo da riportare la cultura e la persona realmente al centro di massimo impegno dell’organizzazione scolastica, in particolar modo la figura dell’ispettore va incardinata soprattutto nell’ottica della progettualità della scuola, con occhio vigile, futurista e con lungimirante attenzione all’Europa.

Reclutamento ispettori scolastici

Archiviato il concorso per dirigenti scolastici il Miur comincerà a breve a muoversi per il reclutamento della funzione ispettiva nella scuola.

La funzione ispettiva si svolge in collaborazione con gli uffici centrali, regionali e provinciali, in pratica l’ispettore tecnico ha il compito di elaborare progetti ed obiettivi indicati dal Ministro in materia di politica scolastica, offrire una consulenza su tecnologie educative e nello stesso tempo, promuovere l’aggiornamento del personale direttivo della scuola di ogni ordine e grado.

Il reclutamento del personale ispettivo è unico in ogni forma e grado.

I posti che saranno coperti nella scuola materna, elementare e secondaria saranno di competenza del Ministro della Pubblica amministrazione che deciderà a breve, una volta sentito il Consiglio Nazionale della Pubblica Amministrazione.

Il T.U. 297/94 è ancora la disciplina previgente in materia  e definisce il personale ispettivo in due ruoli: Ispettore tecnico centrale e ispettore tecnico periferico.

Le regole del concorso non sono cambiate e ci si rifà ancora a quelle del 2008  anche se dalle ultime notizie pare che qualcosa cambierà.

Pertanto, al concorso saranno ammessi:

— per la scuola materna: i docenti di scuola materna ed il personale direttivo della scuola elementare;

— per la scuola elementare: i Direttori didattici e gli insegnanti elementari;

— per le scuole secondarie: i Presidi e gli insegnanti di scuole secondarie, i Vice rettori e i Rettori dei Convitti nazionali, le Vice direttrici e Direttrici degli Educandati femminili dello Stato, i Presidi e gli insegnanti dei Licei artistici, degli Istituti d’arte, gli insegnanti dei Conservatori di musica e delle Accademie di belle arti.

Per l’ammissione ai concorsi è prescritto:

— il possesso di laurea;

— un’anzianità complessiva di effettivo servizio di ruolo di almeno nove anni.

Per la valutazione dell’anzianità di servizio va considerato solo il servizio effettivamente prestato, con esclusione del periodo di interruzione, degli anni preruolo riconosciuti e di quelli previsti da retrodatazione.

Gli esami constano di tre prove scritte e una orale (art. 422 D. Lgs. 297/94).

Ma quanti ispettori servono al nostro sistema d’istruzione e di formazione? L’organico ne prevede ora 407, ma erano quasi 700 nel 1974. In servizio ce ne sono attualmente meno di 200, di cui una quota reclutata, negli ultimi anni, su base politica, nella percentuale massima consentita dalla legge (comma 5 bis, art. 19 della legge 165/2001). L’operazione, seppure conforme alla norma, ha suscitato diffuse perplessità, se non palesi critiche.

Molti hanno pubblicamente rilevato che tra i prescelti si sono letti nomi di docenti già in pensione, di funzionari amministrativi e dirigenti scolastici la cui produzione scientifica non è stata mai resa pubblica. In realtà la normativa limitava il numero delle nomine solo al 5 per cento dell’organico esistente, ma l’assenza prolungata dei concorsi pubblici, il mancato ricambio generazionale, con il conseguente aumento dell’età media, hanno contribuito a peggiorare non solo l’immagine degli ispettori, ma la sostanza stessa della funzione rendendola del tutto marginale nelle azioni di governo della scuola.

Un dubbio assordante che risuona al “tic e tac” di un orologio

L'orologio fa tic tac

“Il dubbio è scomodo ma la certezza è ridicola”  Voltaire

Il ruolo assegnato oggi ai Dirigenti scolastici, impeccabili equilibristi, è visibilmente mutato rispetto al passato: ogni azione deve fare quotidianamente i conti con un contesto, con capacità personali e con esigenze organizzative, educative, gestionali e processuali differenziate e complesse che, abbracciando lo “scibile umano”, necessitano di riflessioni, interventi puntuali, temporalmente ben calibrati. E’ con questa consapevolezza che il 18 ottobre i docenti, aspiranti Dirigenti scolastici, si sono approcciati alla prova concorsuale, necessaria per accedere alle successive prove previste dal bando.

Eppure per molti, per i resilienti, sopravvissuti ad una già discutibile prova selettiva, si è accesa una successiva, inevitabile e sconcertante delusione: risolvere casi (tra l’altro contemplati per la prova orale), per iscritto in soli 150 minuti, senza avere il tempo materiale di mettere in ordine le proprie idee di risoluzione ed esprimere ciò che è realmente importante per espletare una professione, atta alla crescita ed al miglioramento delle nostre Istituzioni scolastiche, come quella, appunto, di un  Dirigente scolastico.

Un dubbio (Dubium sapientiae initium, Cartesio) sorge spontaneo: siamo sicuri che una tale “selezione”, sia quella corretta per individuare leader/manager, in grado di operare per una crescita innovativa e di spessore come richiesto a livello nazionale ed internazionale? La risposta è sicuramente no, perché il tempo non va misurato in ore e minuti (figuriamoci 150 minuti!!!) ma in trasformazioni, in ciò che si riesce effettivamente a costruire, con e per i giovani, in una società che richiede passione e formazione costanti.

Il Dirigente scolastico non si esprime “twittando”

Mesi di studio, di seria preparazione; approfondimento, allenamento, formazione, corsi on line, libri, dispense, webinar, incontri in presenza, partecipazione a comunità di pratiche. Ambienti di apprendimento virtuali, reali, confronti, mutuo-aiuto, condivisione, speranze, progetti di vita.

Il MIUR fissa la data: il 29 maggio. Bene, si sperava un po’ più tardi ma va bene, ci adeguiamo e intensifichiamo lo studio. Il nostro bioritmo inizia a cambiare e, insieme ad esso, in alcuni casi, anche il nostro corpo. Qualcuno ingrassa, qualcun altro dimagrisce. Le case sempre più trascurate, più disordinate, invase dai libri; i mariti, le mogli, i genitori e i figli si accontentano di pochi ritagli di tempo, ma si resiste e si va avanti. La data si avvicina ma il MIUR comunica il rinvio: 23 luglio. Qualche ora di polemica, destabilizzazione: cambiano i programmi, si rinuncia alle vacanze, ci si riorganizza la vita e si continua a studiare. Terminano le attività didattiche, gli esami di Stato e negli ultimi giorni le ore di studio diventano preponderanti e si riduce al minimo il tempo per tutto il resto. Non importa, si resiste.

Dopo il 23 luglio pronostici, dubbi, ipotesi, congetture: quale sarà il punteggio minimo per superare la prova? Tutto trasparente, lineare, regolare, computerizzato, omogeneo? Non esattamente. Iniziano ad emergere alcune problematiche, i primi ricorsi, le prime polemiche, ma va bene, resistiamo e andiamo avanti.

Il gioco comincia a farsi duro, la prova scritta richiede un’approfondita preparazione su nove aree tematiche assai corpose, legate da un robusto e coerente fil rouge normativo e concettuale, in linea con le Direttive europee, con la nostra Costituzione e dall’animo progressista, innovativo, equo e inclusivo.

Ci appassioniamo, ci documentiamo, studiamo giorno e notte e riduciamo la nostra vita a pochi momenti in cui ci sentiamo anche un po’ alienati. Qualcuno non ha il tempo neppure per vedere il cielo, ma non importa. Resistiamo e ci sentiamo preparati ad affrontare qualsiasi argomento, a qualunque livello di complessità.

Crediamo nel nostro progetto di vita e crediamo di poter apportare autentica e consapevole innovazione al sistema scolastico, al quale abbiamo dedicato la vita. Abbiamo fiducia nei nostri ragazzi, li conosciamo e sappiamo quanto potenziale vi sia, soprattutto alla luce dell’evoluzione autonomistica e della recente legislazione scolastica, per offrire loro l’opportunità di affrontare il futuro, mutevole, complesso e incerto, con opportune strategie e competenze. Desideriamo poter essere artefici del loro successo e anche del nostro.

Arriva il fatidico giorno, il 18 ottobre, quando ci rechiamo, ciascuno presso la sede assegnata, a sostenere la famigerata prova scritta. Paura, timore, preoccupazione: è normale! Quanti esami abbiamo già sostenuto? Ridimensioniamo la paura e contiamo sulla nostra indiscutibile preparazione.

Di fronte a quel monitor ci rendiamo conto che le nove aree indicate nel bando, sono state bypassate ed i quesiti, pressoché monotematici, richiedono uno sterile elenco di azioni.

La leadership per l’apprendimento che sognavamo, ha dovuto fare un passo indietro, abbassare lo sguardo e lasciare spazio ad un anonimo burocrate che doveva banalmente elencare ciò che avrebbe operativamente posto in sequenza, a mo’ di algoritmo, in tale o tal altro specifico caso, cercando di scrivere quanto più velocemente possibile, senza “perdere tempo” per riflettere e tantomeno per argomentare.

Una prova in linea con un concetto di “fast” proprio quando si sta finalmente riscoprendo il valore dello “slow”, persino nei momenti socioculturali di consumo dei pasti e della produzione agricola (km zero, slow food, come tentativo di riconciliarsi con la natura e con l’ambiente e nel rispetto dell’ecosistema). Forse bisognerebbe ricondurre a sistema il concetto di rallentamento, perché come affermava già Rousseau: “Bisogna perdere tempo per guadagnarne”.

Smarrimento, delusione, frustrazione e magone per non aver potuto far sapere al MIUR chi c’era dietro quel monitor, quale eccezionale idea avesse dell’istituzione scolastica e come avrebbe voluto coniugare teoria (normativa preziosa e corposa) e prassi per poter dirigere una scuola di successo. Quali criteri docimologici e metodologici vi sono a fondamento di tale tipologia di prova?

Insomma, mesi di studio per prepararci ad attraversare la “route 66” a bordo di una Pick-up equipaggiata in maniera ottimale, per poi trovarci a comprimere il nostro considerevole bagaglio su una carretta dei Flinstones e a “twittare”, veloci come un battito di ciglia e alla maniera del più improvvisato e dilettante politico contemporaneo, proposizioni semplici attraverso un software che, tra l’altro, ad onta di ogni poderoso buon auspicio promosso dal Piano Nazionale Scuola Digitale, ricordava tanto il DOS degli anni ’80…

Che fretta c’era?

Un vissuto comune ha accompagnato i candidati al concorso per Dirigenti scolastici: senso di vuoto e di amarezza.

I quesiti erano fattibili ma, mentre ognuno di noi cercava tra i mille pensieri che affollavano la mente, quello più giusto per essere trascritto, la barretta del tempo scandiva inesorabilmente i secondi.

Lo sguardo passava dalla tastiera al testo e dal testo alla barretta, in un susseguirsi di battiti cardiaci che sembravano mimare il ticchettio dei tasti su cui freneticamente battevano le dita.

Fare in fretta questa era la parola d’ordine, non si poteva perdere tempo, non si poteva scegliere la parola più giusta che avrebbe reso meglio il pensiero che volevamo trasmettere, l’importante era non fermarsi come in una corsa contro il tempo ed intanto la barretta continuava beffarda a far scorrere il tempo davanti ai nostri occhi.

Emozioni che si accavallavano dentro il cuore e la cui gestione era difficile, difficile come ritrovare il filo rosso che legava i pensieri tra loro per rendere organico e coeso il testo che si andava formando su quello schermo bianco.

Una rapida lettura mentre lo sguardo continuava a vagare dalla tastiera alla barretta e dalla barretta al testo.

Non riconoscersi in quelle parole, anche giuste ma che non corrispondono allo stile linguistico che si era sognato di poter utilizzare: l’originalità, l’utilizzo di un pensiero critico che ti poteva aiutare nella scelta delle informazioni più giuste, più efficaci a rendere l’idea di quello che si voleva dire.

Niente! Come se tutte le cose immaginate fino a quel momento fossero solo dei sogni che si frantumavano davanti alla cruda realtà: correre più veloci degli altri, correre per arrivare fino in fondo, correre per dimostrare che si poteva essere dei buoni dirigenti.

Che fretta c’era!!! Quali le motivazioni di un concorso fatto in questo modo, perché costringere dei candidati che hanno studiato ed hanno competenze a lavorare sotto tale tensione che non darà mai dei risultati efficaci; quella efficacia ed efficienza che abbiamo imparato così bene sui libri.

Sarebbe stato così appagante uscire da quell’aula esausti ma felici di aver potuto dare il meglio di noi stessi, di aver potuto esprimere quello che avevamo imparato da anni passati sui libri, di aver potuto scegliere le parole più giuste, le azioni più efficaci, le strategie più originali che un Dirigente poteva mettere in atto, perché avremmo avuto il tempo di soppesarle, di fermarci a pensare…

Fermarci a pensare, non era previsto che ci potessimo fermare e tantomeno che avremmo potuto pensare a lungo.

E come dopo una lunga corsa, una volta finita ci siamo ritrovati ansimanti, stanchi e vuoti chiedendoci la motivazione di questa modalità di selezione.

Non rimpiango neanche un giorno passato sui libri, la conoscenza acquisita non me la toglierà nessuno, ora cerco solo un po’ di calma e di rilassatezza.

Tutti noi ce la meritiamo per quello che abbiamo fatto, per come lo abbiamo fatto e per quanto ci abbiamo creduto.

150 minuti!

Il mio pensiero torna costantemente a quei centocinquanta minuti trascorsi in un laboratorio di informatica di una scuola secondaria di  secondo grado in occasione dell’espletamento della prova scritta del concorso a Dirigente Scolastico.

A distanza di giorni non si placa la mia insoddisfazione per questa prova, dalla quale sarebbero dovute trasparire la mia preparazione e la mia passione per il ruolo di Dirigente Scolastico. Ho provato un certo senso di inadeguatezza, di blocco, di smarrimento, di tristezza e quasi di “resa” davanti al tempo – il timer – che, incurante dei miei sentimenti e della mia voglia di trasmettere e di dimostrare, in maniera chiara ed esaustiva lo studio iniziato da tempo, si è rivelato come mio “nemico”. Le sensazioni provate in quella esperienza del 18 ottobre non si sono affievolite con il passare dei giorni, anzi, esse riaffiorano nei vari momenti della giornata, alimentando dubbi e insicurezze riguardanti le mie risposte ai quesiti.  Non riesco a distogliere il pensiero dalla mia incapacità di gestire il tempo nel tentativo di rispondere in maniera adeguata ai quesiti. Il fattore tempo non mi ha permesso di dimostrare la mia preparazione, la mia serietà, la mia professionalità e la mia idea di leadership.

Lo scorrere del tempo ha innescato uno stress che non ha permesso ai miei pensieri di essere trasformati in un testo corretto dal punto di vista stilistico, ortografico, lessicale e contenutistico.  Avrei voluto produrre un testo curato in ogni minimo dettaglio e, invece, ricorderò questa prova come una “gara di velocità” e non come una opportunità per dimostrare uno studio approfondito, svolto nel tempo.

Non ho avuto neanche l’opportunità di rileggere le risposte…

Concorso DS a prova di… cronometro

Il 18 ottobre 2018 in (quasi) tutta Italia si è svolta la prova scritta per il reclutamento dei dirigenti; data tanto attesa ma che è stata preceduta da colpi di scena riguardo al ricorso dei “sessantisti” e dei candidati penalizzati per il malfunzionamento avvenuto durante la preselettiva dello scorso 23 luglio e dall’allerta meteo diramato in Sardegna. Un concorso il cui scopo è stato quello di andare avanti necessariamente come un treno, tralasciando le aspettative, le speranze, i timori degli 8736 candidati ammessi alla prova scritta.

La “freddezza” di questo concorso è stata toccata con mano dai candidati, i quali si sono trovati davanti ad un computer (e in alcuni casi davanti a commissioni che hanno pinzato, ritirato, strappato pagine di codici di leggi non commentati, tra l’altro ampiamente accettati in fase concorsuale, cellulari dei vigilantes che squillavano, tastiere malfunzionanti, pc che “perdevano” le tracce svolte alcuni minuti prima, insomma scene quasi surreali che non hanno permesso di svolgere la prova di alcuni candidati in un clima positivo) e ad una barra che segnava il trascorrere incessante del tempo e che ha gettato nel panico e nello sconforto oltre la metà dei candidati. Se, infatti, da un lato sembrerebbe che la prova fosse fattibile per la tipologia degli argomenti richiesti, una maggiore complessità si è evidenziata nei quesiti di lingua inglese.

Il tempo è stato il nemico principale di moltissimi candidati che non sono riusciti a terminare la prova, inoltre, i quesiti proposti, seppur fattibili richiedevano un minimo di argomentazione e di discorso ben articolato e ponderato, sia dal punto di vista tecnico delle azioni del dirigente, sia dal punto di vista sintattico-morfologico, dando dimostrazione di anni e anni di studio.

Si ha come l’impressione che il Ministero più che alla ricerca di dirigenti che possano calibrare i tempi per arrivare a soluzioni pienamente soddisfacenti, che sappiano valutare, ascoltare, creare il giusto equilibrismo all’interno della scuola, mettendo in pratica la leadership educativa capace di tendere al miglioramento della qualità dell’offerta formativa e la managerialità che richiede la conduzione di un’azienda complessa quale quella della scuola, siano alla ricerca di dirigenti che sappiano affrontare la comunità educante come se fosse un salto agli ostacoli, una corsa contro il tempo, in grado di decidere il futuro di un’intera comunità scolastica, che custodisce, armonizza e sviluppa il futuro delle generazioni in pochi essenziali momenti.

Cosa succederà dopo il 18 ottobre è difficile in questo momento prevederlo ma vogliamo essere positivi, certi che il Ministero, volendo assicurare alle proprie scuole, che sono la fortezza dove custodire la vera ricchezza di un Paese, i migliori dirigenti sappia essere clemente nella valutazione di una prova che ha lasciato poco spazio alle potenzialità degli aspiranti dirigenti scolastici.

L’impressione è che il Ministero di docimologia ne sappia ben poco, i tempi sono un fatto essenziale per arrivare a una soluzione soddisfacente. I tempi andavano ben valutati, è evidente che, considerando le condizioni ambientali e il “mare magnum” delle possibilità, all’atto della prova sono risultati sottostimati, una mezz’ora in più era sufficiente.

Sembrerebbe unanime la fattibilità della prova dati i quesiti proposti, una maggiore complessità si è evidenziata nei due quesiti in lingua inglese, i quali si riferivano all’uso dei device e al sistema scolastico olandese. Sebbene in molti si sono lamentati del tempo tiranno, che è sembrato scorrere troppo velocemente e che occorreva il doppio del tempo per un lavoro accurato.

Funzione ispettiva e valorizzazione delle risorse nella scuola dell’autonomia

La disomogeneità qualitativa del sistema scolastico sull’intero territorio nazionale induce ad un rinnovamento dei sistemi concettuali ed operativi, attraverso circolarità di interrelazioni tra le varie attribuzioni di personalità giuridica, assunte dalle istituzioni scolastiche e la configurazione delle nuove complessità  formative.

Le nuove prospettive di pensiero sulle istituzioni  formative riguardano non più un’unica istituzione scolastica, ma reti di scuole che lungo un curricolo verticale e orizzontale strutturano un Ptof di territorio sulla base di modularità dei saperi.

Una giusta interpretazione delle ultime riforme si sviluppa su itinerari operativi dipendenti ed interdipendenti nell’interno di contesti funzionali dediti al successo formativo e alla valorizzazione delle risorse. L’assenza per lunghi decenni di un sistema valutativo ha evitato  la progettazione di ricerche e studi sistematici sui processi di apprendimento e di professionalizzazione. La presenza di aree d’utenza con forti criticità riguardanti i risultati della formazione necessita di riscoprire il ruolo ispettivo dal punto di vista della ricerca e di indagine per comprendere le cause di tali dislivelli e quindi realizzare adeguate condizioni ai fini del Piano di Miglioramento.

Predisporre momenti di riflessione, all’interno dei team di professionisti della scuola, sull’evolversi delle criticità socioeducative correlate anche ai vari contesti socioeconomici è nucleo fondante la funzione ispettiva che si colloca proprio all’interno di queste dinamiche e si configura nell’interrelazione equilibrata tra il mero aspetto di controllo rivolto alla singola istituzione e il coordinamento di reti di scuole impegnato nella valorizzazione delle risorse per la costruzione di contesti di rinnovata governance ed accountability.

La nuova norma organizzativa pone l’impianto dell’identità scolastica in una prospettiva interorganica e intersoggettiva. L’attivazione della pratica ispettiva fonda la decisionalità all’interno di strutture sistemiche atte allo sviluppo di leadership e di gestione manageriale. Una funzione ispettiva pronta alla flessibilità, alla mediazione tra un modello organizzativo strutturato e lo sviluppo di competenze professionali dei team istituzionali, implementando un’innovazione di sistema, sia da un punto di vista culturale e didattico che da quello organizzativo e gestionale. Non a caso la normativa sottolinea

DECRETO MIUR 28.12.2017, PROT. N. 1046

Atto di indirizzo per l’esercizio della funzione ispettiva tecnica.

I dirigenti tecnici offrono supporto, assistenza, consulenza e formazione alle scuole nel processo di attuazione dell’autonomia scolastica, fornendo proposte e pareri sui temi dello sviluppo dei curricoli, della progettazione didattica, delle metodologie, della valutazione, opportunamente collocati all’interno del quadro normativo in modo da garantirne la legittimità e la rispondenza alle finalità del sistema nazionale di istruzione. La connotazione tecnica della funzione si esplica sia sul versante pedagogico e disciplinare sia su quello normativo e ordinamentale; il dirigente tecnico opera pertanto una insostituibile funzione di raccordo tra l’Amministrazione centrale e periferica e le scuole autonome, di regolazione dei processi e di implementazione dell’innovazione di sistema, sia dal punto di vista culturale e didattico che da quello organizzativo e gestionale”.

Pertanto dal monitoraggio sulla qualità delle scuole si attende un  funzionamento dinamico del sistema insegnamento-apprendimento teso al raggiungimento di livelli ottimali  dei risultati di performance degli studenti. Percorsi di ricerca-azione andranno implementati in seno alla struttura autonoma delle scuole, organizzativamente legata alla struttura di reti e di professionisti, proprio  per valutare le migliori strategie per il raggiungimento di livelli ottimali dei saperi.

Le pratiche di rendicontazione che faranno seguito alle varie ricerche svolte in rete e richiamate all’interno delle ispezioni scolastiche potrebbero  indurre a concentrarsi sul curriculo e rafforzare la corrispondenza fra i contenuti effettivi dei programmi di insegnamento e delle lezioni e quello che sarà oggetto di verifiche e valutazioni ai fini del RAV. Questo allineamento curriculare svilupperebbe un sistema di feedback utile alla comprensione della motivazione al risultato.

Pertanto il ruolo degli ispettori definito sulla base di professionalità educative sperimentali, offre un tipo di valutazione esterna delle scuole più coinvolgente per le scuole come burocrazie professionali, rispetto a sistemi di monitoraggio di controllo più statici, e stabilizza un SNV non soltanto correttivo, ma migliorativo rispetto ai vari step del PTOF considerato come vero e proprio progetto formativo.

CodeWeek

Chi è pronto a mettersi in gioco?

Il Direttore Luigi Martano e la Condirettrice Cristina Petraroli con questa edizione speciale ed integrativa del numero 4 della “RIVISTA SCUOLA 4 ALL” hanno l’onore  di presentare la nuova e utilissima rubrica mensile “Digital4all”, curata dalla docente Stefania Altieri, specializzata nell’uso delle TIC nella didattica e nella documentazione digitale; formatrice a livello nazionale sul coding e sulla robotica, sulle nuove metodologie didattiche e sulle piattaforme di condivisione; ambasciatrice Scientix, comunità europea per gli educatori scientifici, e moderatrice di un gruppo tematico eTwinning sul coding e sul pensiero computazionale a livello europeo. Nella Rubrica verranno seguite le Campagne di alfabetizzazione digitale e verranno date  le indicazioni su come partecipare.

Il calendario 2018-2019 prevede tanti eventi legati all’innovazione e al digitale, cercando di indirizzare verso un approccio attivo alla complessità.

E’ previsto il supporto di esperti che ci aiuteranno a confrontarci con nuove metodologie e interessanti cambiamenti.

Ecco la nostra proposta:

  • Ottobre CodeWeek
  • Novembre Settimana Robotica Europea
  • Dicembre Hour of Code
  • Gennaio Festa del PNSD
  • Febbraio Safer internet Day
  • Marzo RosaDigitale
  • Aprile Discovery STEM Week
  • Maggio eTwinning Day

Pronti… via!

Sta per partire la prima Campagna di alfabetizzazione al coding di questo nuovo anno scolastico!

La CodeWeek 2018 è alle porte e anche quest’anno saranno ben due le settimane a disposizione per organizzare e realizzare eventi. Save the date, 6-21 ottobre!

Facciamo un passo indietro.

In linea con le indicazioni della Commissione europea, che incoraggiano l’adozione di approcci innovativi, molti istituti italiani si preparano a seguire le Campagne educative proposte dal Miur, che sono il pretesto per l’orientamento verso un cambiamento di rotta che la scuola sta affrontando in questi ultimi anni.

Le parole d’ordine sono diffusione e coinvolgimento.

Si tratta di stimolare la partecipazione generando informazione e sensibilizzazione. Ogni iniziativa viene promossa attraverso siti internet, piattaforme digitali di condivisione e social media. Si indirizza alle scuole, con il tramite degli insegnanti, e mira a coinvolgere gli studenti e le loro famiglie. Al potenziale pubblico scolastico, inoltre, si aggiungono gli stakeholders istituzionali e gli sponsor di settore, aprendo la scuola al territorio, durante attività scolastiche o extra.

L’obiettivo primario è la disseminazione.

Ogni Campagna ha uno specifico bacino di potenziali aderenti in funzione del tema, ma è potenzialmente indirizzata a tutti. Le proposte mirano alla divulgazione di attività e buone pratiche per inserirle definitivamente nella mission e nei percorsi didattici delle scuole, con una forte spinta innovativa.

E’ il caso della European CodeWeek che, al suo sesto compleanno, annovera già un successo esponenziale. Durante la scorsa edizione sono stati organizzati oltre 22.000 eventi in tutto il mondo di cui 14.000 in Italia! Il nostro Paese, si colloca alle prime posizioni per il numero di iniziative organizzate, per la quantità di insegnanti e studenti coinvolti, per la sensibilità dimostrata a sperimentare le innovazioni metodologiche. I certificati di eccellenza della Commissione Europea per la coding literacy (alfabetizzazione al coding) sono stati ricevuti da 800 scuole italiane che hanno coinvolto più del 50% dei propri studenti.

Il nuovo ambizioso obiettivo di Europe Code Week, proposto da Mariya Gabriel, Commissaria Europea per Digital Economy and Society, è di coinvolgere almeno il 50% di tutte le scuole europee entro il 2020.

Imparare a programmare aiuta i bambini e i ragazzi a dare un senso al mondo che cambia rapidamente, ad ampliare le proprie competenze tecnologiche e sviluppare abilità e capacità al fine di esplorare nuove idee in maniera creativa e divertente.

In Italia tutto è nato da Coding in Your Classroom, Now!, un corso online aperto agli insegnanti, erogato dall’Università di Urbino. Il corso è risultato il miglior corso online del 2016 ed è diventato una delle azioni della Digital Skills and Jobs Coalition. La Comunità costituita su Facebook, attorno al Professor Alessandro Bogliolo, conta oggi circa 30.000 iscritti, condivide materiali e proposte didattiche che hanno ricevuto premi e riconoscimenti in tutta Europa.

L’impatto del coding nelle classi è travolgente. Grazie alla sua componente ludica, i fruitori si trasformano da soggetti passivi che ricevono informazioni a utenti attivi che risolvono problemi, prendono decisioni e compiono azioni che, indirettamente, veicolano temi specifici. Il coding diventa, così, un veicolo di contenuti in grado di valorizzare la dimensione sociale dell’apprendimento, creando una metacognizione implicitamente legata al debugging e alla correzione degli errori.

Il coding però non è un’attività chiavi-in-mano. Mira allo sviluppo del pensiero computazionale, abilità trasversale che consente di concepire ed esprimere procedimenti rigorosi che portano alla soluzione di un problema o alla realizzazione di un’idea. Come tale può essere applicato a qualsiasi disciplina anche senza strumenti specifici, ma richiede riflessione e consapevolezza.

Lo scorso anno i colori e la musica di CodeWeek hanno invaso le scuole e le piazze d’Italia ed è stata una festa. C’è da scommettere che anche i numeri di quest’anno saranno strabilianti.

Il motto dell’edizione 2018 della settimana europea è un invito a dare vita alle idee, a esprimersi programmando, a stringere nuovi legami, ad avvicinare gli studenti alle STEM, perchè il coding è per tutti, come la scuola.

Parola all’esperto

Ecco l’invito del Prof. Alessandro Bogliolo, Coordinatore della Europe CodeWeek 2018

Spettabile Dirigente,

desidero portare alla sua attenzione la sesta edizione di Europe Code Week , che si svolgerà dal 6 al 21 ottobre p.v., affinché valuti la possibilità di coinvolgere gli insegnanti del suo Istituto e, per loro tramite, gli alunni.

Molti degli oggetti che ci circondano contengono microprocessori che aspettano solo di essere programmati. Saper programmare offre l’opportunità di realizzare le proprie idee scrivendo nuove linee di codice per le decine di miliardi di oggetti smart che abbiamo attorno. Ma la programmazione ha anche un valore formativo intrinseco, perché l’esercizio di descrivere un procedimento costruttivo in modo talmente rigoroso da poterne affidare l’esecuzione ad un esecutore automatico induce una comprensione profonda del procedimento stesso e degli aspetti computazionali del problema che esso risolve. Oggi esistono strumenti e metodi che permettono un approccio intuitivo, ludico e didattico alla programmazione a partire dall’età prescolare. Il termine coding è entrato nell’uso comune proprio per indicare l’applicazione spontanea di questi strumenti.

Europe Code Week è una campagna di sensibilizzazione e alfabetizzazione lanciata nel 2013 per favorire la diffusione del pensiero computazionale attraverso il coding. Dal 2015 ho il privilegio di coordinare l’iniziativa a livello europeo e posso dire, senza retorica, che la partecipazione spontanea di migliaia di insegnanti italiani è stata determinante per il suo successo e la sua crescita. La scorsa edizione ha visto la partecipazione di più di un milione e duecentomila persone in oltre 50 paesi del mondo, ma il contributo delle scuole italiane ha pesato per oltre il 50% del totale.

Se la sua scuola ha già partecipato alle precedenti edizioni di Europe Code Week sa esattamente di cosa parlo e non mi resta che esprimerle la mia profonda riconoscenza per ciò che sta facendo. Se invece la sua scuola non ha ancora avuto l’opportunità di sperimentare il coding, questa è l’occasione giusta per farlo, in un contesto di festa, di apertura e di collaborazione internazionale.

A gennaio 2018 il pensiero computazionale è stato riconosciuto come competenza trasversale di base nelle Indicazioni nazionali per il primo ciclo e il Digital Education Action Plan della Commissione Europea ha posto come obiettivo al 2020 l’introduzione del coding in ogni scuola europea, individuando proprio in Europe Code Week l’azione chiave per raggiungere questo obiettivo.

In questo contesto l’Università di Urbino ha attivato un nano-MOOC per insegnanti, un brevissimo corso di formazione online, aperto, gratuito e accreditato, che li guiderà passo-passo a partecipare a Europe Code Week con le proprie classi, offrendo loro la consapevolezza necessaria a decidere se e quando utilizzare il coding nella pratica didattica, consolidando l’impatto dell’iniziativa. Il corso inizierà il 10 settembre, ma resterà disponibile on-demand per agevolarne la fruizione asincrona.

Ulteriori informazioni sono disponibili online, al seguente indirizzo, e sulla pagina Facebook di CodeWeek Italia.

Ringraziandola per l’attenzione la saluto cordialmente.

Alessandro Bogliolo

Coordinatore Europe Code Week

Verso nuove competenze digitali e sperimentazioni

Riparte il confronto continuo relativo alle competenze e alla loro revisione, come riportato anche nel documento di matrice europea del 22 maggio 2018 (Raccomandazioni sulle competenze chiave per l’apprendimento permanente) che pone l’accento sul valore della complessità e dello sviluppo sostenibile, e ritorna il luogo comune dell’azione pervasiva, quasi ingombrante della tecnologia in tutte le attuali espressioni di vita.

Il mondo sociale è caratterizzato da una ipercomplessità che molte volte risulta inintellegibile proprio perché trattata come somma di soggetti e di oggetti della società le cui interazioni, invece, vanno ponderate secondo dinamiche che tengono conto dell’imprevedibilità di cui l’entità umana è caratterizzata: le dinamiche di cui ciascun soggetto è portatore, si modificano già nell’interazione con l’altro. In sostanza, risulta del tutto manchevole un’analisi che, seppure approfondita, descrive il soggetto come statico perdendo, invece, la propensione alla dinamicità del suo stesso sviluppo.

L’ipercomplessità va sperimentata alla luce di potenziali e molteplici livelli di interconnessioni. La parcellizzazione del sapere continua ad oggi a non produrre interconnessione di processi. È inevitabile, peraltro, immaginare di rintracciare la replicabilità quale caratteristica essenziale per investigare scientificamente tali processi. La complessità, infatti, è caratteristica dei gruppi umani come delle organizzazioni sociali e della stessa società, di contro, il mondo degli oggetti è un sistema certamente complicato seppure comunque rintracciabile attraverso fenomeni e processi elementari che in qualche modo sono lineari e conseguentemente prevedibili e replicabili.

Vi è “una frattura da ricomporre tra l’umano e il tecnologico”, bisogna, infatti, fondere la cultura scientifica e quella umanistica; non siamo solo di fronte ad un problema di educational mismatch; l’innovazione tecnologica, cioè la cosiddetta rivoluzione digitale, richiede certamente una nuova velocità nei processi sociali, economici e culturali ma non è l’unico aspetto che ne consentirebbe la buona “gestione”.

Le “due culture”, umanistica e tecnologica, vivono, infatti, una falsa dicotomia alimentata paradossalmente nei luoghi dell’istruzione e della formazione: “tecniche e tecnologie non sono esterne alla cultura” bensì sono dentro i sistemi culturali e allo stesso tempo sono prodotti dei sistemi culturali. Sfugge, infatti, quanti e quali danni crea l’attuale ritardo culturale sull’innovazione tecnologica; l’addestramento al tecnicismo non garantisce l’inclusione sperata, anzi esaspera l’effetto alienante generando sempre più profonde asimmetrie e disuguaglianze sociali.

Accanto al sapere e al saper fare necessita che si sviluppi la comunicazione del sapere e la comunicazione del saper fare. Non è la velocità di ripensare e aggiornare il profilo dei nuovi tecnologi che potrà fare la differenza, c’è bisogno, infatti, di promuovere interconnessione come interdisciplinarità. La revisione del paradigma delle competenze prevista nelle Raccomandazioni Europee dello scorso 22 maggio, enfatizza la necessità, da più parti percepita ed anche sperimentata, di una incompletezza formativa che impatta sul sociale.

Il Piano Nazionale Scuola Digitale riassume le necessità formative e “per tutto l’arco della vita” alla luce di uno sviluppo esponenziale di natura digitale, che costringe ad una revisione sociale in cui necessariamente sono coinvolti tutti gli stakeholder. La formazione si sviluppa lungo percorsi che non sono e non possono essere estranei allo sviluppo socio-economico: le “misure” di promozione formativa del Ministero dell’istruzione non sono avulse dalla società, bensì da essa desunte attraverso anche attività di ricerca-azione dei docenti, finalizzate a promuovere percorsi che debbano essere efficaci e mirati allo sviluppo della persona, alla sua realizzazione professionale e conseguentemente e, allo stesso tempo insieme, al perseguimento di uno sviluppo sociale per forza condiviso.

Il successo di ciascuno non può che portare al successo collettivo! In una società la cui caratteristica preponderante è appunto l’ipercomplessità, le competenze digitali sono una sfida sociale; il fatto che più della metà della popolazione adulta trascorra molto tempo “connessa”, non implica che abbia un buon livello di competenze digitali, anzi, a volte si delinea un distaccamento dal mondo analogico, come evidenziato proprio nel documento di gennaio 2018 in tema di sicurezza online, alfabetizzazione mediatica e igiene cibernetica, ambiti  per i quali nel Piano d’azione per l’istruzione digitale si promuovono campagne di sensibilizzazione. L’utilizzo consapevole di strumenti tecnologici è requisito fondamentale per lo sviluppo sostenibile del nostro Paese oltre che per l’esercizio di una piena cittadinanza nell’era dell’informazione.

Nelle indicazioni che sono proprie del documento del PNSD, relativamente all’ambito di intervento degli animatori digitali (#28) sono tre gli indirizzi su cui si impernia la natura dell’impegno degli animatori e più in generale della scuola:

  1. migliorare l’ambiente di apprendimento attraverso l’uso delle tecnologie che significa migliorare i processi di innovazione della scuola;
  2. sviluppare azioni di formazione dei docenti a sostegno dell’azione educativa e, infine,
  3. promuovere la cultura digitale avendone pertanto una naturale ricaduta sulla vita della collettività.

La definizione delle competenze digitali è per tutte queste ragioni difficilmente tratteggiabile o almeno non lo è in maniera esaustiva, primariamente perché spesso si confonde il tecnicismo con la tecnologia digitale, quest’ultima figlia della cultura digitale e della comunicazione. Ogni nuova conquista “tecnologica” è vissuta spesso come tecnicismo massivo che protende ad un uso sregolato e randomizzato degli strumenti eliminando, invece, il lavoro della ricerca e della sperimentazione che caratterizza per forza ogni successo in tal senso.

Alla luce di queste ultime considerazioni la Commissione Europea, appena due mesi dopo il vertice di Göteborg del novembre 2017, ha adottato nuove iniziative per migliorare le competenze chiave e le competenze digitali dei cittadini europei, sostenendo un piano d’azione per l’istruzione digitale per aiutare cittadini, istituti e sistemi di istruzione a prepararsi meglio a vivere e lavorare in un’era di rapidi cambiamenti digitali (nuove misure): è proprio su questo versante di continua ricerca che la sperimentazione SELFIE è tra le undici iniziative definite nel piano d’azione per l’educazione digitale adottato dalla Commissione Europea nel gennaio 2018.

DigCompOrg è il Quadro di riferimento Europeo che descrive le competenze digitali delle organizzazioni educative, in linea con le competenze digitali del cittadino e del docente, elaborato dalla Commissione Europea. Nell’ambito del processo di miglioramento del quadro concettuale e del suo adattamento a diversi contesti culturali, sono state avviate le sperimentazioni DigCompOrg per le scuole in vari Stati Membri, tra cui l’Italia. Finalità ultima di queste iniziative pilota è stato lo sviluppo e la sperimentazione di uno strumento di auto-valutazione per le istituzioni scolastiche denominato SELFIE (Self-reflection on Effective Learning by Fostering Innovation through Educational Technologies).

La sperimentazione condotta dall’Istituto per le Tecnologie Didattiche del CNR (CNR-ITD), con il supporto di due autorità educative a livello regionale (USR Umbria e USR Calabria), due Istituti di ricerca educativa (INDIRE e IPRASE ), un centro di formazione per l’apprendimento dell’era digitale (Polo Formativo AT-Varese) e la Fondazione Educativa (Fondazione per la Scuola – Compagnia San Paolo), a seguito del successo della fase iniziale (gennaio 2017 – User Consultation), ha raccolto indicazioni utili per sviluppare lo strumento SELFIE per una seconda fase della sperimentazione (settembre 2017) con un coinvolgimento di 201 scuole italiane; di queste scuole, 59 erano primarie (29%), 66 erano secondarie inferiori (33%), 62 erano generali secondarie superiori (31%) e 14 erano superiori professionali (7%). Distribuite in 10 diverse regioni italiane, 67 scuole erano situate nell’area settentrionale, 33 scuole erano situate nell’area centrale e 101 scuole erano situate nell’area meridionale.

La Fase pilota che ha consentito, attraverso l’analisi dei questionari di ben 201 scuole, di raffinare lo strumento SELFIE porta ad una terza fase che dovrebbe riguardare questo nuovo anno scolastico (2018/2019) e che, in verità è stata completamente revisionata in quanto lo strumento potrà, fin da subito, essere implementato già in autonomia in tutte le scuole che ne faranno richiesta.

 

Cartina Scuole

Livello scolastico

Organigramma scuole

 

SELFIE è uno strumento online mirato a sostenere le istituzioni scolastiche nel riflettere e autovalutare le strategie per una scuola digitale: è uno strumento, insomma, di autovalutazione indirizzato alle figure del Dirigente Scolastico, Docente e Studenti per “fotografare” insieme le proprie pratiche d’uso delle tecnologie, verificando la corrispondenza nel definire le competenze digitali secondo i diversi punti di vista rispetto a chi coordina, chi insegna e chi impara, fasi propedeutiche protese a migliorare l’esperienza di insegnamento/apprendimento e pianificare aree di sviluppo in coerenza rispetto ai reali bisogni.

Ha ancora una duplice valenza a livello europeo in quanto sottesa ad offrire ai decisori politici da un lato una “fotografia” del meso (e macro) livello del sistema, e dall’altro un valido supporto (costituito dal quadro concettuale DigCompOrg e dallo strumento SELFIE) per la pianificazione strategica di politiche e ricerche educative. È certamente interessante rilevare come i dati desunti dalle tre tipologie di questionari (rispettivamente per dirigenti, docenti e studenti) possano impattare nella compilazione del RAV (Rapporto di Auto Valutazione) ai fini anche della redazione di un Piano di Miglioramento che sappia efficacemente interpretare punti di forza e di debolezza dell’azione educativa.

In altre parole, l’innovazione tecnologica supporta quella metodologica consentendo di implementare le stesse attività in modo più efficace ma anche attività innovative altrimenti irrealizzabili senza le tecnologie educative. Queste ultime sono solo un esempio dell’impatto di sviluppo sulla persona come nella società; è certo, infatti, che è proprio nel documento delle Raccomandazioni del 2018 che si ravvisa un terzo elemento importante per la definizione di competenze e cioè il livello cosiddetto degli atteggiamenti.

Si profila, insomma, sempre più un’azione educativa olistica protesa allo sviluppo personale e sociale. Olistico è il paradigma insegnamento/apprendimento e tutto ciò che ci sta dentro e intorno: nessuna azione che interessi la vita della scuola, la sua organizzazione, la gestione, come anche la capacità di dialogo con tutti gli stakeholder è avulsa dal protendere alla promozione culturale del suo target e questa visione dinamicamente interagente, se da una parte non consente un’analisi preordinata, si avvale di tanti “percorsi” e modalità di gestione della leadership che alternativamente possono risultare confacenti alle circostanze.

L’attività di ricerca, peraltro, non potrà e non dovrà mai esaurirsi perché rischierebbe di promuovere percorsi di indagine completamente anacronistici sull’asse temporale e inidonei riguardo alla qualità dello spazio relazionale e comunicativo e comunque quasi completamente inesplorabili per la complessità “adattiva” (Piero Dominici) che caratterizza il genere umano: si è di fronte a sistemi complessi capaci di modificarsi per soddisfare nuove condizioni e quindi a co-creare, co-costruire l’ambiente sociale in cui sono immersi.

È necessario, infatti, mantenere lo sguardo e la prospettiva sull’insieme, sul globale e complesso che non corrisponde alla somma delle parti: è un pensiero multidimensionale che va alimentato. I diritti e i valori della cittadinanza nella società della conoscenza sono scritti e definiti nei luoghi dove si produce e si distribuisce informazione e conoscenza e in tal senso è laddove si definiscono le regole di ingaggio. Sulla cultura della comunicazione insiste, infatti, la cultura della responsabilità.

Auguri per il nuovo Anno scolastico 2018/19

Oggi inizia un nuovo anno scolastico ed è doveroso augurare a tutti i miei  “discentes”, a tutti gli studenti, ai dirigenti scolastici, ai docenti e a tutte le famiglie gli auguri per un Anno scolastico che permetta di ridefinire ruolo, finalità della scuola in una società complessa.

Inizia l’anno scolastico con le imminenti celebrazioni del centenario della fine della prima guerra mondiale  che dovrebbero far riflettere sul coraggio e l’eroismo dei giovani del 1899 per portare una nazione alla vittoria di Vittorio Veneto dopo la disfatta di Caporetto.

Il 2019 sarà la ricorrenza dei 20 anni del regolamento dell’autonomia DPR 275 dell’8 marzo del 1999 e ci si deve augurare che sarà il momento di riflettere su come questa autonomia è stata “percepita” ed “agita” dal mondo della scuola, dirigenti scolastici e collegi docenti, dai decisori politici, dallo stesso Ministero, dalle Organizzazioni sindacali.

L’autonomia spesso è stata interpretata più come possibilità di poter “autodeterminarsi”, che come possibilità offerta per “rideterminarsi” come “ente locale” con “mission nazionale” in funzione di un progetto equo e di qualità al servizio dei cittadini.

Abbiamo voluto dedicare il quarto numero della rivista “Scuola 4 All” ai decreti delegati nati dalla legge 107 del 2015, che ha cercato di ripensare ad una scuola “inclusiva” attraverso i decreti legislativi 62 sulla valutazione e 66  sulle univers-quità.

La 107 ha rilanciato l’arte e la musica e il teatro con il decreto legislativo 60 e la creazione di un sistema integrato dell’infanzia da zero a sei anni con il decreto legislativo 65.  Non ha dimenticato il diritto allo studio e le scuole italiane all’estero e ha voluto ridefinire nuove modalità di reclutamento dei docenti attraverso il decreto lgs 59 prevedendo per la prima volta l’obbligo per chi ritiene di voler fare il docente di inserire nel proprio piano di studi, crediti formativi di riferimento alle metodologie didattiche, agli studi psicologici e ad una formazione didattica.

Abbiamo ritenuto opportuno ed utile per il mondo della scuola questo approfondimento attraverso il contributo degli addetti ai lavori, dei docenti, perché queste tematiche sono state poco conosciute  e spesso raccontate senza averne colto indicazioni e prospettive  alla base della riforma complessa prevista e disegnata dalla legge 107 del 2015, che rischia di essere picconata dalle incomprensioni o per giochi extradidattici.

Voglio concludere questo messaggio augurale facendo mio e rilanciando l’appello del CIDI di Milano alla scuola di “non stare a guardare” di Emma Colonna . Di fronte all’ignoranza sbandierata nei social , di fronte alla mancanza di valori ostentata in tante occasioni  bisogna che “ la scuola sia  un luogo di libertà, il posto in cui ci si sente liberi di essere se stessi e dove si impara ad ascoltare e a ragionare, a interloquire tra pari, a interpretare la realtà”.  

La nocchiera

La scuola è lo strumento principe per innalzare le competenze necessarie a vivere in Europa e nel mondo. Questa la finalità a cui mira il disegno della Legge 107/2015 che nell’art. 1 (co1) dà piena attuazione all’autonomia delle istituzioni scolastiche, di cui all’articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59 e successive modificazioni. Si afferma il ruolo centrale della scuola, nella società della conoscenza, per innalzare i livelli di istruzione e le competenze delle studentesse e degli studenti, rispettandone i tempi e gli stili di apprendimento, per contrastare le diseguaglianze socio-culturali e territoriali, per prevenire e recuperare l’abbandono e la dispersione scolastica, in coerenza con il profilo educativo, culturale e professionale dei diversi gradi di istruzione, per realizzare una scuola aperta, quale laboratorio permanente di ricerca, sperimentazione e innovazione didattica, di partecipazione e di educazione alla cittadinanza attiva, per garantire il diritto allo studio, le pari opportunità di successo formativo e di istruzione permanente dei cittadini. Si garantisce un organico dell’autonomia a sostegno della programmazione triennale dell’offerta formativa (co5); si ribadisce l’importanza di privilegiare la didattica laboratoriale, lo sviluppo del metodo cooperativo, nel rispetto della libertà di insegnamento, la collaborazione e la progettazione, l’interazione con le famiglie e il Territorio. Allo stesso modo si affrontano alcune questioni strutturali che riguardano l’assetto del nostro sistema scolastico. In altre parole, come già avviene nei più importanti Paesi dell’Ocse, si investe nel campo dell’educazione, della formazione, della ricerca e innovazione per uscire dalla crisi e rilanciare uno sviluppo equo tra “capitale sociale” e “capitale umano”.  In questo quarto numero della rivista “Scuola for All” si vuole entrare nel merito degli otto decreti attuativi definendone gli aspetti più cogenti e analizzandone gli stati attuativi, i punti di forza e di debolezza. Infine si propone la lettura di un interessantissimo articolo di Stefania Altieri : “STEM, nuove tendenze e didattica del (prossimo) futuro”.

Buona lettura!

D. Lgs. 59/17:“Cambia il modo con il quale si diventa docenti nella Scuola Secondaria per una  riqualificazione  sociale e culturale della professione” di Rosaria Perillo.

D. Lgs. 60/2017: “Promozione della cultura umanistica e valorizzazione del patrimonio e delle produzioni culturali e sul sostegno della creatività” di Rosalia Rossi.

D. Lgs. 61/2017:  “I nuovi Istituti professionali” di Daniela Conte.

D. Lgs 62/2017: “L’esame di Stato del secondo ciclo tra passato e futuro” di Simona Caciotti

Il decreto legislativo 63/2017: “ Tra conferme e innovazioni” di Danilo Gatto.

Decreto legislativo 13 aprile 2017 n. 64 – disciplina delle scuole italiane all’estero” di Lucia Pizzarelli  

D. Lgs. 65/2017: contenuti,  riflessioni e spunti di paragoni con il sistema unico finlandese” di Monica De Carolis

D. Lgs. 65/2017: “La nuova Legge sui servizi educativi per 0-6 anni” di Fernando Mascolo.

Il D. Lgs. 66/2017: un’occasione mancata?” di Barbara Maduli

“STEM, nuove tendenze e didattica del (prossimo) futuro” di Stefania Altieri.

Rimini “Meeting 2018”: l’istruzione rende l’uomo felice?

Il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca dott. Marco Bussetti dialoga e risponde alle domande di alcuni operatori del mondo della scuola
Il meeting di Rimini ospita da sempre i Ministri della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana e dialoga con loro. Quest’anno sarà un professore di storia e filosofia, il dott. Bonfanti del Liceo “Donatelli – Pascal” di Milano, a introdurre il Ministro che un tempo ricopriva la carica di Provveditore provinciale di Milano ed è entrato spesso in contatto con quelle che sono le reali problematiche del mondo della scuola. Lo descrive come uomo di grande umanità capace di entrare in contatto e farsi provocare dalle realtà che incontrava nel suo cammino professionale.

Una realtà che sin da subito è stata ricordata è Portofranco, un’eccellenza nel panorama milanese di quello che è stato il genio pedagogico che è don Giorgio Pontigia. Per chi non lo conoscesse Portofranco è un’istituzione presente sul territorio milanese da 18 anni e ormai estesa in tutto il panorama italiano; è una realtà libera di aiuto allo studio, di incontro di ragazzi a partire da un supporto educativo e didattico-metodologico fondato e sostenuto dalla gratuità di centinaia di volontari adulti universitari e anche studenti delle scuole medie superiori che restituiscono cosa loro hanno ricevuto. Enzo Iannacci definì Portofranco come “Luogo pieno di luci, giovani e mistero” (2 dicembre 2011).

La prima domanda l’ha rivolta il prof. Bonfanti: cosa lo ha colpito di Portofranco?

Ministro: “Portofranco vuole essere la risposta a quello che è il disagio giovanile; spesso nell’adolescenza si vivono momenti di crisi, talvolta i ragazzi hanno paura di questo disagio e non sanno trovare la giusta chiave di lettura per comprendersi. Ma dalle crisi possono nascere nuove opportunità e quel momento di “caos interiore” può trasformarsi in volano. La crisi può penalizzare le reali capacità di questi ragazzi rispetto alla ricchezza interiore di ognuno, che in quel momento non emergono perché il caos ha predominato. A Portofranco si ha un approdo sicuro e una certezza granitica di trovare persone specializzate e competenti, che dedicano il loro tempo e si prendono cura con amore, passione, attenzione e ricerca del successo e del risultato nei confronti di ragazzi che vengono a chiedere aiuto. Questi ragazzi superano la loro crisi, raggiungono risultati, proseguono i loro studi, si laureano, tornano a Portofranco e vogliono restituire ciò che hanno ricevuto. È una forma di riconoscenza, amore e restituzione nei confronti di quegli adulti che hanno creduto in loro e voler restituire il bene che si è ricevuto.”

Matteo Sama, studente presso ITC di Bologna in quarta, e Presidente della Consulta della provincia di Bologna, ha raccontato la sua esperienza nel mondo delle Scuole superiori dove è emersa una criticità grossa sull’uso degli stupefacenti in ambito scolastico e ha posto la seguente domanda: Come si possono valutare i docenti che insegnando si impegnano con il “cuore” dei propri studenti?

Il Ministro sorride e sostiene come il tema della valutazione in Italia sia molto delicato sotto tutti i profili; mostrando il suo lato paterno, esordisce dicendo che quando sua figlia arriva a casa con un voto scolastico lui le dice sempre “Il voto non l’hai preso tu ma il tuo compito”, valuta cioè una prestazione circoscritta e non è un giudizio di valore sulla persona.

Sono le persone con le quali la scuola quotidianamente si confronta, ma occorre fare una premessa: il sistema, l’organizzazione prevede tutta una serie di figure che lavorano affinchè la macchina amministrativa funzioni al meglio e permetta che si avvii l’anno scolastico per tempo e nel migliore dei modi. Questi sono il personale amministrativo delle scuole, i dirigenti scolastici, le persone che occupano i posti nei vari uffici provinciali e regionali. Parlare di valutazione rispetto ai docenti è un tema urgente poiché alla fine dello scorso anno scolastico sono arrivati dei fondi che i dirigenti dovevano distribuire ai docenti meritevoli.

Il ministro ritiene che una persona se deve essere valutata, deve sapere su che cosa avviene la sua valutazione e ha chiesto da subito un incontro con i sindacati, che si sono dimostrati collaborativi al massimo e insieme hanno determinato da subito, entro settembre 2018, quali saranno gli indicatori e gli obiettivi per i quali tutti, docenti di ruolo e non, verranno valutati, di modo che ci sia una valutazione vera. È utile suggerire anche gli aspetti che un docente dovrebbe avere innati, ma che comunque si possono anche costruire e che sono legati a una sensibilità, un’attenzione alle persone che permetta di seguire in modo personalizzato ogni singolo alunno/a: una forza esterna che viene da un docente altamente motivato e appassionato della sua professione, rigenera un processo che agisce sulla motivazione intrinseca ed estrinseca del docente e genera una forza propulsiva e ridona motivazione, autostima; dare senso di appartenenza deve esser uno degli obiettivi della scuola insieme a una formazione allargata e più olistica.

Occorre valorizzare di più le attitudini piuttosto che le capacità, spesso si è focalizzati su quello che un individuo sa fare e quindi può esserci una deriva a un giudizio personale alla persona, ecco perché occorre valorizzare di più le attitudini, per evitare una valutazione sulla persona. L’atteggiamento pedagogico deve rifarsi a Rosmini che diceva che “I ragazzi non hanno diritto ma sono il diritto” e quindi vanno “amati”: è questa la parola magica da usare sempre in qualsiasi relazione; empatia, affetto, comunicazione, scambio di opinioni, conoscenza, in tal modo io posso aver forse un po’ di presunzione di giudicare la persona e non solo un compito.

La terza domanda è stata posta da Lidia, una docente di matematica in un Istituto tecnico professionale in una classe composta da 31 alunni, la quale ha descritto la situazione talvolta problematica che si viene a creare, in ambienti di frontiera, nell’attirare l’attenzione di ragazzi, spesso pluriripetenti, che presentano forti criticità in famiglia e che rivelano un forte disagio sociale a cui la scuola è chiamata a farsi carico. Questa la domanda: Osservando le difficoltà che talvolta presentano i ragazzi, la mancanza di strumenti e la presenza di classi numerose, quali possibilità concrete ci sono per gestire in modo adeguato le risorse presenti e incrementarle e nel gestire queste risorse quali realtà e quali aspetti a suo giudizio sono da valorizzare? Da dove partire? In secondo luogo, a carattere più tecnico, riguardo il decreto delegato 61/2017, quali modifiche apporta il nuovo decreto di riforma di istruzione professionale; se da un lato lo scopo è quello di raccordare i percorsi di istruzione professionale e di formazione e insieme preservarne la distinzione, mi chiedo che cosa caratterizza e cosa si vuole preservare dell’istruzione professionale rispetto ai percorsi regionali di formazione?

Per il Ministro le strategie didattiche, educative e metodologiche devono essere patrimonio di un consiglio di classe, di un dipartimento. Le statistiche ci dicono che le nostre classi hanno una media di 21, 2 alunni per classe nelle scuole statali, la classe numerosa è un tema che spesso emerge e che deve essere affrontato.

I percorsi di formazione nascono negli anni ’50 insieme agli Istituti tecnici, nell’immediato dopoguerra, dove le nostre industrie stavano ripartendo e avevano necessità di manodopera maggiormente specializzata. Erano funzionali a un processo di crescita e di industrializzazione, oggi abbiamo un potenziale umano pronto a esprimersi nelle attività STEM, abbiamo  ragazzi SMART pronti a reagire, e quindi gli istituti  professionali possono avere un ruolo fondamentale nella crescita del percorso.

Valorizziamo  le attitudini dei ragazzi, le loro potenzialità e soprattutto è importante che le scuole, in questo momento storico particolare, debbano tornare a esser fulcro della formazione dei ragazzi, dandosi una vera identità e senso di appartenenza forte; mai come in questo momento storico c’è bisogno di questo.

Le scuole professionali sono importanti e ancora più importanti sono la ricerca e le buone pratiche didattiche, non da custodire gelosamente, ma da divulgare. Gli indirizzi professionali sono passati da 6 a 11 per cui occorre che la collegialità intervenga in maniera forte e che un approccio didattico di tipo laboratoriale, incentrato sulle nuove pratiche didattiche, possa essere il leitmotiv per questi ragazzi.

Il passaggio dalle scuole regionali a quelle professionali è previsto dal nostro sistema di formazione come una prosecuzione verso il futuro e non deve mancare un aggancio vero con il mondo dell’imprenditoria delle aziende, delle industrie di modo che i ragazzi vedano davanti a loro un futuro concreto, reale, un aggancio tra il mondo della formazione didattica, che diventa sinergica con il mondo dell’impresa: è un legame che diventa vincente, che può produrre sicuramente dei risultati che vedremo fra qualche anno ma andranno a soddisfare i bisogni dei nostri studenti e la loro piena realizzazione.

La quarta domanda è posta dal presidente di una scuola paritaria di Modena il dott. Silvio Vitella, il quale dopo aver introdotto la situazione della scuola in cui è presidente ha posto le seguenti domande: Quali prospettive si possono immaginare per le scuole paritarie nel sistema nazionale di istruzione? E la seconda di carattere più tecnico riguarda il reclutamento e l’assunzione di docenti abilitati: quando si attiveranno i percorsi perché i giovani laureati possano ottenere la specializzazione all’insegnamento o altro titolo utile per insegnare nella scuola secondaria?

Il Ministro sostiene che le scuole paritarie sono parte integrante del sistema di istruzione nazionale poiché è a conoscenza della situazione delle scuole paritarie, essendo stato per anni responsabile di tutte le scuole paritarie della Lombardia. Queste sono regolate dalla legge 62 del 2000 che prevede tutta una serie di adempimenti, caratteristiche particolari, e soprattutto raccomandazioni di tipo organizzativo e legislativo, per ottenere e mantenere la parità e tra queste c’è il fatto che ci devono essere docenti abilitati.

Negli ultimi anni la Buona Scuola ha creato un reclutamento nuovo che ha condizionato la vita di migliaia di persone sradicandole dal proprio territorio, creando molti disagi in persone e famiglie, con un contenzioso che ancora oggi occupa parte del tempo dei funzionari del nostro ministero e che non è ancora risolto, ha prosciugato queste graduatorie ad esaurimento.

Le scuole paritarie si trovano a perdere docenti che vengono messi in ruolo nello Stato e a doverne ricercare altri e non trovarli; è un tema che, come quello dei rapporti e del sistema di istruzione, ha ben chiaro, come Ministro e dovrà sicuramente affrontarlo con serietà e ri-normarlo. È evidente però che le scuole paritarie devono avvicinarsi sempre più agli standard di qualità delle scuole statali. La scuola paritaria è una ricchezza e il ministero cercherà di tutelarla e valorizzarla in tutti i modi.

L’ultima domanda è posta dal Dirigente scolastico di un IC di Busto Arstizio il dott. Paolo Maino il quale dopo aver definito la scuola come “Comunità educante”, dove ciascun individuo apporta il suo contributo, ha posto la seguente domanda: “Cosa intende fare oggi il ministero e che indicazioni intende dare per avviare un processo di reale e concreta realizzazione di quell’autonomia della comunità educativa che è indicata nel DPR 275 del regolamento dell’autonomia?”

Il Ministro risponde dicendo che la parola autonomia non significa autodeterminazione ma avere un’istituzione o soggetto in grado di negoziare con e per il territorio. Questo dovrebbe essere il vero scopo dell’autonomia scolastica che in questi anni si è realizzato; si sono fatti passi avanti, c’è un regolamento del ’99, letto con una certa propensione verso il futuro, ancora per certi aspetti molto attuale.

È evidente che una revisione del Testo Unico è essenziale, poiché è ancora più antico e al suo interno occorre rivedere tutta quella che è la gestione degli organi collegiali, ma alla base dell’autonomia deve esserci il principio dell’identità: la scuola deve tornare a essere il fulcro della formazione degli individui e l’autonomia, da questo punto di vista, la può favorire dando senso di appartenenza, presupponendo un’ampiezza di sguardo verso il futuro, grande sinergia con il territorio e con gli attori che vivono la scuola.

Il DS è vero che è diventato un po’ un burocrate, basti considerare la legge 165 art. 25. Ha anche il compito di diventare l’elemento trainante e necessario per fare sintesi tra quello che è un bisogno di un territorio e quelle che sono le sue potenzialità.

Il lavoro di tanti DS, dal punto di vista dell’autonomia, si è visto in questi anni e tutti hanno fatto un ottimo lavoro. Il DS ha bisogno di avere qualcuno intorno che lo sostenga, è una figura sola al comando e ha necessità di uffici amministrativi che lo sostengano, degli enti e delle istituzioni che gli siano vicini, e di trasmettere la sua visione di impostazione di un Piano dell’offerta formativa che ha condiviso con gli organi collegiali di riferimento. Sono materie che andranno sicuramente affrontate e riviste, dico questo forte dell’esperienza che ho vissuto in prima persona.

La figura del DS per quanto riguarda l’autonomia è il cardine, è fondamentale, il suo ruolo è una responsabilità diretta su tutti: in futuro occorrerà un controllo degli obiettivi che dovranno essere condivisi all’inizio, trasparenti e valutati alla fine.

Si confondono molto le competenze con gli obiettivi oggi; ciò che deve partire è un piano della performance vera dall’amministrazione centrale poi declinato nelle singole realtà per poter offrire un punto di riferimento importante alle istituzioni scolastiche da mantenere un giusto taglio all’autonomia che è un valore che va conservato e preservato poiché contenuto nella nostra carta costituzionale e visto che il prossimo anno saranno 20 anni dalla legge del ’99 apriremo una proficua riflessione e daremo una rinfrescata a questa legge tenendo ben presente il valore che racchiude l’autonomia, custodita anche nella nostra Carta Costituzionale.

“Promozione della cultura umanistica e valorizzazione del patrimonio e delle produzioni culturali e sul sostegno della creatività”: D. Lgs. 60/2017

Arte - Albert Einstein

L’Arte è l’espressione del pensiero più profondo nel modo più semplice (Albert Einstein)

Il D. Lgs. 60/2017 ha come finalità la promozione e la conoscenza della cultura umanistica, attraverso la pratica delle Arti e lo sviluppo della creatività. La musica, la pittura, il teatro, l’arte decorativa, la scrittura creativa rientrano di diritto nel Piano Triennale dell’offerta formativa delle scuole di ogni ordine e grado. Le Istituzioni scolastiche possono prevedere sinergie collaborative tra linguaggi artistici e nuove tecnologie, nella progettazione di percorsi curricolari, anche in verticale, in alternanza scuola-lavoro, in rete con altre scuole, con la collaborazione di Enti e associazioni private o locali che lavorino in ambito artistico.

Le scuole devono organizzare una progettazione delle attività che rientrino in specifici settori, detti” temi della creatività”, che il D. Lgs. 60/2017 individua nelle seguenti aree: musicale-coreutico, teatrale-performativo, artistico-visivo e linguistico-creativo. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, è adottato il Piano delle Arti, un programma di interventi con validità triennale che contiene una serie di misure per agevolare lo sviluppo dei temi della creatività nelle scuole. Per l’attuazione del Piano, è istituito, uno specifico fondo denominato ”Fondo per la promozione della cultura umanistica, del patrimonio artistico e della creatività”, che ha una dotazione di due milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2017.

Questo Piano prevede dei finanziamenti specifici, a favore dei Poli di orientamento artistico e performativo, che comprendono scuole del primo ciclo che hanno sviluppato curricoli verticali in almeno tre temi della creatività, delle scuole secondarie di secondo grado, dove il 5% dei posti di potenziamento dell’offerta formativa dovrà essere dedicata  allo sviluppo dei temi della creatività.

Tra le misure previste dal Piano delle Arti vi sono:

  • il sostegno alle istituzioni scolastiche e Reti di scuole,
  • il potenziamento delle competenze pratiche e conoscitive degli studenti,
  • il supporto alla diffusione e allo sviluppo dei Poli a orientamento artistico,
  • la promozione di Reti tra scuole per la co-progettazione di attività per lo sviluppo dei temi della creatività,
  • la promozione di percorsi di conoscenza del patrimonio artistico, culturale, ambientale e del Made in Italy,
  • l’agevolazione per la fruizione dei musei e dei luoghi di cultura, mostre, esposizioni, concerti, spettacoli, da parte degli studenti e
  • l’ incentivazione di tirocini e stage artistici di studenti all’ estero.

La governance per la promozione della conoscenza e della pratica delle Arti, oltre al MIUR e al MIBACT (Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo) vede la partecipazione dell’Indire per la gestione delle attività di indirizzo e coordinamento, oltre alle Istituzioni AFAM (Alta Formazione Musicale e Coreutica), alle Università, agli ITS (Istituti Tecnici Superiori), gli Istituti del MIBACT, gli Istituti di Cultura Italiana all’estero, soggetti pubblici e privati.

Sono previste collaborazioni tra MIUR e Indire per lo sviluppo del Piano delle Arti, in particolare l’Indire avrà il compito di:

  • offrire formazione e consulenza ai docenti impegnati nello sviluppo dei temi della creatività,
  • essere di supporto per l’attivazione di laboratori permanenti di didattica dell’espressione creativa,
  • incentivare la raccolta e la diffusione delle buone prassi.

La formazione dei docenti impegnati nei temi della creatività costituisce una delle priorità strategiche del Piano Nazionale di Formazione del Miur e del P.N.S.D. Relativamente alla pratica artistica e musicale nei cicli del sistema educativo, nelle scuole dell’infanzia e del primo ciclo devono essere promosse attività di conoscenza e sensibilizzazione ai temi della creatività, in particolare alla pratica musicale, attraverso l’impiego di docenti anche di altro grado scolastico, in possesso di specifici requisiti, che verranno appositamente formati.

Nella scuola secondaria di primo grado, si realizzeranno attività connesse ai temi della creatività in continuità con i percorsi della scuola primaria, inoltre sarà facilitata e potenziata la nascita delle scuole secondarie a indirizzo musicale. Le scuole secondarie di secondo grado, devono inserire nel Piano triennale dell’offerta formativa, attività che comprendano la conoscenza del patrimonio artistico-culturale, la pratica delle arti e della musica, sviluppando uno o più temi della creatività, avvalendosi anche dei linguaggi multimediali e delle nuove tecnologie.

Inoltre, le scuole devono individuare uno spazio destinato agli studenti, dove possono esporre opere, realizzare spettacoli, esprimere liberamente la loro creatività artistica. Alla luce di quanto esposto, il D. Lgs. 60/2017 ha il pregio di aver portato l’attenzione sull’esigenza di una formazione, che responsabilizzi le future generazioni alla cura e tutela del patrimonio artistico e culturale. Di contro, come punto di debolezza si evidenzia una poca chiarezza di tutto l’impianto organizzativo, che difficilmente potrà avere un impatto significativo sulla quotidianità dei processi educativi e gestionali del sistema scolastico.

Nuovo reclutamento docenti: D. Lgs. 59/17

Cambia il modo con il quale si diventa docenti nella Scuola Secondaria per una riqualificazione sociale e culturale della professione.

Il  D. Lgs. 59/17 rinnova il sistema della formazione iniziale e  dell’accesso al ruolo di docente a tempo indeterminato nella Scuola Secondaria di I e II grado, su posti comuni e di sostegno, a norma dell’ art.1, commi 180 e 181, della L. 107/15.

Il  nuovo sistema prevede, previo superamento di  un concorso pubblico nazionale per titoli ed esami, l’ammisione ad un percorso triennale di formazione iniziale, tirocinio e inserimento nella funzione docente (FIT), superato il quale si viene confermati  a tempo indeterminato.

Al concorso, che a partire dal 2018 sarà indetto con cadenza biennale su base regionale o interregionale, si accede con il possesso del titolo di studio richiesto e di  almeno 24 crediti formativi in settori antropo-psico-pedagogici e metodologie e tecniche didattiche.

Sono previste due prove scritte (tre per i posti di sostegno) di cui la prima su una disciplina a scelta, appartenente alla specifica classe di concorso, e l’altra relativa alle discipline antropo-psico-pedagogiche e metodologie e tecniche didattiche. La prova in aggiunta per il sostegno farà capo alla pedagogia speciale e alla didattica dell’inclusione mentre la prova orale si svolgerà su tutte le discipline della classe di concorso e verificherà, al contempo, le competenze informatiche e di lingua straniera.

Il percorso FIT, distinto tra posti comuni e di sostegno, ha l’obiettivo precipuo di favorire e rafforzare nei futuri docenti competenze pedagogiche, didattico-metodologiche, valutative, relazionali ed organizzative connesse al ruolo e funzionali alla formazione e alla crescita culturale degli studenti.

Il FIT si realizza mediante una collaborazione strutturata e paritetica fra scuola, università e istituzioni AFAM. Il primo anno, che si svolge principalmente nelle strutture accademiche con momenti di tirocinio nelle scuole, è finalizzato al conseguimento di un diploma di specializzazione per l’insegnamento nella Scuola Secondaria in una specifica classe di concorso o in pedagogia e didattica speciale per le attività di sostegno e l’inclusione scolastica. Segue un secondo anno di formazione, integrato con attività di tirocinio nelle scuole ed iniziali attività di insegnamento attraverso supplenze brevi per assenze fino a 15 giorni. Durante il terzo anno al docente sarà assegnata una cattedra vacante e disponibile.

Nel primo anno il docente beneficia di un compenso di circa 600 euro, per dieci mesi, cui si aggiunge, nei due periodi successivi, la retribuzione per le supplenze brevi o annuali.  I candidati sono valutati al termine di ogni periodo di formazione e alla fine del terzo anno sono immessi in ruolo se conseguono risultati positivi.

Il D. Lgs. 59/17 disciplina una fase transitoria relativa alle posizioni di docenti abilitati all’insegnamento o con anni di servizio cui assicura riserve di posti ferma restando la valutazione professionale in campo prima dell’immissione in ruolo.

La formazione dei docenti ha un ruolo essenziale ai fini del miglioramento e dell’adeguamento del sistema scolastico alle richieste del mondo contemporaneo.

ll D. Lgs. 59/17 ne cura la fase inziale inserendosi nel contesto di una più ampia previsione normativa che ha reso la formazione professionale permanente, strutturale e obbligatoria affinché il servizio di istruzione e formazione sia sempre più adeguato e funzionale allo scopo per il quale è designato.

I nuovi istituti professionali

L’istruzione professionale ha raggiunto negli ultimi dieci anni uno sviluppo ed una maturità ineguagliabili. Fino al 2010 gli studenti del professionale avevano la possibilità di conseguire alla fine del terzo anno una qualifica professionale; successivamente con il DPR n. 87 del 2010 il Regolamento, recante norme per il riordino degli istituti professionali, ha ridefinito l’identità degli stessi incanalando l’istruzione professionale verso una dimensione operativa, in risposta alle esigenze formative del settore produttivo di riferimento per un rapido inserimento dello studente nel mondo del lavoro.

La suddivisione del quinquennio in due bienni ed un monoennio dava l’opportunità agli studenti di scegliere tra 6 settori di cui due di Industria e artigianato e 4 dei Servizi. L’Allegato A contenente il Profilo educativo, culturale e professionale dello studente veniva poi completato dall’allegato B con gli indirizzi ed il quadro orario ed i risultati di apprendimento nel corso delle 1052 ore annuali.

Con le Linee Guida per il passaggio al nuovo ordinamento degli Istituti Professionali (emanate con Direttiva Miur 28 luglio 2010, n. 65) si è proceduto alla definizione dei nuovi professionali, a loro volta potenziati con il D.L. 31 gennaio 2007 n. 7 convertito in L. 2 aprile 2007 n. 40.

La Legge 128/2013 ha introdotto in una delle due classi del primo biennio un’ora di insegnamento della geografia generale e di economica laddove non fosse già prevista (DM 11 settembre 2014). L’orario complessivo è salito così a 1085 ore annuali.

Il DPR 87/2010 all’art. 4 c. 1 ha individuato due Settori di Servizi ed Industria ed artigianato. Due sono gli indirizzi per il Settore industria ed artigianato: Produzioni industriali ed artigianali e di Manutenzione e assistenza tecnica.

Gli istituti professionali per industria ed artigianato sono stati dotati di ufficio tecnico per migliorare l’uso dei laboratori, essendo nota caratteristica di questi istituti la didattica laboratoriale.

Ciascun profilo culturale dei professionali prevede un’area di insegnamenti comuni ed un’area di indirizzo specifica.

L’attuazione della Legge 107/2015 ha ulteriormente modificato gli istituti professionali innovando i settori e gli indirizzi a partire dalla revisione dei professionali nel rispetto dell’articolo 117 della Costituzione. La piena attuazione della riforma dall’anno scolastico 2022-23 renderà abrogato il DPR 87/2010 ed a pieno regime il decreto legislativo 61/2017.

Tale decreto attuativo della L. 107/2015, risponde a diversi bisogni formativi emersi negli ultimi anni, in primis le esigenze di IP da parte di immigrati e studenti con diverse difficoltà di apprendimento, in seconda istanza il bisogno dell’economia del nostro paese di implementare e potenziare il made in Italy.

Il decreto 61, inoltre, intende sistematizzare i campi di istruzione e formazione professionale, superando le sovrapposizioni e chiarendo il ruolo delle istituzioni scolastiche rispetto alla formazione professionale regionale.

Oggi due settori a confronto per 11 indirizzi di studio, un nuovo assetto organizzativo che prevede l’articolazione del quinquennio in un biennio ed un triennio (art. 4).

Un primo biennio di complessive 2112 ore articolate in 1188 di istruzione generale e 924 di indirizzo specifico, un successivo triennio di complessive 1056 ore annue, divise tra 462 ore di area generale e 594 insegnamenti di indirizzo. Durante il primo biennio una quota non superiore alle 264 ore è destinata alla  realizzazione del Progetto formativo individuale (art. 5); nel primo biennio si programma per assi culturali, nel triennio si aggregano le discipline di istruzione generale.

Ciascun professionale potrà usufruire del 20% della quota di autonomia sia nel biennio che nel triennio, del 40% di flessibilità negli anni del triennio, nonché stipulare contratti d’opera, costituire un CTS, connettersi con il sistema IeFP (art.6).

A norma dell’articolo 4, comma 4, del D. Lgs. n. 61/2017, le istituzioni scolastiche che offrono percorsi di istruzione professionale possono attivare, in via sussidiaria, previo accreditamento regionale secondo modalità da definirsi con gli accordi di cui all’articolo 7, comma 2, percorsi di istruzione e formazione professionale per il rilascio della qualifica e del diploma professionale quadriennale.

Viene costituita la Rete nazionale delle scuole professionali (art. 7) tra scuole statali e paritarie e istituzioni formative accreditate, per rendere possibili i passaggi tra IP e IeFP al conseguimento della qualifica triennale poiché è istituito il Repertorio nazionale dei titoli di studio (art. 8).

A norma dell’articolo 8, comma 1, del D. Lgs. n. 61/2017, i passaggi tra i percorsi di istruzione professionale e i percorsi di istruzione e formazione professionale costituiscono una delle opportunità che garantiscono alla studentessa e allo studente la realizzazione di un percorso personale di crescita e di apprendimento.

Il nuovo ordinamento partirà dal prossimo anno scolastico (art. 11).

Il decreto n. 92 del 24 maggio 2018 costituisce un passaggio fondamentale in quanto nei suoi 9 articoli e 4 allegati definisce i profili in uscita dell’area generale, i profili degli 11 indirizzi di studio, la correlazione degli indirizzi alle attività economiche nazionali, la correlazione dei profili ai settori economico-professionali, l’articolazione dei quadri orari, la correlazione tra qualifiche e diplomi professionali.

Ci saranno le linee guida da adottare per il biennio entro 90 giorni, per il triennio entro 180 giorni. In area generale sono rivisti gli insegnamenti comuni a tutti gli indirizzi, riferiti all’asse dei linguaggi, matematico e storico sociale; gli insegnamenti di indirizzo saranno riferiti all’asse tecnologico e professionale.

Nella nuova definizione del PTOF vanno considerate le indicazioni prioritarie regionali; vanno inoltre applicati il principio della personalizzazione educativa (art. 6) che al 31 gennaio 2019 dovrà condurre il consiglio di classe alla redazione del progetto formativo individuale (PFI), grazie al ruolo cardine del tutor individuato dal DS nell’ambito del consiglio di classe. Tutto il personale scolastico sarà destinatario di misure di accompagnamento e di formazione specifica (art. 7), come già confermato dal Miur nelle linee programmatiche del Dicastero dell’11 luglio 2018.

La nuova Legge sui servizi educativi per 0-6 anni: D.L. 65/2017

Il paradosso del sentimento dell’infanzia che caratterizza la nostra società ormai è un dato di fatto. Nonostante oggi l’idea di un/a bambino/a da 0-6 anni bisognoso solo di assistenza e affetto sia stata culturalmente e socialmente superata da tempo, grazie anche alla Convenzione Internazionale sui diritti dell’infanzia del 1989, in molti casi si fa ancora fatica a realizzare un’azione educativa che renda tale bambino/a attivo, partecipe, competente e dunque protagonista e attore/attrice dei propri cambiamenti.

Il D.L. N. 65 del 13 aprile 2017, Sistema integrato di educazione e di istruzione per le bambine e per i bambini in età compresa dalla nascita fino ai sei anni, partendo dalla consapevolezza che l’educazione e la cura della prima infanzia costituiscono la base essenziale per il buon esito dell’apprendimento permanente, dell’integrazione sociale, dello sviluppo personale di tutti i soggetti, ha finalmente recepito tale paradosso e reso operativa e reale una progettualità educativa e formativa nuova.

Tale decreto pertanto, rappresenta la parte più innovativa e qualificante della legge 107/2015, Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione, della cosiddetta Buona Scuola, in quanto per la prima volta tale fascia d’età ne entra a far parte.

Molti i suoi punti qualificanti, ma quelli più significativi sono presenti nell’art. 1 e nell’art. 13.

Dopo aver definito all’art. 1 comma 1 che i servizi educativi per l’infanzia devono essere articolati in

  1. a) nido e micronido; servizi integrativi; sezioni primavera
  2. b) scuole dell’infanzia statali e paritarie

tale decreto sottolinea che alle bambine e ai bambini, dalla nascita fino ai sei anni, per sviluppare potenzialità di relazione, autonomia, creatività, apprendimento, in un adeguato contesto affettivo, ludico e cognitivo, sono garantite pari opportunità di educazione e di istruzione, di cura, di relazione e di gioco, superando disuguaglianze e barriere territoriali, economiche, etniche e culturali.

Sottolinea cioè che la funzione educativa e sociale di tali istituzioni deve mirare da subito all’inclusione di tutti i soggetti.

Inclusione che all’art.1, comma 2, viene ben declinata attraverso le finalità che esso si pone e cioè:

  • promuovere la continuità del percorso educativo e scolastico, con particolare riferimento al primo ciclo di istruzione, favorendo lo sviluppo delle bambine e dei bambini in un processo unitario, in cui le diverse articolazioni del Sistema integrato di educazione e di istruzione collaborano attraverso attività di progettazione, di coordinamento e di formazione comuni;
  • concorrere a ridurre gli svantaggi culturali, sociali e relazionali e favorire l’inclusione di tutte le bambine e di tutti i bambini attraverso interventi personalizzati e un’adeguata organizzazione degli spazi e delle attività;
  • accogliere e rispettare le diversità;
  • sostenere la primaria funzione educativa delle famiglie, favorendone il coinvolgimento nell’ambito della comunità educativa e scolastica;
  • favorire la conciliazione tra i tempi e le tipologie di lavoro dei genitori e la cura delle bambine e dei bambini, con particolare attenzione alle famiglie monoparentali;
  • promuovere la qualità dell’offerta educativa avvalendosi di personale educativo e docente con qualificazione universitaria e attraverso la formazione continua in servizio, la dimensione collegiale del lavoro e il coordinamento pedagogico territoriale.

Per la prima volta, attraverso tale decreto, viene legittimato che sono proprio le primissime esperienze dei bambini quelle che gettano le basi per ogni forma di apprendimento ulteriore.

Viene deliberato non solo culturalmente ma anche giuridicamente che la formazione, per offrire a tutti la possibilità di partecipare attivamente al mondo sociale, culturale e professionale, deve partire dai primi giorni di vita del bambino e lavorare sia sulle componenti logico-razionali del suo sviluppo che su quelle emotive e affettive, attivando un processo che si svolge in una serie di apprendimenti, progetti e verifiche successive.

Per realizzare tutto ciò, l’altro aspetto qualificante di tale decreto è l’art. 14, comma 3, in cui viene precisato che a decorrere dall’anno scolastico 2019/2020 l’accesso ai posti di educatore di servizi educativi per l’infanzia è consentito esclusivamente a coloro che sono in possesso della laurea triennale in Scienze dell’educazione nella classe L.19 a indirizzo specifico per educatori dei servizi per l’infanzia.

Con chiara consapevolezza pedagogica, attraverso questo articolo viene deliberato che, la formazione di coloro che, in qualità di care giver e dunque di educatori, devono supportare lo sviluppo di tali soggetti, deve essere acquisita secondo un ben definito percorso universitario. Un corso di laurea che già da anni la pedagogia realizza convinta che solo operatori competenti possono rispondere agli autentici bisogni di sviluppo di tutti i soggetti a partire dai primi giorni di vita.

Questo decreto, oggi in forma già attuativa, anticipa e supporta in parte la proposta di legge Iori 2656 (oggi in senato 2443) che ha nel suo impianto il riconoscimento giuridico di tutti gli educatori sociopedagogici laureati nei corsi di laurea L-19 triennali e tra cui anche quella di educatore per l’infanzia. Un riconoscimento che oggi non può più essere disatteso.

Politiche d’inclusione: D. Lgs. 66/2017: un’occasione mancata?

Aspetti critici da risolvere in quarant’anni di integrazione scolastica

Degli otto decreti attuativi della Legge “La Buona Scuola”, il D. Lgs. 66/2017, recante “Norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità” (articolo 1, commi 180 e 181, lettera c, legge 13 luglio 2015, n. 107), è senza dubbio uno dei più controversi. Lo stesso iter di approvazione del provvedimento, dallo “schema” legislativo fino alla stesura definitiva, è stato oggetto di dibattiti anche accesi.

In effetti, se da una parte erano molte le aspettative che hanno portato alla stesura del D. Lgs. 17 aprile 2017, n. 66, dall’altra questo provvedimento è stato letto da alcuni come foriero di una involuzione del processo inclusivo che ha avuto avvio in Italia sin dai primi anni ’70, grazie ad una legislazione all’avanguardia in Europa (basti pensare alla Legge 517/1977 e alla Legge Quadro 104/1992). Non va infatti dimenticato che da almeno quarant’anni la scelta dell’integrazione è stata fatta propria dall’opinione pubblica italiana e la scuola è certamente in prima linea in questa consapevolezza culturale.

Il testo del decreto definitivamente approvato recepisce solo parzialmente i rilievi che sono stati fatti e, nel suo complesso, si rivela di problematica applicazione. L’intervento riformatore varato dalla Legge “La Buona Scuola” risponde, ad ogni modo, al bisogno di ridare nuova linfa a un processo in crisi e all’esigenza di risolvere alcune criticità, inefficienze e “cattive prassi” che hanno caratterizzato nel tempo l’esperienza di integrazione scolastica degli alunni con disabilità, come la scarsa formazione dei docenti curricolari – e talvolta anche di quelli specializzati per il sostegno – , la loro deresponsabilizzazione e la tendenza a delegare al solo docente di sostegno, vissuto come insegnante “speciale”, la gestione dell’intervento didattico nei confronti degli alunni con disabilità, il più delle volte scarsamente integrati nel contesto del gruppo-classe; per non parlare della prassi dei cd. trattenimenti “maturativi” o delle “bocciature strumentali”.

Tra gli ulteriori aspetti critici, che coinvolgono tutte le fasi del modello di integrazione definito dalla L. 104/1992, vanno annoverati:

  • l’approccio, ancora prevalentemente medico e clinico, al fenomeno della disabilità intesa come uno stato di invalidità che necessita di una certificazione per essere meritevole di tutela e riconoscimento da parte delle istituzioni a ciò preposte (in primis la scuola, ma anche l’ASL e l’ente locale di riferimento, ossia il Comune);
  • la tendenza a tener distinti e separati il ruolo del soggetto certificatore (in precedenza l’ASL, ora l’INPS) e quello dell’ente (Amministrazione scolastica) responsabile dell’assegnazione delle risorse professionali al sostegno;
  • l’eccessiva mobilità degli insegnanti di sostegno, il cui incarico, di anno in anno, dipende dal numero degli studenti con disabilità iscritti a scuola (ed è inoltre connesso alla tipologia di deficit e alla sua gravità);
  • la scarsità delle risorse specializzate, dovuta soprattutto all’inadeguatezza della preparazione professionale degli insegnanti curricolari, per lo più totalmente digiuni della formazione di base nella didattica speciale;
  • lo scarso coinvolgimento delle famiglie, per la strutturale carenza di informazioni circa le reti di servizi e le risorse disponibili per il sostegno;
  • le limitate e insufficienti iniziative di orientamento professionale sino ad ora rivolte agli alunni con disabilità.

Le risposte del nuovo decreto per rilanciare l’inclusione: un passo in avanti o una battuta d’arresto?

Il decreto attuativo della delega potrà cambiare questo complesso stato di fatto? E’ ancora presto per dirlo, tenuto anche conto del fatto che è stata prevista dal Legislatore una gradualità degli interventi, per consentire l’adozione dei necessari provvedimenti attuativi e per assicurare idonee misure di accompagnamento.

L’assetto complessivo (con particolare riferimento alle innovazioni introdotte in materia di certificazione e quantificazione delle risorse per il sostegno didattico), entrerà infatti a regime dal 1° gennaio 2019.  Senza dubbio, però, sin da una prima lettura dell’articolato è possibile comprendere che il decreto 66/2017, nel presentarsi come un piccolo testo unico che ambisce a regolamentare le politiche dell’integrazione, cerca di dare una soluzione organica ed esaustiva ai numerosi motivi di insoddisfazione per la scarsa qualità delle pratiche inclusive emersi negli ultimi anni.

L’obiettivo principale dell’intervento riformatore avviato con la “Buona Scuola”, nelle intenzioni del MIUR, è infatti quello di rilanciare l’inclusione scolastica e di rafforzare il concetto di “scuola inclusiva”, come emerge nell’enunciazione dei principi e delle finalità del provvedimento enucleati nell’art. 1. Ai sensi dell’art. 1, co. 1, lett. a), “l’inclusione scolastica… si realizza attraverso strategie educative e didattiche finalizzate allo sviluppo delle potenzialità di ciascuno nel rispetto del diritto all’autodeterminazione e all’accomodamento ragionevole, nella prospettiva della migliore qualità di vita”.

Tale obiettivo va perseguito attraverso il rinnovamento delle politiche per l’inclusione scolastica e la promozione di una più incisiva partecipazione delle famiglie e delle associazioni di riferimento, quali interlocutori principali dei processi di inclusione nel contesto scolastico e sociale (art. 1, co.2).

Per quanto riguarda l’ambito di applicazione (art. 2), va però osservato che l’intervento del provvedimento è circoscritto alle sole disabilità certificate: esso infatti si applica esclusivamente agli allievi di tutti gli ordini e gradi scolastici (dalla scuola dell’infanzia alla scuola secondaria di 2° grado) con disabilità certificata ai sensi dell’art. 3 della L. 104/1992, al fine di promuovere e garantire loro il diritto all’educazione, all’istruzione e alla formazione.

Il decreto legislativo 66/2017 risponde quindi a una precisa scelta di politica “inclusiva”, volta ad escludere – mi si passi il gioco di parole ma tale scelta, di per sé, potrebbe sembrare paradossale, trattandosi di un provvedimento finalizzato al rilancio dell’inclusione scolastica – dall’ambito di applicazione della riforma le ulteriori categorie degli alunni certificati con DSA (disturbi specifici dell’apprendimento) o con BES (bisogni educativi speciali): vale a dire tutta quell’ampia casistica di alunni che, a causa di deficit, carenze o disturbi di diversa natura, hanno difficoltà a seguire il percorso curricolare di classe senza aiuti supplementari e rischiano di rimanere ai margini dei processi di apprendimento e di partecipazione.

Sarebbe quindi stato auspicabile che la riforma della “Buona Scuola” proponesse una normativa più complessa e articolata, che tenesse conto anche di questi soggetti deboli che, in passato, hanno ottenuto visibilità e tutela giuridica in seguito all’emanazione della legge 8 ottobre 2010, n. 170 e alla pubblicazione delle Linee Guida del 27 dicembre 2012 (direttiva sui BES).

Il provvedimento invece, ponendosi entro i ristretti confini imposti dalla legge delega 107/2015, sembra concentrarsi su alcune garanzie ormai consolidate nella logica del “sostegno” agli studenti disabili in senso tradizionale, mettendo a sistema tutti i principali interventi a sostegno dell’inclusione scolastica, come i servizi di assistenza e l’utilizzazione delle risorse professionali, finanziarie e strumentali disponibili, la certificazione funzionale e la previsione di figure professionali specializzate, di cui si cerca di salvaguardare una continuità di presenza e di intervento.

Nel complesso, dunque, il decreto legislativo 66/2017 parrebbe segnare una battuta d’arresto rispetto alla normativa in materia di DSA e BES e, al tempo stesso, sviluppare e regolamentare aspetti già previsti dalla Legge quadro (L. 104/1992), pur valorizzando la cultura inclusiva relativa ai disabili così come si è andata evolvendo nel tempo (quanto meno a partire dagli anni Novanta) alla luce della normativa sull’autonomia e sul decentramento e armonizzando le politiche per l’inclusione messe in campo da tutti gli attori istituzionali coinvolti.

L’obiettivo complessivo del nuovo decreto è infatti il tentativo di migliorare la qualità dell’integrazione scolastica, attraverso il coordinamento delle numerose norme che si sono succedute – a volte disordinatamente – nel corso degli anni. In effetti, più che puntare sugli elementi di novità, che comunque sono significativi (come l’introduzione dell’ICF e i nuovi percorsi di formazione dei docenti specializzati), prevale l’idea che, con il provvedimento in questione, il Legislatore voglia dare una sistemazione organica a elementi spesso frammentari e scarsamente coordinati tra loro.

I punti di forza e le principali novità introdotte dal decreto.

Senza avere la pretesa di esaminare in modo analitico il provvedimento (non essendo questa la sede più opportuna, per esigenze di brevità), vale però la pena, a questo punto, mettere sinteticamente in luce alcuni contenuti innovativi dell’articolato, per coglierne tutte le possibili opportunità e i futuri sviluppi applicativi.

  1. Stato, Scuola, Regioni, Enti locali: a chi spetterà cosa?

Il primo aspetto innovativo è dato proprio dalla puntuale definizione dei compiti spettanti a ciascun attore istituzionale (Stato, Regioni, Istituzioni Scolastiche ed Enti locali). A norma dell’art. 3 del D. Lgs. 66/2017 (Prestazioni e competenze), le prestazioni e i servizi necessari per garantire l’inclusione scolastica sono assicurati dallo Stato, dalle Regioni e dagli Enti Locali e le competenze in materia di inclusione degli alunni disabili vengono ripartite nel seguente modo.

Lo Stato provvede, per il tramite dell’Amministrazione Scolastica:

  • all’assegnazione nella scuola statale dei docenti per il sostegno didattico;
  • all’assegnazione dei collaboratori scolastici nella scuola statale, anche per lo svolgimento dei compiti di assistenza previsti dal profilo professionale;
  • alla definizione dell’organico del personale ATA, tenendo conto, tra i criteri per il riparto delle risorse professionali, della presenza di alunni e di studenti con disabilità certificata presso ciascuna istituzione scolastica statale;
  • all’assegnazione alle istituzioni scolastiche di un contributo economico, parametrato al numero degli alunni e studenti disabili rispetto al numero complessivo degli alunni frequentanti;
  • alla costituzione delle sezioni per la scuola dell’infanzia e delle classi prime per ciascun grado di istruzione, in modo da consentire, di norma, la presenza di non più di 22 allievi ove siano presenti studenti con disabilità certificata, fermo restando il numero minimo di alunni o studenti per classe, ai sensi della normativa vigente.

Gli Enti Locali, nei limiti delle risorse disponibili, assicurano:

  • l’assegnazione del personale dedicato all’assistenza educativa e all’assistenza per l’autonomia e per la comunicazione personale, in coerenza con le mansioni dei collaboratori scolastici;
  • i servizi per il trasporto per l’inclusione scolastica;
  • l’accessibilità e la fruibilità degli spazi fisici delle istituzioni scolastiche statali previsti dall’articolo 8, comma 1, lettera c), della legge 104/1992 e dall’articolo 2, comma 1, lettera b), della legge 23/1996.

Lo Stato, le Regioni e gli Enti Locali garantiscono l’accessibilità e la fruibilità dei sussidi didattici, degli strumenti tecnologici e digitali necessari a supporto dell’inclusione scolastica agli alunni e agli studenti con disabilità.

  1. Il ruolo determinante dell’INVALSI nell’individuare gli indicatori per la valutazione della qualità del delicato processo relativo all’inclusione scolastica.

Un altro aspetto significativo, che senza dubbio rappresenta una delle principali novità della riforma, è rappresentato dall’introduzione nel processo di valutazione delle istituzioni scolastiche di quello che viene definito il “livello di inclusività” – vale a dire la misurazione della qualità dell’inclusione scolastica – raggiunto da ciascuna istituzione scolastica.

Grazie alla riforma, quindi, la valutazione della qualità dell’inclusione scolastica diventa parte incisiva del procedimento di valutazione delle istituzioni scolastiche. Ogni scuola deve infatti predisporre, nell’ambito del PTOF, un Piano specifico per l’Inclusione (PI), per il quale vengono definiti dalla legge contenuti e modalità attuative (art. 8) e che rappresenta il principale documento programmatico e operativo in materia di inclusione.

Il Piano per l’Inclusione è quindi parte integrante del Piano Triennale dell’Offerta Formativa e definisce l’utilizzo integrato delle risorse (strumentali, professionali, progettuali) per migliorare la qualità dell’inclusione scolastica degli alunni disabili: aspetto, questo, che entra così a pieno titolo nei processi di valutazione delle scuole. L’art. 4 del provvedimento, avente ad oggetto la valutazione della qualità dell’inclusione scolastica, stabilisce infatti che la valutazione del “livello di inclusività” è parte integrante del procedimento di valutazione delle istituzioni scolastiche previsto dall’articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica 28 marzo 2013, n. 80 (“Regolamento sul sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione”).

Ogni scuola è quindi tenuta ad inserire nel proprio rapporto di autovalutazione (RAV) una serie di descrittori rispetto ai quali esprimere un posizionamento autovalutativo, nonché ipotesi di miglioramento, in riferimento “livello di inclusività” raggiunto.

Nella valutazione della qualità dell’inclusione scolastica, come stabilisce l’art. 4, co. 2, un ruolo determinante spetta all’INVALSI che, in fase di predisposizione dei protocolli di valutazione e dei quadri di riferimento dei rapporti di autovalutazione, ha l’importante compito di definire gli specifici indicatori di inclusività sui principali aspetti dell’integrazione, di carattere organizzativo, didattico e professionale, sulla base dei seguenti criteri:

  1. livello di inclusività del Piano Triennale dell’Offerta Formativa come concretizzato nel Piano per l’inclusione scolastica;
  2. realizzazione di percorsi per la personalizzazione, individualizzazione e differenziazione dei processi di educazione, istruzione e formazione, definiti ed attivati dalla scuola, in funzione delle caratteristiche specifiche delle bambine e dei bambini, delle alunne e degli alunni, delle studentesse e degli studenti;
  3. livello di coinvolgimento dei diversi soggetti nell’elaborazione del Piano per l’inclusione e nell’attuazione dei processi di inclusione;
  4. realizzazione di iniziative finalizzate alla valorizzazione delle competenze professionali del personale della scuola, incluse le specifiche attività formative;
  5. utilizzo di strumenti e criteri condivisi per la valutazione dei risultati di apprendimento delle alunne e degli alunni, delle studentesse e degli studenti, anche attraverso il riconoscimento delle differenti modalità di comunicazione;
  6. grado di accessibilità e di fruibilità delle risorse, attrezzature, strutture e spazi, in particolare, dei libri di testo adottati e dei programmi gestionali utilizzati dalla scuola.

Di questi criteri le istituzioni scolastiche dovranno tener conto nell’ambito dei processi di autovalutazione e di valutazione di sistema (SNV). Gli indicatori utilizzati per la valutazione della qualità dell’inclusione scolastica vengono definiti dall’INVALSI in collaborazione con l’Osservatorio Permanente per l’Inclusione Scolastica, istituito presso il MIUR (art. 15), con compiti di analisi, monitoraggio, proposte di sperimentazione, pareri. Presieduto dal Ministro o da un suo delegato, questo nuovo organismo è composto da rappresentanti delle Associazioni delle persone con disabilità maggiormente rappresentative sul territorio nazionale nel campo dell’inclusione scolastica, da studenti e da altri soggetti pubblici e privati, comprese le istituzioni scolastiche, nominati dal MIUR.

In merito alla misurazione della qualità dell’integrazione scolastica e alla valutazione del “livello di inclusività”, è però necessario sviluppare alcune ulteriori considerazioni. Appare infatti particolarmente degna di nota l’attenzione alle scelte della scuola in materia di inclusione degli alunni con disabilità e alla centralità del progetto inclusivo delle singole istituzioni scolastiche che, grazie alla riforma della “Buona Scuola”, diventa parte integrante nella valutazione di sistema.

Se, come si è già detto, l’obiettivo complessivo del nuovo decreto è il tentativo di migliorare la qualità dell’integrazione scolastica, la chiave di volta dell’impalcatura della “scuola inclusiva”, o meglio la “cartina di tornasole” del raggiungimento di un buon livello di inclusività è senza dubbio rappresentata dal rafforzamento dei sistemi di monitoraggio e valutazione dell’integrazione.

Occorre però considerare che la qualità dell’inclusione è, di per sé, un fenomeno di difficile misurazione quantitativa e che quindi un sistema di indicatori oggettivi che si affidi a benchmark quantitativi, a procedure valutative eccessivamente performative o a graduatorie tra istituzioni scolastiche in senso meramente comparativo, difficilmente potrà rappresentare uno strumento efficace per la misurazione e la valutazione di un sistema inclusivo che, all’opposto, implica la mobilitazione dal basso di risorse professionali e organizzative interne ed esterne, in un clima collaborativo e in un contesto di condivisione di valori basato soprattutto sul senso di appartenenza a una comunità educante ed inclusiva, sull’accoglienza, sulla promozione delle relazioni umane, sull’aiuto reciproco e sul sentimento di solidarietà.

Solo se si sarà in grado di coltivare e sviluppare un contesto del genere, la scuola potrà dirsi veramente “inclusiva”, ossia efficace per tutti e mirante al successo formativo degli allievi, nessuno escluso.

  1. Il nuovo iter dell’inclusione scolastica e la nuova documentazione: il Profilo di Funzionamento.

Importanti novità riguardano anche il percorso dell’inclusione e i documenti di riferimento. Il D. Lgs. 66/2017 infatti incrementa ulteriormente la qualificazione professionale specifica delle commissioni mediche preposte alla certificazione della disabilità, introduce una nuova e più articolata procedura per il sostegno didattico, in vista della redazione del Profilo di Funzionamento (PdF), e definisce una nuova dimensione del Piano Educativo Individualizzato (PEI), che a sua volta diverrà parte integrante del Progetto Individuale (di competenza del Comune), aggiornato al passaggio di ogni grado di istruzione.

Si ricordi che alcune tra le maggiori novità del decreto – quelle che riguardano, nello specifico, la costituzione delle commissioni mediche per il riconoscimento della disabilità in età evolutiva e l’adozione del Profilo di Funzionamento, e che si intende in questa sede prendere conclusivamente in considerazione – entreranno in vigore dal 1° gennaio 2019.

Con alcune modifiche all’art. 4 della legge n.104 del 1992 (procedure per la certificazione dell’handicap), l’art. 5 del D. Lgs. 66/2017 disciplina un nuovo assetto delle commissioni mediche per il riconoscimento della disabilità in età evolutiva, istituite presso l’INPS, prevedendo che, nei casi di persone in età evolutiva, le stesse siano composte da: un medico specialista in medicina legale, con funzioni di presidente; due medici specialisti (in pediatria, in neuropsichiatria infantile  o nella specializzazione inerente la condizione di salute del soggetto); un assistente specialistico o operatore sociale, individuati dall’ente locale; un medico dell’INPS. La commissione medica decide sul diritto al sostegno didattico, sulla base di una richiesta che la famiglia rivolge all’INPS attraverso il proprio medico di base o pediatra. L’INPS è tenuto a dare riscontro entro e non oltre 30 giorni.

Per quanto riguarda il nuovo iter procedurale previsto del decreto, la procedura di certificazione e documentazione per l’inclusione prevede quindi le seguenti tappe:

  1. Innanzi tutto, i genitori (o chi ne esercita la responsabilità) fanno domanda di accertamento della disabilità in età evolutiva all’INPS.
  2. La Commissione Medica rilascia la certificazione di disabilità.
  3. I genitori trasmettono la certificazione di disabilità:
  • all’Unità (o équipe) di valutazione multidisciplinare, ai fini della predisposizione del PROFILO DI FUNZIONAMENTO (art. 5, c. 5), ai fini della formulazione del Progetto Individuale e del PEI (Piano Educativo Individualizzato);
  • all’ente locale competente (Comune) ai fini della predisposizione del PROGETTO INDIVIDUALE (il quale, per essere attivato, necessita di una formale richiesta da parte dei genitori del disabile);
  • all’Istituzione Scolastica, ai fini della predisposizione del PEI.

L’unità di valutazione multidisciplinare è a sua volta composta da: un medico specialista o un esperto della condizione di salute della persona; uno specialista in neuropsichiatria infantile; un terapista della riabilitazione; un assistente sociale o un rappresentante dell’Ente locale di competenza che ha in carico il soggetto.

Se la procedura, di per sé, non è stata innovata ma confermata dal decreto 66/2017 (pur con la modificazione della composizione dell’equipe multidisciplinare), un cambiamento radicale si ha invece in materia di Diagnosi Funzionale.

Il Profilo di Funzionamento (PdF), che deve essere redatto successivamente all’individuazione e alla certificazione della condizione di disabilità ad opera della Commissione medica dell’INPS, a far data dal 1 gennaio 2019 (art. 19, c. 1 e 2), sostituirà e accorperà in un unico documento la Diagnosi funzionale e il Profilo dinamico funzionale (art. 5, c. 2 sgg., del D. Lgs. 66/2017, che modifica il comma 5 dell’art. 12 della legge n. 104/1992): supporti documentali, questi ultimi, che attualmente definiscono la tipologia delle misure di sostegno e delle risorse strutturali necessarie per l’inclusione scolastica di cui lo studente ha bisogno per una piena integrazione e che rappresentano documenti essenziali per l’elaborazione del PEI e del Progetto individuale.

Va ricordato che la Diagnosi Funzionale è una certificazione di esclusiva competenza clinica: costituisce infatti una descrizione del funzionamento dell’alunno con disabilità nei diversi settori di sviluppo, con indicazioni rispetto alle potenzialità e ai deficit, all’evoluzione attesa, all’eventuale esigenza di attribuire un educatore ad personam (per le autonomie, la comunicazione, le relazioni sociali…).

Il Profilo Dinamico Funzionale è invece un documento la cui redazione coinvolge diverse ed eterogenee competenze professionali, dato che è elaborato da servizi clinici e dai docenti del Team/Consiglio di classe, in sinergia con i genitori, e ha lo scopo di sintetizzare i dati raccolti – a partire dalla Diagnosi Funzionale, dalle osservazioni sistematiche dei docenti, dalle informazioni dei genitori – facendoli confluire in un “profilo” complessivo dell’alunno, da cui partire per elaborare la progettazione didattico-educativa (P.E.I.).

Il Profilo Dinamico Funzionare era disciplinato dalla Legge Quadro N.104/92 e dal DPR 24 febbraio 1994 (atto di indirizzo), che così recitava: “Il profilo dinamico funzionale indica le caratteristiche fisiche, psichiche, sociali ed affettive dell’alunno e pone in rilievo sia le difficoltà di apprendimento conseguenti alla situazione di handicap e le possibilità di recupero, sia le capacità possedute che devono essere sostenute, sollecitate e progressivamente rafforzate e sviluppate nel rispetto delle scelte culturali della persona”.

Rispetto alla previgente documentazione, la previsione normativa relativa al nuovo Profilo di Funzionamento rappresenta una vera e propria “rivoluzione copernicana” in materia di inclusione degli studenti con disabilità, non tanto e non solo per l’organismo legittimato a redigerlo, quanto, se non soprattutto, per i criteri che ne informano la redazione e per il nuovo modello bio-psico-sociale che ne rappresenta il punto di riferimento fondamentale.

Il nuovo documento è redatto a cura dell’Unità di valutazione multidisciplinare (già prevista dall’art. 3, c. 2, dell’Atto di indirizzo, emanato con D.P.R. 24 febbraio 1994), a forte componente medico-sanitaria, con la collaborazione della famiglia dell’alunno disabile, e vede la partecipazione di un rappresentante dell’amministrazione scolastica, individuato preferibilmente tra i docenti della scuola frequentata.

Propedeutico per la predisposizione del Progetto Individuale e del PEI, tale documento definisce le competenze professionali e la tipologia delle misure di sostegno e delle risorse strutturali necessarie per l’inclusione scolastica ed è aggiornato al passaggio di ogni grado di istruzione, a partire dalla scuola dell’infanzia, nonché in presenza di nuove e sopravvenute condizioni di funzionamento della persona.

In estrema sintesi, il Profilo di Funzionamento contiene la descrizione funzionale dell’alunno in relazione alle difficoltà che dimostra di incontrare e l’analisi dello sviluppo potenziale a breve e medio termine, desunto dall’esame di una serie di criteri e parametri di funzionamento, così come definiti dal modello I.C.F. (International Classification of Functioning) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

A tale riguardo, l’aspetto senza dubbio più innovativo e significativo del progetto di inclusione introdotto dal D. Lgs. 66/2017 consiste proprio nella scelta di adottare come riferimento per la redazione del Profilo di Funzionamento dell’alunno disabile il modello bio-psico-sociale della Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della salute (ICF), adottata dall’OMS. Tale classificazione, che fa riferimento agli standard internazionali dell’ICD (International Classification of Diseases), è stata introdotta dall’OMS sin dal 2001, ma in Italia è stata applicata in modo generalizzato solo a partire dal 2006.

In effetti, sia a livello clinico che sotto il profilo didattico, questo modello di classificazione del funzionamento della disabilità e della salute è tuttora poco conosciuto: esso si basa su un criterio di analisi che prende in considerazione un “continuum” di riferimento, senza soluzioni di continuità tra “normalità” e “patologia”, in relazione al quale ogni persona ha un suo “funzionamento” che dipende sia dalle sue condizioni personali (il suo stato di salute, la sua condizione di benessere, gli effetti della sua malattia) sia dai contesti di vita e di relazione (sociale, familiare, lavorativo) in cui si trova a vivere e a operare.

Ed è proprio la combinazione, che varia da soggetto a soggetto, tra le condizioni personali e il contesto ambientale ed esistenziale a determinare il cd. “profilo di funzionamento”. Dato che ogni persona ha un suo specifico e peculiare “funzionamento”, non è quindi più possibile – se mai lo è stato – determinare un confine netto e rigido tra la “normalità” e la “patologia”.

Tutte le condizioni biologiche e psicologiche che caratterizzano il “funzionamento” degli individui sono quindi ricomprese in uno spettro molto ampio e diversificato, in un “continuum” dove la condizione di ciascun soggetto trova una sua collocazione a seconda delle sue caratteristiche personali e di quelle del contesto in cui si trova a vivere. Il Profilo di Funzionamento rappresenta quindi una sorta di screening delle condizioni della persona (di qualsivoglia persona, non solo del soggetto disabile) e del suo modo di “funzionare”.

Considerando la disabilità come un fenomeno che non solo va analizzato sotto un profilo eziologico-medicale ma anche, se non soprattutto, inserito in un contesto biologico, esistenziale e sociale in cui entrano in gioco molteplici fattori inerenti le caratteristiche del soggetto, le sue capacità residue, il suo benessere, ma anche il suo ambiente di vita, le sue relazioni, le sue potenzialità di crescita, il profilo di funzionamento diventa dunque il nuovo documento “dinamico” da cui prende avvio non solo la progettazione dell’intervento educativo che sfocerà nell’elaborazione e condivisione del Piano Educativo Individualizzato (PEI), ma anche un “progetto individuale” in cui far confluire i diversi momenti della vita di una persona disabile (i trattamenti terapeutici e riabilitativi, il tempo libero, l’inserimento lavorativo, la vita sociale, ecc.).

Sotto questo profilo, la riforma voluta della “Buona Scuola” rappresenta senza dubbio una sfida alla piena realizzazione di una scuola inclusiva: l’adozione del nuovo Profilo di Funzionamento non potrà infatti risolversi in un mero adempimento burocratico e amministrativo ma, per essere coerente con l’idea di piena inclusione e con il riconoscimento in positivo della diversità auspicati dalla L. 107/2015, dovrà tradursi in uno strumento operativo che concorra ad attuare un intervento educativo efficace, di tipo olistico e proattivo, in grado di incidere concretamente e positivamente sul livello di human functioning dell’alunno disabile, sostenendolo nel suo personale percorso di crescita esistenziale e di sviluppo cognitivo e favorendone in concreto la libertà di espressione nel contesto esistenziale e sociale in cui vive, a partire da un ambiente scolastico accogliente e inclusivo a tutti gli effetti.

Questo nuovo percorso richiederà, ovviamente, anche adeguati interventi di formazione e di preparazione delle diverse professionalità chiamate a elaborare il Profilo di Funzionamento e del personale scolastico (docenti curricolari e di sostegno) che lo dovrà rendere operativo trasfondendolo nel P.E.I.  A tale proposito, in conclusione, sembrano particolarmente significative e illuminanti le seguenti osservazioni: «Non si può delegare la Diagnosi funzionale esclusivamente ai tecnici specialisti, con l’aspettativa illusoria che essi forniscano agli insegnanti un “distillato” prodigioso di conoscenze e di linee operative, miracolosamente capace di metterli in condizione di lavorare adeguatamente risolvendo ogni dubbio e difficoltà.

La conoscenza approfondita della situazione dell’alunno, l’esplorazione delle sue capacità, dei suoi deficit e delle varie cause che portano a questa situazione devono coinvolgere una gamma molto ampia di persone e professionalità che, naturalmente, si pongono da prospettive e con metodologie di valutazione diverse, necessariamente da integrare e completare a vicenda».

Bisogni educativi speciali ed inclusione scolastica

Introduzione

Il 27 dicembre 2012 è stata diramata la Direttiva concernente gli “Strumenti d’intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica”, che delinea e precisa la strategia inclusiva della scuola italiana, al fine di realizzare il diritto all’apprendimento per tutti gli studenti in situazione di difficoltà e disagio.

Con la C.M. n. 8 del 6 marzo 2013 sono state, poi, diramate le “Indicazioni operative”.

La nuova Direttiva ministeriale definisce le linee del cambiamento per rafforzare il paradigma inclusivo attraverso

  • Potenziamento della cultura dell’inclusione
  • Approfondimento delle competenze di politiche di inclusione per gli insegnanti curricolari
  • Nuovo modello organizzativo nella gestione del processo di integrazione scolastica e di presa in carico dei BES da parte dei docenti (PDP).

A partire da queste indicazioni generali, tentiamo un’analisi più attenta sull’attuale situazione in cui versano diverse istituzioni scolastiche alle prese con emergenti problematiche, relative a situazioni di disagio che i bambini portano con sé e che richiedono una particolare attenzione nonché un supporto positivo affinché si possano superare con professionalità e vero senso di umanità.

I “BES” chi sono?

Con l’abbreviazione BES si fa riferimento ai Bisogni Educativi Speciali, in modo particolare, a tutti quegli alunni che presentano delle difficoltà che prevedono interventi individualizzati. Il termine “speciale”, soprattutto quando ci si riferisce alla disabilità, potrebbe far pensare a qualcosa di diverso dal cosiddetto “normale”, per questo motivo riconducibile a qualcosa di negativo, che ha bisogno di sostegno, a qualcosa che non sembra essere nella norma e che presenta qualche aspetto deficitario.

Considerando il rovescio della medaglia, potremmo, però, reputare “speciale” tutto ciò che ha bisogno di competenze e risorse migliori, più efficaci, speciali appunto. In linea di massima questi risultano essere i diversi bisogni fondamentali:

  • Difficoltà di apprendimento: DSA, deficit attentivo con o senza iperattività, disturbi di comprensione, difficoltà visivo-spaziali, motorie, goffaggine.
  • Difficoltà emozionali: timidezza, collera, ansia, inibizione, depressione, disturbi della personalità, psicosi.
  • Difficoltà comportamentali: aggressività, bullismo, disturbi del comportamento alimentare, disturbi della condotta, oppositività, delinquenza, uso di droghe.
  • Ambito relazionale: isolamento, passività, eccessiva dipendenza.
  • Ambito familiare: famiglie disgregate, in conflitto, trascuranti, con episodi di abuso, maltrattamento, con esperienze di lutto o carcerazione. Difficoltà sociali, economiche, culturali, linguistiche.

Proprio in questa prospettiva si colloca il pensiero di Dario Ianes, secondo il quale i normali bisogni educativi che tutti gli alunni esprimono (bisogno di sviluppare competenze, bisogno di appartenenza, di identità, di accettazione, ecc.) si “arricchiscono” nella persona disabile, o comunque con difficoltà di apprendimento, di qualcosa di particolare, ossia di speciale. Avere Bisogni Educativi Speciali non significa necessariamente avere una diagnosi medica e/o psicologica, ma, come si accennava sopra, essere in una situazione di difficoltà o disagio e ricorrere ad un intervento mirato, personalizzato.

Rispetto alla diagnosi di una malattia la valutazione dei “Bisogni Educativi Speciali” non deve essere dunque discriminante per tre motivi fondamentali: anzitutto fa riferimento ad un’ampia gamma di bisogni, poi non riguarda solo cause specifiche e infine indica che il bisogno o i bisogni non sono stabili e fissi nel tempo, ma possono venire meno o addirittura essere superati.

Si potrebbe dire che questo concetto riguarda ciascuno di noi perché chiunque potrebbe incontrare nella propria vita situazioni che gli creano Bisogni Educativi Speciali: per tale motivo è doveroso rispondere in modo serio e adeguato a questo recente problema che attualmente riguarda una percentuale del 10-15 % degli alunni che non possiedono una certificazione medica, ma che necessitano di attenzione e di interventi mirati. Nelle scuole vivono sia alunni con Bisogni Educativi Speciali con diagnosi psicologica e/o medica sia alunni con Bisogni Educativi Speciali senza diagnosi.

Nel primo caso le categorie diagnostiche si riferiscono al DSM-IV e all’ICD-10. Vi rientrano il ritardo mentale, i disturbi generalizzati dello sviluppo, il disturbo artistico, i disturbi dell’apprendimento, i disturbi di sviluppo della lettura, i disturbi di sviluppo del calcolo, i disturbi di sviluppo dell’espressione scritta, i disturbi di sviluppo dell’articolazione della parola, i disturbi di sviluppo del linguaggio espressivo, i disturbi di sviluppo nella comprensione del linguaggio, i disturbi del comportamento, i disturbi da deficit di attenzione e iperattività, i disturbi della condotta, il disturbo oppositivo-provocatorio e infine vi sono le patologie che riguardano la motricità, quelle sensoriali, neurologiche o riferibili ad altri disturbi organici.

Nel secondo caso, invece, rientrano tutti quegli alunni che non corrispondono perfettamente ai parametri sopra citati, perché la loro situazione pare meno precisa e più sfumata. Questa tipologia di alunni è però presente e abita la scuola anche in modo piuttosto considerevole.

Una scuola più inclusiva

Questa tipologia di alunni che vive nella scuola rappresenta l’immagine speculare di come la società sia diventata multi-etnica e multi-culturale. È diventato normale incontrare e convivere con persone di nazionalità, lingue e culture diverse; da parte sua la scuola dell’obbligo accoglie studenti con esperienze, disagi, difficoltà diverse, a cui è necessario offrire delle risposte personalizzate. Inoltre il mondo, le persone, i bambini e i ragazzi stanno modificando i loro stili di apprendimento, di gestione delle informazioni grazie alle nuove tecnologie e di conseguenza il mondo del lavoro, delle relazioni interpersonali si è modificato.

Il termine inclusione rappresenta un vero e proprio modello relazionale, portatore di un cambiamento radicale e importante. Includere significa inserire, portare dentro la scuola tutte le nuove realtà e i bisogni espressi e presenti nella nuova realtà sociale e di vita del mondo, dell’Italia, del Comune, del quartiere, del territorio.

Inclusione significa dunque che la scuola nel suo modello organizzativo e di programmazione, è chiamata a considerare seriamente queste realtà e situazioni di vita. Di fronte a tale sfida educativa, i docenti possono avere a disposizione strumenti, metodologie e strategie adeguate per rilevare queste realtà, per impostare il piano di lavoro e per attuare il processo di inclusione.

I docenti, nell’organizzare le attività scolastiche, dovranno tener conto di alcune fondamentali strategie: saper osservare e valutare con attenzione gli alunni di ogni classe, tramite l’ausilio di specifici e scientifici strumenti di osservazione. Possedere anche una conoscenza approfondita del territorio di residenza degli alunni che frequentano la scuola.

La differenza tra inclusione ed integrazione

Più che parlare di differenza sarebbe meglio considerare il passaggio da integrazione a inclusione che si basa non certamente sulla misurazione della distanza da normalità/standard, ma sul processo di piena partecipazione e sul concetto di equità.

Per fare questo occorre ampliare il proprio campo visuale in quanto l’inclusione richiede una maggiore considerazione delle differenze al plurale e quindi degli alunni e della classe in cui si opera. L’intervento inclusivo avrà il compito di rimuovere tutti quegli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo e l’equo apprendimento. La scuola inclusiva pertanto promuove l’apprendimento di tutti gli alunni e non si limita alla semplice accoglienza e inserimento di casi particolari, come potrebbe significare l’integrazione in senso semplicistico, ma spesso reale.

Alla luce di queste considerazioni, i nuclei in cui si concentrano le differenze tra il modello dell’integrazione e quello dell’inclusione, risultano i seguenti:

  • La risorsa fondamentale su cui si regge il modello dell’integrazione è la figura dell’insegnante di sostegno. Per quanto la normativa stabilisca che si tratti di risorsa finalizzata a promuovere differenziati processi di integrazione rivolti alla classe, ancora oggi tale figura professionale viene considerata e vissuta come “l’insegnante dell’alunno certificato”. Nella scuola inclusiva, viceversa, si offre la garanzia che tutti gli insegnanti siano ben formati e si sentano in grado di prendersi la responsabilità di tutti gli studenti, qualunque siano le loro esigenze personali;
  • La normativa in materia d’integrazione prevede che la risorsa “insegnante di sostegno” sia resa disponibile alla scuola solo nei casi in cui è presente in classe almeno un alunno con “certificazione di handicap”. Nella scuola inclusiva, la risorsa dell’insegnante specializzato viene concepita come risorsa di sistema. Dal rapporto di studio dal titolo “Organizzazione del Sostegno per gli Insegnanti che Lavorano con i Bisogni Speciali nell’Educazione Comune”, emerge la necessità che il sostegno non vada solamente centrato sull’alunno in quanto richiede di essere indirizzato anche agli insegnanti curriculari con l’obiettivo di aiutarli a migliorare specifiche abilità di trattamento e gestione dei bisogni educativi speciali presenti nelle classi.

La distinzione tra insegnanti “ordinari” (senza una formazione specifica sui temi dell’inclusione) e insegnanti “specializzati” (con titolo di specializzazione per il sostegno) ha generato nell’ambito del contesto classe inevitabilmente la divisione tra alunni “normali” e alunni cosiddetti “speciali”.

Di fatto, la realtà risulta assai più complessa e variegata, soprattutto se si guarda al mondo della scuola oggi. Qui ci si rende conto, quasi come un gioco di parole, che gli alunni speciali hanno anche bisogni normali e che anche gli alunni normali possono avere bisogni educativi speciali. Non considerare tale condizione porta a credere che anche le soluzioni ai problemi possano seguire la medesima logica, ovvero per gli alunni speciali soluzioni straordinarie, mentre per gli alunni normali soluzioni ordinarie.

La logica dell’inclusione richiede di transitare dall’idea di una scuola che incarna un sistema duale unificato (nella stessa classe convivono senza interazioni reciproche la programmazione disciplinare di classe e il Piano Educativo Individualizzato per l’allievo/gli allievi in difficoltà), all’idea di una scuola a sistema unico (in cui la classe identifica un gruppo di allievi naturalmente eterogeneo, e le differenze si convertono nel modus vivendi naturale dei processi d’aula).

Lo stesso concetto viene ribadito nel documento Linee Guida dell’UNESCO del 2009, in cui si afferma che “La scuola inclusiva è un processo di fortificazione delle capacità del sistema di istruzione di raggiungere tutti gli studenti. […] Un sistema scolastico ‘incluso’ può essere creato solamente se le scuole comuni diventano più inclusive. In altre parole, se diventano migliori nell’educazione di tutti i bambini della loro comunità”.

In sintesi, il modello dell’inclusione, non si limita alla semplice attuazione di un sistema di attenzione assistenziale privilegiata del più debole, quanto nella modifica e nel cambiamento dei contesti, con l’obiettivo di generare le medesime opportunità di sviluppo per chi vive particolari situazioni di disagio che si esplicano in uno stato di bisogno educativo speciale. In assenza di risposte specifiche, infatti, tali situazioni di bisogno mutano in limitazioni alle attività e in restrizioni della partecipazione sociale.

La struttura del modello dell’integrazione non risulta idonea ad affrontare le problematiche con cui la scuola oggi si confronta, in particolare il dato del costante aumento all’interno delle classi di alunni che, seppur privi di “certificazione di handicap”, presentano difficoltà legate ad una variegata gamma di bisogni educativi speciali. Il fenomeno richiede una nuova filosofia di non solo di pensiero ma soprattutto di azione, partendo da un cambiamento nel sistema di valutazione e da una presa in carico dei bisogni educativi secondo l’ottica di una scuola aperta a tutti.