La cittadinanza europea quale chiave per il futuro della scuola

La firma del Trattato di Maastricht nel 1992 ha segnato un significativo cambiamento di rotta nel percorso di crescita degli stati europei. Per la prima volta, infatti, è stata introdotta la questione della politica dell’istruzione, della formazione professionale e della gioventù in un ambito più ampio, che ha travalicato i confini dei singoli stati. La volontà dei legislatori europei è stata quella di porre in essere una vision comune delle istituzioni scolastiche, attraverso una lunga serie di azioni programmatiche proposte fino ad oggi.

La dimensione europea dell’educazione è entrata a pieno titolo nell’ordinamento scolastico italiano per effetto della ratifica del Trattato di Maastricht, diventando la condizione essenziale per un possibile sviluppo dell’educazione alla cittadinanza europea, mezzo fondamentale e imprescindibile per combattere l’esclusione sociale e culturale e per facilitare l’integrazione delle persone con bisogni speciali nella società.

Agire in un’ottica europea oggi significa saper formare dei cittadini consapevoli, attivi e responsabili, in grado di costruire collettività più ampie e connesse, così come richiesto dalla società liquida ed interconnessa, fluida e cangiante. Significa saper educare alla cultura dell’accoglienza, dell’integrazione e della convivenza, valorizzando le diversità individuali e le radici culturali di ogni studente. Significa saper offrire reali opportunità di prevenzione della dispersione scolastica e di orientamento nel mondo della formazione professionale ed universitaria. Significa anche saper educare alla legalità formando dei cittadini in grado di affrontare le avversità del mondo contemporaneo.

Fin dalla sua nascita, la politica comune nel campo dell’educazione ha avuto come fine precipuo il raggiungimento da parte degli studenti di quel sapere che, all’interno della società conoscitiva descritto da Delors e dalla Cresson, diviene la risorsa indispensabile per la produzione e lo sviluppo del sistema economico, permettendo l’incentivazione dell’occupabilità, e che deve essere sviluppato lungo tutto l’arco della vita attraverso le opportunità di formazione – formale, non formale, informale.

Un progetto educativo coerente con l’agenda europea deve necessariamente prendere avvio dalle competenze chiave del 2006 e del 2018, quadro ispiratore dei programmi disciplinari e delle programmazioni degli insegnanti e del PTOF. Le otto competenze chiave sono il punto di partenza di una reale preparazione degli studenti, volta ad incrementare la loro predisposizione allo spirito di adattamento, alla resilienza. Scuola ed economia, apprendimento ed azione, sono le facce di una stessa medaglia, quella della società stessa, oggi contrassegnata da una profonda complessità, in cui la liquidità dilagante fatta di conoscenze spesso frammentarie richiede basi profonde, strutturate, pervicaci.

L’occupabilità si intreccia con le competenze e con l’orientamento permanente, e ciò che ne deriva è la capacità del nostro Paese di raggiungere i benchmark europei 2020, sicuramente ambiziosi ma necessari, in particolare quello riguardante la dispersione scolastica che si attesta ancora al 13,8 % e che, nonostante una flessione al ribasso, è lo specchio di un paese non ancora unificato dal punto di vista delle pari opportunità. La dispersione scolastica, strutturale e multifattoriale, è un fenomeno complesso, che deve essere contrastato con interventi multipli, variegati, flessibili ma costanti, sempre calibrati in modo da dare a tutti la possibilità di conseguire un titolo di studio spendibile nel mondo del lavoro. La scuola deve agire creando coesione sociale e spirito di cittadinanza attiva, nello slogan “mai uno di meno”.

Un altro benchmark di rilievo, non solo educativo ma soprattutto sociale, è il traguardo della frequenza della scuola dell’infanzia da parte del 95 % dei bambini italiani, su tutto il territorio nazionale: i documenti europei sottolineano la reale interconnessione ed interdipendenza tra frequenza e diminuzione della dispersione scolastica, in quanto essa pone le basi dell’apprendimento permanente.

La scuola, prima e più importante comunità in cui si formano le persone attraverso il dialogo e lo scambio di idee, diviene il luogo dove il valore di ciascuna componente aumenta il suo significato grazie al confronto con gli altri. L’Unione europea, come ha ribadito il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in un recente discorso al Quirinale, è una comunità di valori e tali valori devono pervadere gli insegnamenti disciplinari affinché diventino prassi, buone pratiche su cui costruire un futuro migliore per i cittadini di domani, con lo sguardo rivolto all’obiettivo n. 4 dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile: fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti.

Studente competente o studente istruito?

In una società altamente tecnologica e in continua evoluzione che richiede giovani sempre più competenti e responsabili, in qualità di docente di una scuola primaria del nostro Sud, osservo attonita ciò che la norma ci impone e a cui la realtà si “oppone”.

Faccio parte di quella schiera di docenti che lavorano a capo chino per il raggiungimento degli obiettivi, spesso senza tutti i sussidi e in istituti non bene attrezzati, al solo scopo di contribuire alla formazione della persona umana.

Diversi dibattiti evidenziano la difficoltà della scuola odierna, scuola delle competenze intese come “combinazione di conoscenze, abilità e atteggiamenti appropriati al contesto”, ove è tutto scientificamente tarato.

Ma uno studente competente è meglio formato di quello istruito? In realtà la competenza valorizza la disciplina.

In Italia infatti il sistema educativo è tradizionalmente caratterizzato da rigide suddivisioni fra le varie discipline che da sempre hanno “ingabbiato” le competenze. Quindi, sicuramente risulta efficace ed efficiente lavorare oggi per competenze in quanto sono stati definiti nuovi approcci e strategie per preparare il cittadino del domani alle sfide del cambiamento continuo e della complessità.

Si è dato significato a conoscenze e contenuti in un contesto di apprendimento per competenze per far acquisire ai discenti la capacità di appropriarsi di ciò che viene appreso, riutilizzandolo in modo critico in contesti e tempi diversi. Si aprono così le porte all’apprendimento permanente, inteso come percorso individuale di crescita continua in mano alla persona.

Le Indicazioni per il curricolo del 2012 fanno esplicito riferimento alle otto competenze chiave per l’apprendimento permanente definite dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’Unione Europea.

“Le competenze chiave sono quelle di cui tutti hanno bisogno per la realizzazione e lo sviluppo personale, l’occupabilità, l’inclusione sociale, uno stile di vita sostenibile, una vita fruttuosa in società pacifiche, una gestione della vita attenta alla salute e la cittadinanza attiva. Esse si sviluppano in una prospettiva di apprendimento permanente, dalla prima infanzia a tutta la vita adulta, mediante l’apprendimento formale, non formale e informale in tutti i contesti, compresi la famiglia, la scuola, il luogo di lavoro e le altre comunità”.

Eppure la scuola che io vorrei e che è ampiamente delineata dalla normativa, non è impossibile da realizzare!

Ciò di cui parlo non è un edificio in marzapane con caramelle alle pareti e sul tetto o con maestre dalla pennetta rossa, ma una scuola ove porre in essere una didattica che ponga gli studenti di fronte a problemi reali per affrontarli da protagonisti, mettendo in campo tutte le proprie risorse cognitive, affettive, culturali, relazionali.  La scuola che aiuta gli studenti a fronteggiare la realtà è molto diversa da quella che si occupa solo della trasmissione del sapere.

Secondo me, la norma interviene in nostro aiuto con il Service Learning che include tutti gli aspetti significativi della scuola che vorrei: lo sviluppo delle competenze, la loro messa alla prova in una situazione di realtà, il collegamento scuola/vita.

Infatti, lo scorso 8 agosto il Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione ha trasmesso il documento “Una via Italiana per il Service Learning”, nato da una sperimentazione che ha coinvolto alcuni istituti scolastici i quali hanno immaginato un nuovo modello di fare scuola.

L’obiettivo è quello di recuperare la dimensione sociale dell’apprendimento, potenziando il principio di convivenza civile e democratica.

Si fa dell’apprendimento un servizio solidale, non in termini assistenziali, ma finalizzato alla cittadinanza attiva perché “apprendere serve, servire insegna”.

Si tratta di una metodologia didattica che pone al centro del processo di apprendimento il discente e che ha lo scopo di farsi carico dei bisogni dell’altro nel tentativo di risolverli.

Il Miur definisce il SL come un “punto d’intersezione tra teoria e pratica, tra ricerca e sperimentazione, tra apprendimento come sviluppo delle competenze individuali e condivisione e azione solidale, perché a crescere e a svilupparsi sia la comunità”.

La metodologia del Service Learning, nelle sue varie forme, è rivolta alla promozione della cittadinanza attiva, dell’inclusione sociale e delle capacità di problem posing e problem solving, nonché di realizzazione di progetti che abbiano una ricaduta sulla comunità, non solo scolastica, del territorio di appartenenza.

Mio malgrado mi accorgo che non tutti i docenti si preoccupano di approfondire, di aggiornarsi, di studiare, di verificare come attuare praticamente ciò che detta una fattispecie astratta.

Nella scuola che vorrei soprattutto i docenti dovrebbero avere competenze  specifiche e necessarie per intraprendere un percorso pedagogico, in questo caso di Service Learning, le cui azioni mirino ad attivare processi generativi tra apprendimento e azione nella comunità, tra scuola e territorio, tra problemi e progetti.

Le attività di formazione e di aggiornamento proposte dovrebbero avere un arricchimento professionale in relazione alle modifiche di ordinamento previste dal processo di riforma in atto, sviluppo dei contenuti dell’insegnamento, puntualizzazione dei metodi e organizzazione dell’insegnamento, integrazione delle nuove tecnologie informatiche e multimediali nella didattica e valutazione degli esiti formativi articolata e organizzata secondo le specificità disciplinari.

Come insegnante ritengo che l’innovazione che si deve introdurre debba tener conto anche dell’acquisizione di una solida cultura generale di base dei discenti aggiunta allo sviluppo delle competenze a tutto tondo. Quindi, una professionalità del docente flessibile e polivalente che deve sempre mirare al lavoro in équipe.

La proposta culturale di attuare determinate attività di formazione e aggiornamento cerca dunque di considerare le diverse esperienze ed esigenze didattiche a partire dal contesto fenomenologico particolare, valorizzando la creatività individuale che in gran parte è oggi una risorsa inevitabile data l’ampia eterogeneità dei saperi e i livelli di approfondimento delle discipline che richiedono momenti specialistici.

Lo studente va comunque coinvolto in processi di co-valutazione: un allievo apprende solo se è soggettivamente consapevole del senso e del valore personale del sapere che scopre e che costruisce.

Infine, ho tratto le mie conclusioni a dispetto dell’idea che uno studente “competente sia più attrezzato di quello istruito”. Per me vale il binomio ISTRUITO E COMPETENTE!

Che cos’è e perché la religione a scuola?

La religione: una via per uscire dalla crisi

Che cos’è la religione? L’Europa di questi ultimi decenni è una società post-secolare, post-cristiana ma non post-religiosa. La religione conserva un ruolo sociale in continua evoluzione, in una società che è anch’essa in continua evoluzione. Le religioni «negli ultimi decenni in conseguenza di processi come la fine dei regimi comunisti e i giganteschi movimenti migratori provocati dalla globalizzazione stanno conoscendo sommovimenti tettonici dalle conseguenze impreviste e imprevedibili» ma ancor di più se «diminuisce la pratica religiosa tradizionale e ancor più la fede nella dottrina ecclesiastica ufficiale… aumenta il carisma riconosciuto di alcuni leader religiosi, la religiosità della terra, lo spazio della spiritualità nell’arte. […]

In realtà, non solo Dio non è mai morto, ma neppure gli Dei sono mai morti. Lo mostra ogni giorno l’impero di Afrodite o del piacere, quello di Ares o della forza, quello di Zeus o del potere. Se infatti non esiste civiltà senza religione, ciò è perché gli esseri umani sperimentano una dipendenza da potenze più grandi, la quale, una volta espressa, genera la categoria del divino. E il divino, oggi come diecimila anni fa, entra inevitabilmente in gioco nella vita umana. […]  Il divino dice soprattutto l’innato bisogno di appartenenza che contraddistingue l’umano. «A chi appartengo io?»: questa è la più forte domanda esistenziale, ancora più urgente del desiderio di indipendenza, e la sua risposta si chiama religione. […] Per questo la religione oggi nell’epoca delle «passioni tristi» risponde al radicale bisogno di appartenenza assumendo un fascino particolare».

Dentro il perimetro di questo grande contesto, a noi interessa focalizzare prioritariamente l’ambito educativo nell’attuale sistema scolastico che è quello svolto dall’«Educazione alla cittadinanza», volta a diffondere la cultura della democrazia tra i giovani, a contribuire alla lotta contro la violenza, il razzismo, le ideologie, l’intolleranza e a promuovere una cultura ed una prassi dei diritti, della pace, della libertà e della giustizia sociale.

Il ruolo educativo che la scuola è chiamata a svolgere richiama la pedagogia a una riflessione che si ponga sul piano «di rispondere alla duplice esigenza del diritto all’educazione della generazione giovane e del compito della cura educativa della generazione adulta, l’una e l’altra accomunate dal riconoscimento della singolarità della persona»

L’istituzione scuola risponde ai bisogni formativi dell’uomo ed per questo deve abbandonare l’impostazione trasmissiva mono-disciplinare e sperimentare progettazioni didattiche che si presentino come strumenti atti a promuovere un sapere unitario che possa alimentare, nutrire, dissetare le varie dimensioni (cuore, mente, corpo, animo/a) dell’essere umano  nei vent’anni e più – gli anni più belli, d’oro – che vive a scuola. Un sapere che, nel processo costruttivo di insegnamento/apprendimento, recuperi in pieno i contenuti disciplinari e permetta allo studente di costruire da protagonista un percorso di apprendimento personalizzato e unitario.

L’insegnamento della religione cattolica (IRC), al pari delle altre discipline, è chiamato a riflettere sul proprio ruolo all’interno della scuola, a tracciare linee pedagogiche teorico-pratiche che gli consentano di essere promotore di un sapere che superi i limiti dell’odierna frammentarietà e del tecnicismo e di essere operatore di interdisciplinarietà. Interdisciplinarità intesa non solo come modalità di incontro tra i saperi disciplinari, ma come caratteristica, topos di un approccio alla realtà della persona che in modo unitario comprende sé e il mondo.

Nella mia personale formazione umana e culturale sono sempre stato affascinato dalla storia del mondo antico, dalle letterature comparate, dalla religione. Al di là dell’ormai esausta disputa sulle radici cristiane dell’Europa, è augurabile che si comprenda che la Bibbia costituisce uno dei punti di riferimento capitali per la nostra stessa civiltà. «Le Sacre Scritture sono l’universo entro cui la letteratura e l’arte occidentale hanno operato fino al XVIII secolo e stanno ancora in larga misura operando». Questa affermazione tratta dal saggio Il grande codice di Northrop Frye sul rapporto tra Bibbia e letteratura registra un dato di fatto: la Bibbia è l’immenso lessico o repertorio iconografico, ideologico e letterario cui si è attinto costantemente a livello colto e a livello popolare.

In un corso di aggiornamento dal titolo «La Bibbia: alle radici della cultura europea», organizzato dall’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Milano, il primo dicembre 2012, il professore Piero Stefani, con acume, sottolinea come nel mondo dell’istruzione italiana la lettura (letteraria, storica, iconografica) della Bibbia non è praticata.

Sul fatto che nella scuola la cultura biblica non «godesse» di ottima salute se ne era accorto il grande Umberto Eco che dalle colonne dell’Espresso nel lontano settembre del 1989 scriveva «Perché i ragazzi devono sapere tutto degli dèi di Omero e pochissimo di Mosè?». In tutte le aree disciplinari la lettura della Bibbia è e sarebbe più che percorribile. Si pensi subito alla storia dell’arte, alla letteratura italiana e non solo ma anche alla letteratura dell’intera Europa (francese, inglese, tedesca, spagnola, ecc…).

La lettura della Bibbia è applicabile allo studio del pensiero filosofico, alla storia, al diritto, alla storia della scienza e dell’economia. In ognuno di questi campi la presenza di influssi biblici è documentabile a vastissimo raggio. La Bibbia perché non può essere presentata a tutti come un classico al pari dell’Iliade, dell’Odissea o dell’Eneide? Un po’ semplificando ma non troppo la Bibbia interroga l’uomo al pari di Sofocle, Euripide, Seneca.

Infine, da un punto di vista strettamente pratico-istituzionale la presenza della Bibbia – «l’alfabeto colorato in cui per secoli i pittori hanno intinto il loro pennello» (Marc Chagall) – comporterebbe ad una qualificazione (da parte del MIUR attraverso concorsi) di un corpo docente che, attualmente, è quasi del tutto impreparato e più praticamente e «semplicemente» a programmare all’interno del P.O.F.T.  una collaborazione fra docenti di materie diverse (letteratura, arte, filosofia, storia, musica, religione) alla ricerca di itinerari di notevole interesse e suggestione.

Max Horkheimer ci ricorda che la «stupidità è una cicatrice». In altri termini crescere è un processo delicato che come il processo involontario del respirare può essere ostacolato o favorito. In-segnare a riconoscere i lineamenti di un patrimonio che ci accomuna significa offrire ossigeno alla mente e al cuore; concorre a rafforzare nei ragazzi energia e speranza, il gusto di approdare a vivere le vertigini di una profondità e ricchezza che ci danno solo le lettere, i numeri e i colori fin dalla loro comparsa negli esseri umani, una comparsa che è legata a quella che chiamiamo civiltà.

Hour of code, disseminazione e coinvolgimento

Hour of code

L’ora del codice è un’iniziativa nata negli Stati Uniti nel 2013 per avvicinare gli studenti e le scuole al coding. Come tutte le campagne di alfabetizzazione, il pretesto di svolgere almeno un’ora di programmazione si trasforma nell’opportunità di coinvolgere milioni di persone in Europa e nel mondo.

Lo scopo è di dimostrare che, attraverso l’utilizzo attivo della tecnologia informatica, si può comprendere meglio la società di oggi e quella del futuro e che per affrontare la complessità ed inserirsi nel mondo del lavoro è necessario che le nuove generazioni sviluppino il pensiero computazionale e la creatività.

Dal 2014 L’ora del codice è proposta nell’ambito del progetto Programma il Futuro dal MIUR in collaborazione con il CINI (consorzio interuniversitario nazionale), fornendo alle scuole  una serie di strumenti semplici, divertenti e facilmente accessibili per formare gli studenti ai concetti base dell’informatica.

I risultati sono strabilianti e collocano il nostro Paese al primo posto in Europa e nel mondo. Per il successo ottenuto il progetto è stato riconosciuto come iniziativa di eccellenza europea per l’istruzione digitale nell’ambito degli European Digitale Skills Awards 2016.

Quest’anno l’ora del codice si è svolta dal 3 al 9 dicembre e ha permesso di inventare app, affrontare sfide di coding, lavorare con i compagni alla realizzazione di prodotti originali e fantasiosi. Tutti possono partecipare a prescindere dall’età e dall’esperienza. L’unico requisito è… lasciarsi  trasportare dalla creatività!

Parola all’esperto

Mi chiamo Alan Touring. Vi sembrerà strano leggere di me, ma sento ancora la necessità di dire qualcosa perché la mia vita è rimasta, in qualche modo, incompiuta.

Mi sono occupato di varie cose e avevo tante passioni, ma oggi sono ricordato come papà dell’informatica. Ho concepito, infatti, un modello astratto di macchina che, dotata di un nastro potenzialmente infinito di simboli, esegue algoritmi per sempre. Questo apparecchio è considerato l’avo dei computer moderni.

Ho sempre amato la matematica, per me era come un gioco. Sono riuscito a decifrare codici difficilissimi, addirittura quelli del comando tedesco che, con i sottomarini, affondava le navi degli Alleati durante la seconda guerra mondiale. Molti dicono che, con quella decodifica, ho salvato delle vite umane. Non so quante,  ma a me basta sapere che ne ho salvata almeno una.

Ho sempre ritenuto che le macchine potessero essere costruite simulando i comportamenti umani. L’intelligenza artificiale è affascinante, ma so bene che quella umana, pur essendo basata su processi meccanici, possiede qualcosa in più: il potere dell’intuizione. Credo proprio che noi possediamo dei super poteri, quelli della creatività e della fantasia.

Ho saputo che qualche anno fa avete festeggiato il centenario della mia nascita. Mi piacerebbe tanto (ri)vivere nella vostra epoca ed avere a disposizione le nuove tecnologie per inventare macchine reali in grado di aiutare l’uomo. Seguo con attenzione le recenti evoluzioni dell’informatica e spero che la petizione per riconoscere gli algoritmi come patrimonio culturale immateriale dell’Umanità possa dare valore e dignità a tutti i procedimenti non ambigui che risolvono problemi e realizzano idee.

Sono stato sfortunato perché ai miei tempi c’erano tantissime restrizioni. Sono stato perseguitato, processato e punito per la mia omosessualità. Sono stato definito genio irascibile, innovatore eccentrico, ironico provocatore. Sì ero tutto questo, ma non solo.

Avevo 41 anni quando ho addentato una mela avvelenata al cianuro. Qualcuno non crede al mio suicidio e forse questo è l’enigma più grande mai svelato legato per sempre al mio personaggio.

Recentemente ho ottenuto la grazia postuma dalla regina d’Inghilterra Elisabetta II e ho visto riconosciuta la mia eredità scientifica. Addirittura in una petizione si firma per candidare il mio volto sulla banconota di 10 £. Come sono cambiati i tempi…

Ma è quella mela morsa, che ha causato la mia morte, immortalata come simbolo della Apple, che resta il mio riscatto più grande perché rappresenta tutti quelli che, come Steve Jobs, hanno apprezzato la mia mente. Quella mela resterà in eterno la metafora dell’innovazione e dei grandi traguardi culturali dell’umanità che raggiungeremo insieme nei secoli a venire… a grandi morsi.

Alan Touring

…Let’s go on with Austria and Belgium school systems

AUSTRIA

The school system is as follows:

  • Primary School or Volksschule (6-10)
  • Secondary school or Hauptschule or AHS-Unterstufe (10-14)
  • Polytechnische Schule (PTS) (14-15)
  • Superiors / Upper level (15-18)

Kindergarten lasts 3 or 4 years (from 3 to 6/7 years old). The pre-school education is not included in the education system, but it is subject to law and does not depend on the Ministry of Education. There are public Kindergartens, established and financed at national level, at Land level or by municipalities, and private Kindergarten, offered by associations, churches or religious orders. Attendance is optional, but admission conditions are put down in the Education Act in Kindergarten for each Land.

Activities are not regulated by a national curriculum, but medium and long-term planning includes group activities and individual activities. The Kündergarten are opened  from 7 to 19 and the ‘school year’ starts in September. Families receive, in addition to the family allowance provided until the economic independence of their children, specific allowances for the care of children from the age of 3. Financial support for  taxes payment is guaranteed on the basis of individual income.

Classes are organized into same age groups and mixed groups, which can vary by providing part time, full time, and afternoon groups especially suitable for children with special needs. There is one teacher for each group and often a second person (a Kindergarten teacher or an assistant) takes care of supporting the educational work.

There are no fixed rules regarding the school time schedule; the day usually begins with playing moments, then follow group activities (for example, reading fairy tales, singing songs, playing sports, etc.) moreover can practice individual activities such as painting, drawing. The activities planning and relevant topics are free, infact  there is no compulsory annual curriculum.

There is no evaluation, but teachers are responsible for monitoring and analyzing their children progress in the working methodology, cooperating with parents and therapists, and monitoring children’s health. Teacher training takes place in special schools at upper secondary level or in special training institutions at post-secondary level.

 

BELGIUM

The school system is as follows:

  • Primary school  (6-12 years old)
  • Secondary school  (12-18 years old)

Ecole maternelle lasts 3 and a half  (from 2 to 6). The école maternelle is not compulsory but it is a part of the educational system and along with primary education, it is an integral part of the basic educational path (up to 12 years old). Usually children are grouped into same age classes.

The schools are opened  5 days a week full time, except on Wednesday afternoons. The school year begins on September 1st and ends on June 30th. There are no ‘lessons’ but a series of  activities to improve psychomotor, linguistic, artistic, logical and social skills of the children.

The evaluation is carried out  in compliance with general rules. The children are evaluated taking in account their approach in carrying out activities and observing their behavior, through individual monitoring  that is carried out 2 or 3 times a year; in fact teachers can give to parents a complete report of their child’s progress.

To be a teacher it is necessary to have completed a 3-year course of study (theoretical and practical) at a higher level to get a certification for pre-primary education. Pre-primary teachers are employees of the institution hey work for, since 2002 training is mandatory.

Qualified nurses take care of very young children. If a child has disorders or special educational needs, there is the support of qualified personnel who offer special activities.

                                                                                                                              …To be continued

                                                                                                                            Laura Di Masi

EU key competences 2018

The New Skills Agenda for Europe announced the review of the 2006 Recommendation on key competences for lifelong learning, aware that a shared and updated understanding of key competences is a must for education, training and non-formal learning all over  Europe.

This also to face changes in society and economy,  to have a glance on the future of work, and following the public consultation on the review of the 2006 Recommendation on key competences, both the Recommendation and the European Reference Framework of key competences for lifelong learning must be updated.

The development of key competences, have to start using good practices for educational staff in improving their education, along with new and innovative forms of teaching and learning. Moreover, considering the experiences of the last decade, this Recommendation should address the challenges in implementing competence-oriented education, training and learning in order to enable individuals to have their own competences  and get full or partial qualifications.

It can build on the existing arrangements for the validation of non-formal and informal learning as well as the European Qualification Framework, which provides a common reference framework to compare levels of qualifications, indicating the competences required to get them. Furthermore it  may help in constructure learning processes and  helping people to improve their competences.

The Proposal for a Council Recommendation on Key Competences for Lifelong Learning has been published and replaced the 2006 Recommendation. What are the competences European citizens need to acquire, actually? Some competences  have been updated, while others have significant changes in terminology, too. The same have to support people in improving their competences from early age on throughout their lives.

 

The 8 Key Competences are listed as follow:

Literacy competence: can “be developed in the mother tongue, in the language of schooling, and/or in the official language of the country”.

Languages competence: “to help people to communicate to make use of mobility within Europe and in a globalized economy”.

Science, Technological Engineering and Mathematical competence as in 2006: “they are prerequisite for the functioning of technologically advanced, knowledge based societies and economies”.

Digital competence includes 5 areas:

  1. Information and data literacy, including management of content
  2. Communication and collaboration and participation in society
  3. Digital content creation
  4. Safety
  5. Problem solving

Digital technologies must be used instead of ICT (Information and Communication Technology) and IST (Information Society Technology) because it is the best term to refer to the complete range of devices and software.

Personal, Social and Learning competence: includes three specific aspects:

  • personal
  • social
  • learning

Civic competence: includes active citizenship, participation, building a sustainable future and stress the role of citizenship, democratic values and human rights in today’s more and more connected global societies.

Entrepreneurship competence: Creativity and the ability to plan and manage processes are evidenced as essential dimensions of an entrepreneurial mindset.

Cultural Awareness and Expression Competence: A huge range of contemporary forms of cultural expressions and also to describe how this competence is a focusing element in understanding, developing and expressing ideas, moreover being able to see the world with positive and open-minded attitudes towards other cultures.

Privacy: raccomandazione europea 679/2016

Salve a tutti! Sono Barbara Maduli, docente di lungo corso (sono di ruolo dal lontano 1992 …) e avvocato. Nel corso della mia esperienza ho avuto occasione di trattare varie tematiche giuridiche attinenti al mondo della scuola in materia sia civile che penale che amministrativa e mi sono resa conto che avere un punto di riferimento e/o qualche consiglio pratico può essere utile per risolvere le varie situazioni in cui un insegnante e, più ancora, un dirigente scolastico, può essere chiamato a prendere decisioni anche di grande responsabilità.

Con questo numero della rivista ho quindi il piacere e l’onore di inaugurare la rubrica di diritto applicato alle istituzioni scolastiche. Com’è noto a tutti, la materia è veramente vasta, e spazia dalle obbligazioni contrattuali agli atti e ai procedimenti amministrativi, al contenzioso avanti al Giudice Civile e Amministrativo e al procedimento disciplinare, alle responsabilità penali, civili e amministrative nascenti da atti illeciti o da reati commessi dal personale scolastico. In sostanza, non c’è aspetto della vita delle Istituzioni scolastiche che non sia permeato di connotazioni giuridiche.

Senza avere alcuna pretesa di esaustività o di sistematicità, né tanto meno di voler dispensare pareri professionali, in questa sede cercherò ad ogni modo di affrontare questioni che interessano l’esperienza concreta di ciascun operatore della scuola, dal Dirigente Scolastico ai docenti e al personale ATA, e di illustrare i profili problematici inerenti ai diritti, agli obblighi e alle responsabilità che gravano sulle figure professionali della scuola. Cercherò anche, nei limiti del possibile, di rispondere ai dubbi dei lettori, facendo capo alla Redazione della rivista e dando la precedenza alle domande di carattere generale e di interesse comune.

Per iniziare, vorrei prendere in considerazione le ipotesi nelle quali un docente rischia di violare le norme sulla privacy. Com’è noto, la materia della tutela del diritto alla privacy, regolata dal D. Lgs. 196/2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali) è stata di recente radicalmente riformata dall’entrata in vigore, in tutti gli stati membri dell’Unione Europea, del Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati Personali (Regolamento UE  679/ 2016 – RGDP, in inglese “General data protection regulation”, GDPR). Il testo normativo, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea il 4 maggio 2016, è diventato definitivamente applicabile, in via diretta e uniforme, in tutti i paesi UE a partire dal 25 maggio 2018. In Italia, l’adeguamento con la normativa europea è avvenuto tramite il D. Lgs. n. 101/2018, entrato in vigore il 19 settembre scorso, che ha parzialmente abrogato il D. Lgs. 196/2003.

L’attività della scuola, alla stregua di qualsiasi altra attività svolta dagli organi della Pubblica Amministrazione, ricade pienamente nella sfera di applicazione della normativa sulla privacy, poiché raccoglie, detiene e gestisce dati personali degli allievi, dei genitori, del personale dipendente, dei fornitori e di altri soggetti, pubblici e privati, che hanno a che fare a vario titolo con l’istituzione scolastica o che si rivolgono alla scuola per richiedere notizie sugli allievi o sul personale dipendente. Generalmente gli uffici di segreteria gestiscono informaticamente i dati relativi sia al personale docente ed ATA, sia quelli relativi agli studenti, utilizzando delle banche dati più o meno corpose, in rapporto alle dimensioni dell’istituzione scolastica. Le informazioni trattate sono le più varie, da luogo e data di nascita, residenza e domicilio, alla progressione di carriera, ai motivi delle assenze, ai dati fiscali. Per quanto concerne gli alunni, i dati possono essere relativi alla frequenza o meno dell’insegnamento della religione cattolica, al perdurare di determinate patologie e al nome del medico curante.

In materia, i principi fondamentali su cui si basa il diritto alla riservatezza sono, in estrema sintesi, due. In primo luogo, le scuole non possono divulgare i dati in loro possesso, a meno che non adempiano agli obblighi imposti dalla normativa sulla privacy e solo nei casi previsti dalla legge, previa informativa ed in seguito all’ottenimento del consenso da parte dell’interessato (artt. 13 e 18 Codice sulla privacy). Va al riguardo osservato che la prestazione del consenso integra una vera e propria fattispecie contrattuale. La Scuola, del resto, non ha bisogno di consenso, quando versa in attività istituzionale. Va altresì osservato che il consenso/autorizzazione non serve per la stragrande maggioranza dei trattamenti, perché sono le norme che individuano gli ambiti dei trattamenti stessi. Il consenso deve essere, ad ogni modo, espresso mediante un atto con il quale l’interessato manifesta l’intenzione libera, specifica, informata e inequivocabile di accettare il trattamento dei dati personali (mediante dichiarazione scritta). I minori meritano una specifica protezione relativamente ai loro dati personali. Il trattamento dei dati personali deve essere lecito e corretto.

In secondo luogo, non possono essere divulgati i cd. “dati particolari” (art. 9 GDPR), vale a dire quei dati che possono rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, lo stato di salute e la vita sessuale. Rientrano in questa categoria i cd. dati “sensibili” e i cd. dati “giudiziari”, che, a loro volta, possono rivelare l’esistenza di determinati provvedimenti giudiziari penali (ad esempio, i provvedimenti penali di condanna definitivi, la liberazione condizionale, il divieto od obbligo di soggiorno, le misure alternative alla detenzione) e amministrativi o la qualità di imputato o di indagato. Va notato che nel GDPR non si fa più distinzione tra dati sensibili e non, ma tutti i dati personali vanno trattati in base alla rilevanza ed all’impatto che hanno sulla privacy del soggetto.

Un particolare riferimento viene fatto dal Codice sulla privacy al settore della pubblica istruzione e, quindi, alle istituzioni scolastiche. L’art. 95 precisa che devono considerarsi di rilevante interesse pubblico le finalità di istruzione e di formazione in ambito scolastico, professionale, superiore o universitario, con particolare riferimento a quelle svolte anche in forma integrata. Come tutti gli operatori scolastici, anche i docenti, trattando quotidianamente con gli studenti, oltre a essere soggetti agli obblighi di riservatezza inerenti al segreto d’ufficio o professionale, devono porre particolare attenzione al rispetto della normativa sulla privacy, a maggior ragione se si considera che essi hanno a che fare quotidianamente con adolescenti minorenni e con l’utilizzo delle nuove tecnologie, tramite le quali lo scambio di dati sensibili è all’ordine del giorno ed è quindi effettivo il rischio di cadere in errore, pur operando in buona fede.

Ad esempio, va tenuto conto che le scuole devono prestare particolare attenzione a non diffondere, anche per mero errore materiale, dati idonei a rivelare lo stato di salute degli studenti, così da non incorrere in sanzioni amministrative o penali. Non è infatti consentito pubblicare in qualsivoglia modalità (cartacea o digitale) documenti contenenti i nomi e i dati degli studenti portatori di handicap; occorre inoltre fare attenzione anche a chi ha accesso ai nominativi degli allievi con DSA, limitandone la conoscenza ai soli soggetti legittimati, ad esempio agli insegnanti che devono predisporre il piano didattico personalizzato (PDP). Di conseguenza, se un insegnante divulga, per quanto in buona fede ed in modo erroneo, i dati relativi agli studenti con handicap o con DSA di cui è a conoscenza in ragione della sua funzione docente, commette una grave violazione al diritto alla privacy dello studente interessato. Ancora, la divulgazione da parte del docente di informazioni relative ad una specifica dieta praticata dagli studenti per motivi di salute o religiosi (ad esempio rendendo noto a terzi che uno studente non mangia un determinato cibo perché segue uno specifico orientamento religioso o per una determinata patologia, intolleranza o allergia) comporta la lesione del diritto alla privacy dello studente in questione, perché rivela le sue convinzioni religiose o il suo stato di salute.

Non commette invece violazione della privacy l’insegnante che assegna ai propri alunni lo svolgimento di temi in classe riguardanti il loro mondo personale o familiare. Nel momento in cui gli elaborati vengono letti in classe, specialmente se sono stati affrontati argomenti delicati, è affidata alla sensibilità di ciascun insegnante la capacità di trovare il giusto equilibrio tra le esigenze didattiche e la tutela dei dati personali. Restano comunque validi gli obblighi di riservatezza già previsti per il corpo docente riguardo al segreto d’ufficio e professionale, nonché quelli relativi alla conservazione dei dati personali eventualmente contenuti nei temi degli alunni. Pertanto deve ritenersi assolutamente lecita l’assegnazione di temi, da parte degli insegnanti, che comportano la rivelazione di dati e fatti personali e familiari a volte anche sensibili, pur rimanendo fermi per il corpo docente l’obbligo del segreto d’ufficio e professionale e l’adozione di cautele nella lettura in classe degli elaborati su tali argomenti (Garante per la Privacy, Provvedimento del 4 marzo 1999).

Ben diverso è, però, il caso in cui il docente pubblichi (ad esempio su un “social media”, come Instagram, What’s up, FaceBook et similia) o faccia pubblicare da terzi (ad esempio da una testata giornalistica) l’elaborato scritto di un suo studente nel quale sono riportati riferimenti ai dati personali o particolari della sua vita privata, senza aver previamente chiesto ed ottenuto dallo studente o, se questo minorenne, dai genitori, il consenso alla pubblicazione. Tale comportamento, per quanto in perfetta buona fede o dettato da motivazioni condivisibili (si pensi al caso in cui il docente abbia voluto non dileggiare lo studente ma metterne in luce la bravura e le competenze espressive), espone l’operatore scolastico non solo a responsabilità penale e al rischio di una denuncia per violazione della privacy, ma anche a un procedimento disciplinare.