Italia ed Unione Europea: dalla firma del trattato di Maastricht all’ingresso nella moneta unica


Ripercorrere le tappe che hanno portato l’Italia dalla firma del Trattato di Maastricht all’ingresso nella moneta unica non è certamente cosa semplice o lineare. Nonostante l’Italia, insieme a Francia, Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi e Germania sia stata uno dei sei Padri fondatori della CECA e successivamente del MEC, precursore dell’attuale UE, essa ha vissuto periodi controversi, contraddittori e a volte anche problematici nel difficile percorso verso un mercato e verso una moneta unici. Le controversie politiche e la pressione degli euroscettici nel panorama politico attuale non si discostano molto da quello che era il contesto politico dell’Italia nell’Europa degli anni ’80.

Nel corso degli ultimi anni, caratterizzati dallo scenario di una terribile crisi che ha investito la vecchia Europa, scuotendola nelle sue fondamenta soprattutto nel suo versante meridionale, la nuova moneta ha subito diversi attacchi: accusata (insieme alle rigide clausole del Patto di Stabilità) di essere causa delle gravi difficoltà economiche che hanno investito soprattutto i Paesi dell’Europa meridionale, Italia, Grecia, Spagna e Portogallo, ha generato malcontento e sentimenti antieuropeisti non solo tra la popolazione, ma anche tra quei partiti i quali, nel rivendicare la vecchia sovranità monetaria e l’uscita del paese dall’unità monetaria come panacea di tutti i mali economici attuali, vorrebbero gettare le basi per un ampio consenso popolare alle elezioni.

Ma è d’obbligo sottolineare, al di là delle convinzioni politiche, che le difficoltà economiche dell’Italia e degli altri paesi del Mediterraneo europeo non sono dovuti all’euro bensì all’enorme debito pubblico che non già poche volte ha interrotto e frenato il cammino di questi Paesi verso l’Unione. Non dimentichiamo che la Grecia, inizialmente esclusa, entrò sei mesi dopo, a seguito di un’accelerata politica di programmi di risanamento, riuscendo a strappare la fiducia dell’Unione e il permesso ad entrare a far parte dei “Fantastici 12”. L’Italia, dal canto suo, entrò in prima battuta ma certamente non con tutte le carte in regola, avendo rispettato soltanto 4 su 5 dei parametri stabiliti da Maastricht.

L’Europa degli anni ’80 vive un periodo di grande fermento: dalla Perestrojka di Gorbachev, testimone dei cambiamenti della Russia del tempo, dalla scossa data alla Cina dai pur tragici eventi di piazza Tienanmen, al grandioso e rivoluzionario evento del crollo del Muro di Berlino che porterà all’unificazione della Germania e alla caduta dei regimi dittatoriali dell’Europa dell’est.

Ma sull’Europa degli anni ’90 spirano anche venti di guerra e di disgregazione: il conflitto dei Balcani porterà nuovamente la guerra nel vecchio continente e la disgregazione di uno Stato che con fatica il generale Tito aveva mantenuto unitario e in pace. L’invasione da parte di Saddam Hussein del Kuwait riproporrà, dopo la lezione subita nel 1973, a seguito della guerra del Kippur, il problema della dipendenza energetica e debolezza economica dell’Europa del tempo ma anche della mancanza di una chiara, unica e condivisa politica estera.

L’Italia vive al suo interno il fervore e il fermento che anima l’Europa di quegli anni ma si acuisce la degenerazione della Repubblica dei partiti, l’instabilità politica e la degenerazione della morale politica che porta diversi governi ad una durata anche di poche settimane e ad un avvicendamento di poteri e poltrone senza un vero cambiamento nella programmazione politica. Lo scenario politico degli anni, fortemente in crisi, si complica con la nascita di nuove forze politiche e la revisione di vecchie, che fanno leva anche sul diffuso malcontento popolare: nasce il partito della Lega Nord che già riesce ad eleggere nel 1987 i primi deputati e nel 1989 i primi eurodeputati, portando all’attenzione dell’opinione pubblica italiana ed europea la “questione settentrionale”, mentre un profondo processo di revisione interessa il Partito Comunista Italiano.

Alla fine degli anni ’80 si ripropone lo scontro e la contrapposizione tra l’Europa della Thatcher, modello di semplice libero mercato, e quella di Delors, con maggiori finalità sociali e politiche, il quale, già alla fine della primavera dell’88 insisteva sul fatto che un mercato unico non avrebbe potuto funzionare se basato su diverse monete nazionali, soprattutto a diverso potere e peso economico. Si comincia così a lavorare ad un’idea concreta di moneta unica anche se l’ECU, l’unità di conto europea, virtuale, era già stata introdotta dal Consiglio Europeo nel 1978 a formare insieme all’ERM (Exchange rate Mechanism) il Sistema Monetario Europeo, gettando le basi del futuro Euro.

Nel corso del 1990, nel processo di accelerazione della realizzazione della moneta unica, Mitterrand e Coll lanciano la sfida di realizzare, oltre all’unione monetaria, anche quella politica, dando un’importanza sempre maggiore ad un trattato che da meramente tecnico assume anche toni fortemente politici. A questo futuristico progetto l’Italia dei partiti risponde senza grande entusiasmo o impegno, a differenza di quanto avviene negli altri Paesi dove il dibattito interno è vivace e la partecipazione attiva e cosciente. Il Ministro degli esteri De Michelis e il presidente del Consiglio dei Ministri Andreotti, con interventi lungimiranti, attireranno l’attenzione sulla necessità, per il buon futuro del Paese, di accettare e partecipare al progetto europeo, pena l’esclusione e l’isolamento.

Maastricht rimane ancora un argomento di secondaria importanza, il dibattito langue, a dimostrazione che i media e soprattutto le Istituzioni non hanno ancora capito l’importanza del trattato che comunque viene firmato. Alla firma segue il complicato iter delle ratifiche: i Danesi lo rigetteranno nel giugno del ’92, mentre Mitterrand indice un referendum consultivo dagli esiti incerti. In Italia si vuole accelerare la ratifica per influenzare in un certo senso in direzione positiva il voto francese. Alcuni partiti, inoltre avanzano alcune eccezioni di incostituzionalità del trattato: Rifondazione Comunista ed MSI ritengono che la moneta unica non metta sullo stesso piano tutti i membri visto il trattamento di favore (opting out) riservato al Regno Unito. L’MSI richiama l’articolo 11 della Costituzione che sottolinea che la cessione di sovranità può avvenire in condizioni di assoluta parità con gli altri Stati, mentre Rifondazione Comunista ritiene incostituzionale il Trattato perché sottrae alla Repubblica sovranità in campo economico e monetario senza garantire un adeguato controllo democratico di tale cessione.

Il panorama politico italiano è dunque piuttosto diviso sul tema Europa e soprattutto sembra non gradire il Trattato anche se, dopo affrettate discussioni, si troverà costretto a votarlo senza la piena coscienza dell’importanza e dell’impatto che esso avrà nella futura vita economica, sociale e politica della comunità: a conferma di ciò va sottolineato che il trattato viene firmato nel febbraio del ’92 da un Governo dimissionario. E’ il ’92 l’”Annus horribilis” della Repubblica Italiana: gli attacchi della mafia colpiscono nel cuore lo Stato con le uccisioni di Falcone e Borsellino, prendono avvio le inchieste della Magistratura su Tangentopoli, scoppiano le tempeste monetarie a seguito della bocciatura danese del trattato che porteranno ad una doppia svalutazione della lira ed alla sua uscita dallo SME.

E’ un’Italia profondamente minata alle basi, sia dal punto di vista istituzionale che politico, economico e sociale che vede, l’anno successivo, il Presidente Scalfaro sciogliere le camere di un Parlamento, eletto da meno di un anno ma ormai giudicato non più rappresentativo degli umori politici del paese. Ciò però porta ad una rivoluzione politica che porterà nel maggio del ’94 alla vittoria due coalizioni di destra capeggiate da Forza Italia di Silvio Berlusconi: Forza Italia+LegaNord+Centro cristiano democratico al nord e FI+MSI+Centro cristiano democratico al sud. Tali coalizioni manifesteranno un atteggiamento contraddittorio: europeista entusiasta la Lega Nord, contrari a Maastricht e all’integrazione europea l’MSI, mentre FI, piuttosto eterogenea e contraddittoria al suo interno, è capeggiata da un Silvio Berlusconi che si interessa poco della moneta unica.

Da ciò uno scarso apprezzamento politico in ambiente europeo. Anche i rapporti diplomatici tra i deputati europei e quelli italiani sono piuttosto tesi e compromessi a tal punto da far registrare un episodio emblematico: Elio di Rupo, ministro belga si rifiuterà di stringere la mano al ministro missino designato dal governo Berlusconi e farà trovare il luogo dell’incontro pieno di post-it con croci bianche e con la frase “1922 – 1943: Io non dimentico” a sottolineare l’atmosfera di sfiducia dell’Europa verso il Governo Berlusconi.

Le difficoltà e le contraddizioni del Governo nei confronti dell’Europa portano la Lega Nord, europeista e favorevole all’euro, a sfiduciare il governo Berlusconi, nel dicembre 1994, cui seguirà il governo Dini e la riaffermazione di un europeismo più tradizionale. Dini si impegna per il risanamento del disavanzo pubblico ma, come preventivamente annunziato, annuncia le sue dimissioni alla fine del ’95, mentre l’Italia vive il suo semestre di presidenza della Comunità Europea. Le elezioni politiche decretano la vittoria del centrosinistra di Prodi e Ciampi con l’appoggio di Rifondazione comunista. Tale maggioranza, ancora una volta, però, non è coesa sui temi dell’Unione e della moneta unica, avversata da Rifondazione che apre, tra il ’96 e il ’98, due crisi di governo una delle quali spingerà Prodi a dimettersi.

Rientrata la crisi grazie alla vittoria dei socialisti di Jospin in Francia e all’impegno del nuovo governo Prodi sulle 35 ore lavorative settimanali, il governo comunque non riesce ad avere una maggioranza coesa sulle misure da prendere per rispettare i parametri di Maastricht e a conquistarsi la fiducia ed il rispetto della Germania e dell’Europa. E ciò nonostante Prodi avesse fortemente legato la sua permanenza al governo all’entrata dell’Italia nell’Euro. A tal proposito in occasione del vertice di Valencia, Prodi chiede un rinvio della terza fase dell’euro per avere più tempo per mettere a posto i conti pubblici italiani. Non ottenutolo, all’indomani del vertice si raddoppiarono gli sforzi italiani nell’opera di risanamento per rientrare nello SME entro il 1996 e prendere così il treno Euro nel 1999: a pochi mesi dalla fine del ’96 un tour de force economico guidato da Prodi e Ciampi porterà l’Italia a rispettare quattro su cinque dei parametri richiesti.

Ottenuta una valutazione di merito sugli sforzi compiuti sul parametro non rispettato, l’Italia, tra marzo e maggio del 1998 ottiene la conferma di essere entrata a far parte dell’area euro. L’ingresso nell’euro viene salutato e festeggiato con un concerto in piazza Campidoglio, evento non celebrato in alcuno degli altri Paesi Euro.

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