La Corte di Giustizia Europea: il motore dell’unificazione


Introdotta nell’ordinamento comunitario dal Trattato di Maastricht del 1992, l’UE si è configurata inizialmente come organismo politico ed economico a carattere sovranazionale e intergovernativo, privo di una personalità giuridica propria, distinta da quella dagli Stati membri.

Con il Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 (entrato in vigore dal 1° novembre 2009), è stato modificato sia il Trattato sull’UE, sia quello istitutivo della Comunità Europea (CE), sostituendo l’UE alla CE, quale organizzazione internazionale successore della CE, dotata di personalità giuridica (artt. 1 e 47 del Trattato).

L’UE si basa sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani (art. 2 del Trattato); tra le finalità generali si pone: la creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne; l’instaurazione di un mercato interno e lo sviluppo sostenibile dell’Europa, (…); la lotta all’esclusione sociale e alle discriminazioni; la coesione economica, sociale e territoriale e la solidarietà tra gli Stati membri; l’unione economica e monetaria; e, nelle relazioni esterne, la promozione dei valori e degli interessi dell’UE, contribuendo alla pace, alla sicurezza e allo sviluppo sostenibile, all’eliminazione della povertà, alla tutela dei diritti umani e al rispetto del diritto internazionale e dei principi della Carta delle Nazioni Unite (art. 3).

Essa possiede un apparato istituzionale che opera per il perseguimento degli interessi e delle politiche dell’UE, nonché di un sistema giurisdizionale in grado di garantire l’applicazione e l’interpretazione uniforme del diritto dell’UE. E’ composta da 5 principali istituzioni: il Consiglio europeo, il Consiglio dell’Unione Europea, la Commissione europea; la Corte di giustizia dell’Unione Europea, il Parlamento europeo, o Europarlamento.

Tra esse è la Corte di Giustizia Europea (CGUE), con sede nella città di Lussemburgo, presso le torri omonime, ad avere funzioni giurisdizionali.

Nata il 18 aprile 1951, al momento della firma del trattato di Parigi istitutivo della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), con il nome di Corte di giustizia della CECA, diventa poi Corte di giustizia delle Comunità europee (CGCE) con i trattati di Roma istitutivi della Comunità economica europea (CEE) e la Comunità europea dell’energia atomica (EURATOM) e con il Trattato di Lisbona, muta in Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE).

Pur presentandosi come un’istituzione unitaria, ha una struttura interna tripolare: Corte di giustizia, Tribunale (istituito nel 1989 come Tribunale di primo grado) e Tribunali specializzati. L’insieme di tali organi assicura “il rispetto del diritto dell’Unione nell’interpretazione e nell’applicazione dei trattati e degli atti normativi derivati” (art. 19 del Trattato sull’Unione Europea).

Essa essenzialmente si pronuncia, conformemente ai trattati:

  • sui ricorsi presentati da uno stato membro, da un’istituzione o da una persona fisica o giuridica:
  • in via pregiudiziale, su richiesta delle giurisdizioni nazionali, sull’interpretazione del diritto dell’Unione o sulla validità degli atti adottati dalle istituzioni;
  • negli altri casi previsti dai trattati.

In primo luogo, quindi, con la scomparsa della tradizionale struttura a pilastri creata a Maastricht, la Corte acquisisce una competenza pregiudiziale generale nel settore dello spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia.

Per quanto riguarda i visti, l’asilo, l’immigrazione e le altre politiche connesse alla circolazione delle persone, ora la Corte può essere adita da tutti i giudici nazionali ed è ormai competente a pronunciarsi su provvedimenti di ordine pubblico nell’ambito dei controlli transfrontalieri. Inoltre, può pronunciarsi sulla Carta dei diritti fondamentali dell’U.E., che con il trattato di Lisbona ha lo stesso valore giuridico dei trattati.

Non è competente in materia di politica estera e di sicurezza comune (PESC), ad eccezione di due casi:

  • quando si tratta dell’attuazione della PESC da parte delle istituzioni;
  • nell’ipotesi dei ricorsi di annullamento riguardanti le decisioni che prevedono misure restrittive nei confronti di persone fisiche o giuridiche.

Essa è formata da un giudice per ogni Stato membro e si riunisce in sezioni, in grande sezione o in seduta plenaria, conformemente alle regole previste dal suo statuto. È assistita da 8 “avvocati generali”, in carica per un periodo rinnovabile di sei anni, che hanno il compito di presentare pubblicamente, con assoluta imparzialità e in piena indipendenza, conclusioni motivate sulle cause che, conformemente allo statuto della Corte, richiedono il loro intervento.

Importante sottolineare che la CGUE, attraverso la trattazione di casi concreti, sancisce il principio della supremazia del diritto europeo su quello nazionale, principio ufficialmente riconosciuto anche dalla Corte costituzionale italiana: se una norma di diritto europeo e una norma di uno stato nazionale sono in contrasto, il diritto europeo prevale e tuttavia, ciò non significa abrogarla.

Un caso interessante, che evidenzia quanto sia influente la Corte di giustizia nel trasformare il diritto europeo in diritto da applicare negli Stati membri, ha coinvolto l’Italia. Di fronte a un processo infinito, una delle parti in causa ha fatto ricorso alla Corte di giustizia, la quale ha stabilito che il diritto a un giusto processo, già sancito dalla Costituzione italiana, deve includere anche la ragionevole durata dello stesso. Da quel momento, la Corte Costituzionale italiana interpreta il canone del giusto processo come inclusivo della ragionevole durata, oltre che degli altri requisiti. Se la ragionevole durata non è garantita, il cittadino ha diritto a essere risarcito. Quindi, addirittura, la Corte di giustizia riesce ad innovare una Costituzione nazionale. Alla base di questo principio, va ricordato che ogni norma europea è, per sua stessa natura, già anche norma nazionale e che le norme europee sono adottate e, quindi, non imposte, con l’accordo degli Stati membri nel Consiglio dell’Unione europea.

La maggior parte delle leggi nazionali non sono altro che la trasposizione in diritto interno di una norma europea, quando la stessa è contenuta in una Direttiva (e cioè necessita di essere recepita con legge nazionale per essere applicabile) e non, invece, in un Regolamento (che è direttamente applicabile).

Molteplici sono gli ambiti in cui la Corte di giustizia ha inciso nel dialogo tra il sistema giuridico comunitario e le fonti normative nazionali.

Fra i temi più importanti si ricordano:

La Corte ha pronunciato sentenze importanti anche in materia scolastica come:

Sentenza del 22-12-2010 (CGUE ha ribadito il divieto di discriminazione tra lavoratori di ruolo e lavoratori con contratto a tempo determinato. Ha fatto così chiarezza sull’equivoco nel quale è incorso il Tribunale di Viterbo che aveva negato il diritto alla corresponsione degli scatti di anzianità, motivando il diniego sul presupposto (erroneo) che nelle scuole spagnole prestasse servizio personale “di ruolo”, con contratto a tempo determinato.)

Sentenza del 08 -9- 2011 CGUE: nei concorsi pubblici il servizio pre- ruolo va valutato come quello di ruolo.

Sentenza del 18-10- 2012 CGUE: bocciata la legge nazionale che non tiene conto a fini retributivi dell’anzianità maturata nei contratti a termine

Sentenza del 26-11- 2014  Una normativa nazionale non può autorizzare, in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale di ruolo delle scuole statali, il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti nonché di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, senza indicare tempi certi per l’espletamento di dette procedure concorsuali ed escludendo qualsiasi possibilità, per tali docenti e detto personale, di ottenere il risarcimento del danno.

Sentenza 20-9- 2018  In tema di ricostruzione della carriera, su domanda di pronuncia pregiudiziale esperita dal Tribunale di Trento, la CGUE ha avuto modo di affrontare, e chiarire, il dubbio sollevato dal Giudice di prime cure in merito alla disparità di trattamento riservata al personale scolastico a tempo determinato. Sul punto, ha precisato che la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro vieta che, per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato siano trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili, per il solo fatto di avere un contratto o un rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano “ragioni oggettive”. Previa verifica del Giudice nazionale, può essere ritenuta legittima l’applicazione della normativa nazionale (che tenga conto dei periodi di servizio di pre-ruolo in misura integrale fino al quarto anno e dei restanti, parzialmente, a concorrenza dei due terzi) al precario che abbia prestato esclusivamente supplenze brevi e temporanee, su svariate materie, ritenendosi invece integralmente computabile come annualità completa il servizio di almeno 180 giorni conseguiti in un anno scolastico.

Si desume, quindi, che interpretando le norme, la Corte ha esteso e ampliato fortemente i diritti dei singoli cittadini. Se una norma europea assicura loro un diritto, ma la norma nazionale fa da ostacolo, ogni cittadino dell’Unione può ricorrere contro il proprio Stato membro.

Si può affermare, in conclusione, che la Corte è stata il vero motore dell’unificazione europea, poiché ha plasmato il diritto dell’UE consentendone l’affermazione negli Stati membri e sancendone i principi fondamentali.

Se è vero che i Trattati recano le norme, la Corte di giustizia ha saputo estrarre dalle singole fattispecie concrete la struttura del diritto europeo!

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