Una scuola per tutti…

Parlare di scuola come ambiente di apprendimento porta a prendere in considerazione due aspetti fondamentali: il primo è la dimensione cognitiva che attiene alla scuola in quanto produttrice di apprendimento, il secondo è la dimensione emotiva che attiene alla scuola in quanto ambiente sociale  in cui l’apprendimento si verifica.

La scuola italiana, secondo le Indicazioni Nazionali del 2012, sviluppa la propria azione educativa in coerenza con i principi dell’inclusione delle persone e dell’integrazione delle culture, considerando l’accoglienza della diversità un valore irrinunciabile. Attraverso specifiche strategie e percorsi personalizzati, favorisce la prevenzione e il recupero della dispersione scolastica e del fallimento formativo precoce, attivando iniziative in collaborazione con Enti locali e le agenzie educative presenti nel proprio territorio.

Il D.M. 254 del 2012 dedica un paragrafo e un capitolo all’importanza degli ambienti di apprendimento. Nella parte dedicata alla scuola dell’infanzia si legge che il curricolo si esplica in un’equilibrata integrazione di momenti di cura, di relazione, di apprendimento, dove le stesse routine svolgono una funzione di regolazione dei ritmi della giornata offrendosi come base sicura per nuove esperienze e nuove sollecitazioni. L’apprendimento avviene attraverso l’esplorazione, l’azione, il contatto con gli oggetti, la natura, l’arte, il territorio, in una dimensione ludica, da intendersi come forma tipica di relazione e di conoscenza.

Nella parte dedicata alla scuola del primo ciclo, il documento, pone al centro la persona che apprende. Promuovendo un percorso di attività nel quale ogni alunno possa assumere un ruolo attivo nel proprio apprendimento, sviluppando al meglio le proprie inclinazioni, curiosità, consapevolezza di sé, costruendo un proprio progetto di vita. Viene sottolineata la dimensione comunitaria dell’apprendimento, si parla di aiuto reciproco, di apprendimento cooperativo e di apprendimento tra pari.

Negli ultimi  anni, in maniera graduale, si è passati dal paradigma dell’insegnamento (classi tradizionalmente intese con i docenti in cattedra e i discenti tra i banchi) a quello dell’apprendimento per scoperta( spazio aperto sul mondo).  Non più una visione incentrata sull’insegnamento, ma un’attenzione sul soggetto che apprende e quindi sui suoi processi (dal teaching centered al learning centered). Oggi i docenti hanno un ruolo fondamentale, in questa nuova prospettiva, dovendo far evolvere le classi in comunità che apprendono e in comunità di pratiche.

Stiamo assistendo a  rapidi cambiamenti nelle nuove tecnologie che pongono  alle scuole nuove e difficili sfide. Uno degli obiettivi di miglioramento è trasformare l’aula in un ambiente di apprendimento innovativo e interattivo, in cui gli studenti siano protagonisti.  È convinzione comune, infatti, che un ambiente di apprendimento ottimale garantisce una gestione costruttiva della classe, un aumento di interesse e maggiori motivazioni negli studenti. In questo nuovo scenario il docente è chiamato a svolgere un ruolo di facilitatore, con il compito di supportare e stimolare gli allievi, affinché in maniera autonoma questi possano determinare i propri obiettivi di apprendimento, scegliere le attività da svolgere, accedere alle risorse informative e agli strumenti messi a disposizione nell’ambiente di lavoro.

Per poter realizzare «una crescita sostenibile, intelligente ed inclusiva» (Europa 2020) si rende necessario organizzare, quindi, una didattica che integri linguaggi, strumenti e contenuti in nuovi quadri d’insieme. Le tecnologie digitali sono di grande supporto per il docente, che assume sempre più il volto di un «co-designer dell’apprendimento». Esse sono parte integrante degli attrezzi che mediano la relazione tra docente e discente, veicolano informazioni e saperi mettendo l’insegnante in condizione di porre in atto una didattica multimediale. Talvolta il supporto tecnologico risulta indispensabile all’apprendimento e alla partecipazione degli alunni con disabilità.

Secondo il modello ICF (Classificazione Internazionale del Funzionamento della Salute e della disabilità) ogni persona si situa all’interno di un continuum di funzionamento a seconda dell’incontro tra le sue caratteristiche personali e le caratteristiche del contesto in cui vive. Ovvero, non esiste una netta distinzione tra la normalità e la patologia, esistono dei diversi livelli di funzionamento che dipendono dalle caratteristiche interne di ogni individuo e il tipo di contesti ambientali nei quali la persona vive.

Secondo una logica inclusiva la sfida è quella di strutturare interventi mirati e specifici, per una scuola che lavora sul contesto al fine di promuovere un’educazione per tutti, in una prospettiva ICF bio-psico-sociale, dove il concetto di «salute» supera il significato della semplice assenza di malattia per abbracciare il concetto di benessere bio-psico-fisico. Bisogna pensare la scuola, i suoi spazi, e i suoi tempi avendo come focus un approccio didattico globale, una didattica inclusiva.

Non più il ragazzo con la sua disabilità (che creerebbe discriminazione), ma tutte le condizioni educative che rendono la classe scolastica ambiente ospitale, accogliente, per TUTTI. Un ambiente dal punto di vista didattico capace di essere strumento in grado di promuovere gli apprendimenti in maniera differenziata, attento alla promozione e alle potenzialità di ognuno. Il contesto ambientale, quindi, può rappresentare una grande facilitazione se riesce a venire incontro al funzionamento della persona e limitarne o minimizzarne le difficoltà. La scuola si pone nei confronti di chi vi entra, siano essi alunni, personale scolastico o genitori, o come una facilitazione o come un ostacolo. Una scuola inclusiva cerca di diventare sempre più una scuola che trasforma i contesti in modo da renderli accessibili a tutti,  non solo da un punto di vista strutturale. Una scuola per tutti!

La nuova “veste” del Comitato per la valutazione dei docenti

Una delle principali innovazioni introdotte nell’ordinamento scolastico dalla L. 107/2015 è stata la riscrittura dell’art. 11 (Comitato per la valutazione del servizio dei docenti) del D. Lgs. 297/1994.  Il c. 129 della L. 107/2015 novella la composizione dell’organo collegiale, la sua denominazione (Comitato per la valutazione dei docenti) e la sua collocazione nel quadro dell’istituzione scolastica.

Il rinnovato organo da annuale diviene organo triennale, in coerenza con il PTOF. La nuova composizione coinvolge tutta la comunità scolastica, non più, quindi, prerogativa del collegio docenti (prevista dall’art. 11 del Testo Unico). In base alla funzione esercitata varia la sua struttura, per la valorizzazione dei docenti (cfr. art.) prevista dai commi 126-129 della L.107/2015, il comitato prevede sei membri, oltre al dirigente scolastico che lo presiede:

1) tre docenti, di cui due scelti dal collegio docenti e uno dal consiglio di istituto;

2) due rappresentanti dei genitori, per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione; per il secondo ciclo di istruzione, un rappresentante degli studenti e un rappresentante dei genitori, scelti dal consiglio di istituto;

3) un componente esterno individuato dall’USR tra docenti, dirigenti scolastici e dirigenti tecnici.

In sede di valutazione dell’anno di prova del personale docente ed educativo, il comitato risulta nella speciale composizione «ridotta» che prevede il dirigente scolastico che lo presiede, i tre docenti, di cui due eletti dal collegio docenti ed uno dal consiglio di istituto e il  tutor del docente in esame. I criteri sui quali si basa detta valutazione sono definiti dall’art. 4 del D.M. 850/2015, volti a verificare gli standard professionali dei docenti neoassunti:

  1. corretto possesso ed esercizio delle competenze culturali, disciplinari, didattiche e metodologiche, con riferimento ai nuclei fondanti dei saperi e ai traguardi di competenza e agli obbiettivi di apprendimento previsti dagli ordinamenti vigenti;
  2. corretto possesso ed esercizio delle competenze relazionali, organizzative e gestionali;
  3. osservanza dei doveri connessi con lo status di dipendente pubblico e inerenti la funzione docente;
  4. partecipazione alle attività formative e raggiungimento degli obiettivi dalle stesse previsti.

Il docente di nuova nomina si deve impegnare in una pluralità di attività, che comprendono la frequenza di incontri in presenza, l’allestimento di momenti di osservazioni reciproca in forma di peer-review, già sperimentata in altri progetti, l’elaborazione di un proprio bilancio di competenze iniziale  e la predisposizione di un portfolio formativo per documentare il lavoro svolto attraverso un’istruttoria del tutor supportata da apposita documentazione comprovante il percorso del docente neoassunto, che sostituisce la relazione da presentare al comitato per la valutazione dei docenti .

Il c. 117 della L. 107/2015 attribuisce al dirigente scolastico il compito di valutare i docenti neoassunti:

«Il personale docente ed educativo in periodo di formazione e di prova è sottoposto alla valutazione da parte del dirigente scolastico, sentito il comitato per la valutazione istituito ai sensi dell’art. 11 del D.Lgs 297/1994, come sostituito dal c. 129 del presente articolo, sulla base dell’istruttoria di un docente al quale sono affidate dal dirigente scolastico le funzioni di tutor».

La valutazione deve tenere conto del parere, obbligatorio, del comitato per la valutazione dei docenti, sebbene il dirigente scolastico possa discostarsene con atto debitamente motivato (art.13 D.M. 850/2015).

Il comitato per la valutazione dei docenti ha il compito di esprimere il proprio parere relativamente al superamento del periodo di prova e formazione dei docenti neoassunti. Il dirigente scolastico e il docente neo-assunto, sulla base del bilancio delle competenze,sentito il docente tutor e tenuto conto dei bisogni della scuola, stabiliscono, con un apposito patto per lo sviluppo professionale, gli obiettivi di sviluppo delle competenze di natura culturale, disciplinare, didattico-metodologica e relazionale, da raggiungere attraverso le attività formative di cui all’articolo 6 e la partecipazione ad attività formative attivate dall’istituzione scolastica o da reti di scuole, nonché l’utilizzo eventuale delle risorse della Carta di cui all’art. 1, c. 121, della Legge (art 5 DM 850/2015).

Il dirigente scolastico e il docente neoassunto, attraverso attività formative e  con il fine di potenziare i punti deboli emersi dal bilancio delle competenze iniziali, stipulano il patto di sviluppo professionale, per poi giungere alla valutazione finale tenendo in considerazione i livelli di partenza.

A seguito del D.M. 850/2015 il percorso formativo è stato reso più rigoroso ed articolato, la griglia per il Bilancio delle competenze pubblicata da INDIRE per i neoassunti offre un ottimo spunto per poter ricondurre in un quadro organico le competenze professionali richieste ai docenti. La pubblicazione della griglia finalizzata alla stipula del Patto per lo sviluppo professionale è un’occasione per considerare l’opportunità che l’introduzione di tale strumento offre per l’intero corpo docente, in una prospettiva del miglioramento continuo così come previsto dal Sistema Nazionale di Valutazione (D.P.R. 80/2013).

Il D.M. 850/2015 negli art. 9-12 enuncia in maniera generica le competenze che dovrebbe avere il tutor, senza specificare che tale figura deve avere una conoscenza diretta  di quanto presente nella griglia per il bilancio delle competenze, per poter predisporre un progetto di tutoring adeguato, evitando il rischio che tutto si riduca ad una formalità e ad una presa d’atto di quanto scrive il docente in anno di prova, venendo meno la funzione di counseling.

La legge 107/2015 ha puntato sulla valorizzazione dell’autonomia e quindi sull’identità della scuola e del suo contesto di apprendimento, pertanto lo sviluppo delle competenze professionali dei docenti deve essere definito sia in rapporto ai bisogni personali sia in relazione dei bisogni della comunità a cui si appartiene in coerenza con P.T.O.F. E P.D.M., perdere la dimensione collettiva vuol dire perdere un’occasione per valorizzare l’autonomia e ritornare ad una visione autoreferenziale della propria presenza nella scuola in cui si presta servizio.

 

La “chiamata per competenze”: da adempimento burocratico a risorsa per l’autonomia

La legge 107/2015 rende molto più agevole  l’esercizio della gestione unitaria dell’istituzione scolastica, aprendo  al dirigente spazi notevoli per indirizzare la vita della scuola e le scelte di priorità, con il fine di  dare piena attuazione all’autonomia delle istituzione scolastiche. La sua responsabilità più importante è rappresentata dall’opportunità  data nella definizione degli indirizzi e nell’attuazione del PTOF, con la partecipazione di tutti gli organi di governo. L’impianto normativo ha tracciato le nuove Linee guida per l’elaborazione del Piano dell’Offerta formativa che ha cadenza triennale. Il PTOF è soggetto a valutazione degli obiettivi in esso inseriti e può essere rivisto annualmente, entro il mese di ottobre.

L’art. 3 del DPR 275  del 1999 è stato novellato dal comma 14 della succitata legge che ne ha cambiato anche le modalità di elaborazione, affidando un ruolo preminente e strategico al dirigente scolastico, chiamato nella nuova previsione normativa, a definire al collegio dei docenti, gli indirizzi per le attività della scuola e per le scelte di gestione e di amministrazione. Leggi tutto “La “chiamata per competenze”: da adempimento burocratico a risorsa per l’autonomia”