La scuola che vorrei: “una nuova mission”


Con la Legge 107/2015 nuove parole chiave sono entrate a far parte del panorama linguistico scolastico: Vision, Mission, accountability, improvement, rendicontazione sociale, comunità professionale, PTOF, potenziamento, reti  di ambito e reti di scopo, GDPR… Si ha la sensazione di aggirarsi tra i meandri di un labirinto i cui enigmi non sono di facile risoluzione.

Dirigenti, docenti, e personale scolastico si sono trovati a fare i conti con dematerializzazione, digitalizzazione, privacy, sicurezza, benchmarking, certificazioni, rendendo la scuola una “agency” il cui fine ultimo, sembra essere esclusivamente il principio del buon andamento fissato all’art. 97 della Costituzione, la misurazione della performance, in un’ottica di qualità del servizio prestato.

La paura del miglioramento della qualità dell’istruzione, dell’innalzamento dei livelli di apprendimento, degli esiti finali, della rendicontazione sociale stanno diventando l’obiettivo prioritario attorno al quale la scuola corre il rischio di focalizzare la sua azione strategica e finale. Non adeguata attenzione viene rivolta alle emozioni, vero motore di motivazione, di autorealizzazione, di apprendimento significativo e situato, di crescita personale e sociale.

Molti gli studi sociologici che affermano che la società nella quale stiamo vivendo è sempre più diversificata a causa della multietnicità, dell’interculturalità, della globalizzazione, della diffusione di nuove tecnologie. Inoltre il profondo disagio manifestato dalle ultime generazioni nei confronti di una società alienante, liquida, senza punti di riferimento culturali, valoriali, economici, lavorativi,  crea profondo disagio e gap tra le passate e le nuove generazioni, che non riescono a comunicare tra loro.

Le cause che provocano il “drop out” dei ragazzi e portano al non impegno, al disagio e all’abbandono scolastico, sono da ricercare nelle loro relazioni con gli altri, nella mancanza di autostima, nell’assenza di fiducia nel futuro. Risulta dunque necessario rispondere alla emergente sfida educativa che rifletta sul ruolo che le emozioni svolgono nell’intero arco vitale dell’individuo, influenzandone il comportamento, il processo di apprendimento, nonché il successo formativo.

Promuovere e costruire uno “spazio d’azione” nel quale creare benessere con se stessi e con gli altri, questa è la nuova mission della scuola che vorrei; acquisire abilità di ascolto, capacità di lettura del disagio degli studenti, fermarsi a guardarli, sviluppare capacità di “empatia intellettiva” , di comunicazione tempestiva ed efficace, di uso di strategie motivazionali.

“Emozioni per educare… Educare alle emozioni” (Convegno del 30/11/2018 dell’Istituto “Ites Olivetti” in collaborazione con il MIUR, la Regione Puglia dal titolo omonimo) è il motto di una nuova mission: una mission che crede in una scuola come comunità educante, una scuola che cerca di formare identità forti, consapevoli dell’unicità individuale, della ricchezza personale, della spendibilità delle proprie potenzialità.

Le emozioni regolano la vita delle persone: esse governano tutti i rapporti umani, permettendo di aprirsi al mondo e di entrare in relazione con gli altri. Per questo, prendere confidenza con le emozioni e imparare a riconoscerle vuol dire essenzialmente imparare a mettersi in discussione, ad accettarsi, ad aprirsi al confronto, soprattutto apprendere il mondo e le cose del mondo. Le emozioni devono guidare l’agire didattico, un agire improntato a valori di cittadinanza attiva e responsabile e finalizzato al successo di tutti e ciascuno.

A sostegno di tali interventi e modalità educative, per operare direttamente nelle realtà scolastiche intervengono anche le norme che regolano le azioni da mettere in atto. La legge 107/15 all’articolo 1, comma 16 afferma che una delle priorità a cui la scuola deve rispondere, è quella di guidare le nuove generazioni al rispetto delle diversità nell’ottica di una “scuola inclusiva e aperta al dialogo” (altre fonti normative D.lgs 71/17, Piano nazionale per l’educazione al rispetto/MIUR).

Ruolo fondamentale della scuola è quello di creare esperienze emotive significative capaci di muovere il pensiero riflessivo e di stabilire un rapporto empatico tra docenti e discenti; un rapporto basato sulla fiducia relazionale, sulla credibilità, sulla continua autoanalisi. L’obiettivo è allenarsi a riconoscere le emozioni dei nostri ragazzi nel momento stesso in cui si manifestano, senza che esse prendano il sopravvento su di loro e quindi su di noi.

Infatti il pericolo del disorientamento, dello scoraggiamento è sempre alle porte, esiste un rischio molto alto di DISTORSIONI COGNITIVE che fanno apparire le cose peggiori di quanto siano in realtà. È invece importante che l’insegnante li renda consapevoli che vi sono alcune cose che non si è in grado di cambiare e che per tanto non vale la pena lasciarsi frustrare da esse o prendersela.

Dobbiamo aiutarli a comprendere che le esperienze siano esse positive o negative, possono trasformarsi in insegnamenti e in una futura crescita dai quali ripartire più forti e convinti. Il Piano dell’offerta formativa può contenere un insieme di azioni educative e formative che, attraverso le collaborazioni con gli Uffici scolastici regionali, con le Reti di scopo e con gli Enti locali, permettano agli studenti di acquisire e sviluppare competenze trasversali, sociali e civiche.  Anche la promozione della formazione dei docenti è garanzia di acquisizione di life skills, il cui possesso aiuta a prevenire atteggiamenti antisociali, promuovere autoefficacia e collaborazione tra pari ed indirizzare gli alunni verso un percorso di autoconsapevolezza e responsabilizzazione verso il proprio status di “cittadino, lavoratore responsabile, partecipe alla vita sociale, capace di assumere ruoli e funzioni in modo autonomo, in grado di saper affrontare le vicissitudini dell’esistenza” (OMS).

“Mi pareva di essere nell’antico oratorio nell’ora della ricreazione. Era una scena tutta vita, tutta moto, tutta allegria. Chi correva, chi saltava, chi faceva saltare. Si vedeva che fra i giovani e i Superiori regnava la più grande cordialità e confidenza…”( Don Bosco “Il cortile di Valdocco”- tratto da Lettera da Roma, 1884).

E’ questa l’immagine della scuola che ogni ragazzo dovrebbe sperimentare e vivere nel proprio percorso formativo. Una scuola dove la familiarità, la fiducia reciproca, la lealtà guidano le relazioni umane, promuovono la crescita dell’identità, motivano all’apprendimento significativo. Nella lettera si parla di cordialità e confidenza, una confidenza che cresce nel tempo tra gli attori del processo educativo, tra educatori e educandi,  che suscita spontaneità nei rapporti umani. Sentirsi amati è il fulcro della vera felicità e realizzazione personale e l’amore si manifesta nella capacità dell’educatore di ascoltare. Ascoltare per me significa guardare oltre e guardare dentro ogni uomo, per poter capire e carpire i reali bisogni della persona che ho davanti. In questo momento fluttuante, alienato, è veramente difficile per la scuola ritrovare il proprio ruolo e lo è ancora di più per ogni docente che vive la sua professionalità in modo frustrante e limitato. Ma vorrei far mia una frase di Don Bosco che dice: “Studia di farti amare, prima di farti temere“.

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