Sulle spalle dei giganti


Nel Disegno di Legge comunicato alla Presidenza della Repubblica il 19 Luglio 2018 (trasformato in Legge il 2 Maggio 2019) i senatori proponenti le nuove “Disposizioni in materia di educazione alla cittadinanza attiva e responsabile e strumenti di democrazia diretta” sono saliti sulle spalle di un gigante della politica Italiana, Piero Calamandrei, e ne hanno preso in prestito alcuni principi per motivare le scelte.

Prendere in prestito significa per me riconoscere la paternità del principio, rispettarne la natura, obbligarsi  ad elaborare l’apprendimento, donare ad altri le proprie speculazioni. Non basta citare Calamandrei per conoscerne il pensiero altrimenti, come Gulliver tra Giganti Brob ding nag, misurarsi con la smisurata profondità, potrebbe generare effetti pericolosi ed illudere di essere Gigante Brob ding nag.

Eh si! Qualcosa non mi ha convinto. Confesso che non apprezzo, ad esempio, l’aggettivo “diretta”, orpello ipermoderno che ritengo adatto per “non-sostanze” che prendono forma (piena e vuota) dalla consistenza degli oggetti/concetti risolti.

Calamandrei nel 1950 sosteneva:

“La scuola, come la vedo io, è un organo “costituzionale”. Ha la sua posizione, la sua importanza al centro di quel complesso di organi che formano la Costituzione.

… nella seconda parte della Costituzione, quella che si intitola “l’ordinamento dello Stato”, sono descritti quegli organi attraverso i quali si esprime la volontà del popolo. Quegli organi attraverso i quali la politica si trasforma in diritto, le vitali e sane lotte della politica si trasformano in leggi …

… anche la scuola … è un organo vitale della democrazia come noi la concepiamo. Se si dovesse fare un paragone tra l’organismo costituzionale e l’organismo umano, si dovrebbe dire che la scuola corrisponde a quegli organi che nell’organismo umano hanno la funzione di creare il sangue […]”.

Principi fondativi e profondi questi, indissolubili, che ribadiscono il valore degli organismi di mediazione costituzionale. E allora mi chiedo: “Qual è il senso dell’aggettivo “diretta” allora?

Prosegue Calamandrei:

“La scuola, organo centrale della democrazia, perché serve a risolvere quello che secondo noi è il problema centrale della democrazia: la formazione della classe dirigente… nel senso culturale e tecnico: coloro che sono a capo delle officine e delle aziende, che insegnano, che scrivono, artisti, professionisti, poeti. Questo è il problema della democrazia, la creazione di questa classe, la quale non deve essere una casta ereditaria, chiusa, una oligarchia, una chiesa, un clero, un ordine. No. Nel nostro pensiero di democrazia, la classe dirigente deve essere aperta e sempre rinnovata dall’afflusso verso l’alto degli elementi migliori di tutte le classi, di tutte le categorie.… A questo deve servire la democrazia, permettere ad ogni uomo degno di avere la sua parte di sole e di dignità.  Ma questo può farlo soltanto la scuola, la quale è il complemento necessario del suffragio universale. La scuola, che ha proprio questo carattere in alto senso politico, perché solo essa può aiutare a scegliere, essa sola può aiutare a creare le persone degne di essere scelte, che affiorino da tutti i ceti sociali …
… La scuola democratica …. crea cittadini …”

Calamandrei non apostrofa come diretta la scuola democratica.

Ciò che è apprezzabile è l’allargamento degli spazi di consapevolezza su Costituzione italiana, Istituzioni dell’Unione europea, cittadinanza attiva e digitale, sostenibilità  ambientale, diritto alla salute e al benessere della persona. Sul tema della cittadinanza digitale, in particolare, la norma apre all’opportunità di colmare un deficit culturale che per la velocità, viralità, aggressività degli effetti, necessita di interventi immediati. E’ proprio nell’impostazione antropologica e culturale che si possono trovare chiavi interpretative dei fenomeni digitali. Occorre elaborare un progetto educativo e civico perché si possa vivere da protagonisti questo nuovo tempo e questo nuovo spazio. Le struttura sociale intera deve rinnovarsi in eccellenza di pensiero ed azione, permettendo a ciascuno di esprimere dignità e talento nel rispetto dell’altro, affrancato dalla subordinazione imposta dall’ignoranza. La cittadinanza piena e consapevole pretende l’apprendimento di regole che scongiurino i pericoli derivanti dalla frequentazione di mondi virtuali e da un uso inconsapevole di strumenti digitali.

Istituzione madre preposta alla liberazione dei cittadini dai lacci di un uso acritico dei nuovi strumenti digitali e dalla subalternità tipica di  chi non sa, è la scuola che, parafrasando Calamadrei, torna ad essere complemento necessario del suffragio universale aiutando a scegliere, aiutando a creare le persone degne di essere scelte.

Calamandrei ispira i contemporanei dunque, ma, al tempo stesso, fa risuonare  la visione ed il lirismo di un altro gigante, Aldo Moro, che nel 1958 scrisse una pagina di straordinaria bellezza in premessa alla norma che introduceva l’educazione civica nella scuola.

“… L’educazione civica si propone di soddisfare l’esigenza che tra Scuola e Vita si creino rapporti di mutua collaborazione….  La Scuola a buon diritto si pone come coscienza dei valori spirituali da trasmettere e da promuovere, tra i quali acquistano rilievo quelli sociali, che essa deve accogliere nel suo dominio culturale e critico…. ”

Da qui in poi il florilegio di idee, di visioni, di emozioni:

“… Se ben si osservi l’espressione «educazione civica» con il primo termine «educazione» si immedesima con il fine della scuola e col secondo «civica» si proietta verso la vita sociale, giuridica, politica, verso cioè i principi che reggono la collettività e le forme nelle quali essa si concreta….”

La cittadinanza, sembra ammonirci Moro, è effetto primario di apprendimento.

Il passo successivo rasenta la perfezione ed è una investitura:

“ …. Se pure è vero che ogni insegnante prima di essere docente della sua materia ha da essere eccitatore di moti di coscienza morale e sociale; se pure é vero, quindi, che l’educazione civica ha da essere presente in ogni insegnamento, l’opportunità evidente di una sintesi organica consiglia di dare ad essa quadro didattico, e perciò di indicare orario e programmi, e induce a designare per questo specifico compito il docente di storia. È la storia infatti che ha dialogo più naturale, e perciò più diretto, con l’educazione civica, essendo a questa concentrica. Oggi i problemi economici, sociali, giuridici non sono più considerati materie di specialisti, in margine quindi a quella finora ritenuta la grande storia. L’aspetto più umano della storia, quello del travaglio di tante genti per conquistare condizioni di vita e statuti degni della persona umana, offre, quindi, lo spunto più diretto ed efficace per la trattazione dei temi di educazione civica …”.

In queste righe registro la profondità di un uomo che pur tecnico, fugge il tecnicismo di una materia e la consegna ad un divulgatore, ad un professionista che sincronicamente e diacronicamente stabilisce parallelismi e divergenze con la realtà.

E’ stato disatteso questo principio nella nuova norma o non è stata colta la necessità di sussumere su un piano più alto tutti i contenuti tecnologici e normativi. Ad esempio credo che il tema della cittadinanza digitale debba uscire dal pregiudizio e dal ghetto tecnologico e debba assumere una valenza antropologico-culturale, intesa come dotazione umana facilitante la trasformazione consapevole della realtà. Lasciare che la cittadinanza digitale rimanga materia di soli tecnici, rischia di svilire il senso e la portata della nuova rivoluzione culturale.

Precisa Moro:

“… l’impegno educativo non può essere assolto con retorica moralistica, che si diffonda in ammonizione, divieti, censure; la lucidità dell’educatore rischiari le eclissi del giudizio morale dell’alunno, e si adoperi a mutare segno a impulsi asociali, nei quali è pur sempre un potenziale di energia. Conviene al fine dell’educazione civica mostrare all’allievo il libero confluire di volontà individuali nell’operare collettivo. Se non tutte le manifestazioni della vita sociale hanno presa su di lui, ce n’è di quelle che però ne stimolano vivamente l’interesse. Il lavoro di squadra, per esempio, ha forte attrattiva in questa età, onde l’organizzazione di «gruppi di lavoro» per inchieste e ricerche d’ambiente soddisfa il desiderio di vedere in atto il moltiplicarsi della propria azione nel convergere di intenzioni e di sforzi comuni, e svela aspetti reali della vita umana”.

Come non rimanere basiti dalla potenza ipnotica di queste parole?

Chiamata a ricostruire l’iter normativo dell’educazione civica mi sono abbandonata ad una lettura suggestiva ed ho voluto riproporla a modo mio. Due giganti del passato mi hanno accompagnato ad attraversare l’evoluzione normativa che, pur tra mille distinguo, rimanda ai principi fondativi della comunità italica che non possono essere musealmente esposti ma devono tornare a vivere nell’agito quotidiano.

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