La scuola come comunità educante e inclusiva


Il nuovo CCNL del comparto “Istruzione e Ricerca” siglato nel 2018, introduce per la prima volta, ufficialmente, il concetto di scuola come “comunità educante”, cioè una pluralità di soggetti, non più circoscritta, a dirigenti e docenti, ma comprensiva anche di educatori, Dsga, assistenti e collaboratori scolastici, famiglie e studenti. La norma contrattuale (art.24) precisa che “nella predisposizione del Piano Triennale dell’Offerta Formativa… viene assicurato l’utilizzo integrale delle professionalità in servizio presso l’istituzione scolastica”, offrendo un nuovo campo di azione alle scuole nel coinvolgimento strutturato del personale ATA alle attività scolastiche, sempre nel rispetto delle competenze e dei ruoli professionali.

Il concetto di scuola come “comunità educante” deve essere letto sul duplice fronte: della dimensione valoriale, che pone al centro l’alunno e la sua formazione (per cui l’assistente amministrativo e l’assistente tecnico, pur svolgendo un’attività specifica, devono rendere le loro prestazioni funzionali a finalità educative, per es. quando acquistano materiali didattici o organizzano una gita; o, ancora, il collaboratore scolastico che partecipa attivamente all’assistenza alla disabilità, all’organizzazione della sicurezza in  ambiente educativo, all’elaborazione del PEI) e di quella organizzativa, che rende specifiche, e non fungibili, tutte le professionalità scolastiche, per sottolineare, valorizzare e curare “l’aria educante” che si respira nella scuola.

Non è possibile, infatti, ridurre le istituzioni scolastiche a una visione meramente “aziendalistica”, il che non significa, naturalmente, che esse non debbano e non possano essere in sintonia con le collettività professionali interne ed esterne alla scuola, con il territorio e con l’odierno mondo del lavoro. Anzi, è vero l’esatto contrario! La “scuola azienda”, però, costituisce una visione stravolta dell’istituzione, cui la Costituzione italiana, invece, ha affidato il compito di perseguire finalità educative, senza condizionamenti e in assoluta autonomia.

Questi concetti erano già stati evidenziati dallo studioso americano Sergiovanni, secondo il quale le comunità a scuola “possono essere pensate come aventi ‘centri’ che sono depositi di valori condivisi che danno orientamento, ordine e significato alla vita della comunità’; le scuole possono diventare comunità: che si prendono cura, dove i membri manifestano un coinvolgimento reciproco totale; che apprendono, dove apprendere è un atteggiamento come anche un’attività; di professionisti in educazione dove gli ideali di virtù professionali fioriscono; collegiali i cui membri sono legati da un senso di interdipendenza e obbligo reciproco profondamente sentiti; inclusive dove le differenze sono accolte e valorizzate all’interno di un insieme orientato al mutuo rispetto; di ricerca dove i membri si lasciano coinvolgere da uno spirito di ricerca attiva e collettiva. Ma per diventare ognuna di queste cose, le scuole devono prima diventare comunità che hanno uno scopo ben preciso; luoghi dove i membri hanno sviluppato una comunità di pensiero che li tiene insieme in un modo speciale e li lega a una ideologia condivisa”.

Seguendo il suo pensiero, allora, possiamo affermare che i valori condivisi che possono orientare la comunità scolastica verso tali prospettive sono quelli inclusivi. Infatti, Sergiovanni ci dice che le scuole come comunità inclusive sono: “luoghi in cui le differenze di natura economica, religiosa, culturale e d’altra natura, sono accolte insieme in un tutto caratterizzato da reciproco rispetto. La trasformazione della scuola in comunità si ha nel momento in cui si condividono idee in grado di trasformare l’IO in NOI”.

Purtroppo, i recenti “attacchi” terroristici, nel cuore di un’Europa che si dichiara “inclusiva”, segnalano, al contrario, la mancanza di un’autentica integrazione nel tessuto sociale. I migranti e i rifugiati pongono l’Europa di fronte a una nuova sfida educativa, che richiede il ripensamento dei modelli adottati, in cui sono ancora attualissimi i 4 pilastri dell’educazione presentati da Delors alla fine degli anni 90: imparare a conoscere, imparare a fare, imparare a vivere insieme, imparare ad essere.

Alla luce di tali istanze, in quale prospettiva oggi è possibile pensare la scuola? Come comunità in grado di favorire il benessere di tutti i suoi membri o come organizzazione in grado di soddisfare le richieste provenienti dal mercato del lavoro? La scuola deve sviluppare soltanto le competenze richieste dal mercato del lavoro o deve anche insegnare ad essere, cioè a diventare cittadini del mondo globale? E ancora, cosa significa realmente “buona scuola”?

Non si può rispondere alle suddette domande senza prima stabilire e definire quale modello di uomo e di cittadino la scuola odierna voglia formare.

L’educazione, come già indicato da Delors, “è un tesoro: è l’arma più efficace per combattere il terrorismo e le derive politiche nazionalistiche, che generano paura per le diversità” che emergono nella odierna società globale. La scuola dell’oggi e del domani, perciò, deve accettare la sfida della diversità ed essere inclusiva, in grado di valorizzare le differenze, di educare alla pace, di costruire nuovi modelli di cittadinanza, in poche parole può e deve essere la scuola-comunità, dove vi è attenzione per l’educazione alle differenze.

Ci troviamo in un’epoca di rapidi mutamenti, in piena crisi economica e valoriale, nella quale per la scuola (sia a livello centrale che periferico) diventa difficile individuare quali siano le priorità da perseguire: da una parte la scuola come efficiente azienda al servizio del lavoro e dell’economia, dall’altra la necessità di ripensare ad essa in termini più umanizzanti, creando comunità inclusive.

Uno strumento utile per la costruzione della scuola come comunità inclusiva è costituito dall’Index for Inclusion (Booth, Ainscow, 2014) che integrando le tre dimensioni della cultura, della politica e delle pratiche inclusive mette in evidenza la circolarità esistente tra questi elementi e la loro interdipendenza. Secondo l’Index gli elementi per costruire una scuola inclusiva sono: un quadro di valori condivisi; lo sviluppo sistematico di strategie di comunità e la ricerca attiva di relazioni in cui ruoli e gruppi si costituiscono e cambiano in funzione dei servizi (e non viceversa); la valorizzazione delle differenze.

E’ opportuno tenere presente che la partita dell’inclusione si gioca sulla creazione di reti e sulla condivisione da parte di tutta la comunità scolastica di una cultura inclusiva, da esplicitare in scelte politiche e pratiche inclusive; va da sé che questa “partita” non possono giocarla soltanto gli insegnanti e/o il dirigente scolastico. L’inclusione riguarda tutti e ciascuno, e quindi ogni scuola è necessario che elabori, al suo interno, una propria “vision pedagogica inclusiva” condivisa da dirigente, insegnanti, personale ATA, genitori, studenti e, persino, dal territorio, cui ognuno deve contribuire per la parte che gli è propria.

E’ così che si costruisce una scuola come comunità che apprende (Comoglio), in cui tutti gli attori sono interdipendenti e lavorano insieme affinché essa si trasformi in una comunità di valori, di pensiero, di ricerca, di azione, di pratica, affinché l’apprendimento divenga un processo di dialogo continuo, attivo e collaborativo, per la costruzione del pensiero critico, divergente, creativo, in grado di formare teste ben fatte, e per insegnare il senso della cittadinanza terrestre (Morin).

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