Quello della sicurezza nella scuola, ambiente di frequentazione quotidiana per gli alunni e di lavoro per il personale, è un tema molto delicato, spesso associato anche a situazioni di rischio connesse alla vulnerabilità degli edifici scolastici, soprattutto in aree ad alto impatto sismico, ma non solo. Le questioni inerenti la sicurezza strutturale, igienica e impiantistica sono infatti all’ordine del giorno in riferimento alla manutenzione e alla messa in sicurezza degli edifici scolastici, la cui costruzione è spesso piuttosto datata, per non dire obsoleta.
Sotto questo profilo, la responsabilità del DS può apparire oggi eccessivamente gravosa, anche in considerazione del fatto che gli attuali orientamenti giurisprudenziali in materia di sicurezza dei lavoratori e degli ambienti di lavoro scolastici sembrano tendere a riconoscere la titolarità delle relative responsabilità penali non solo in capo ai dirigenti degli enti locali proprietari degli edifici, ma anche in capo ai dirigenti delle istituzioni scolastiche.
Alla luce del recentissimo dibattito sorto intorno alla necessità di modificare il D. Lgs. 81/2008 relativamente alle responsabilità attribuite ai DS in qualità di “datori di lavoro” delle istituzioni scolastiche che dirigono, appare quindi interessante, in questa sede, prendere sinteticamente in considerazione le motivazioni contenute in una recente sentenza della Corte di Cassazione in materia di sicurezza nelle scuole, per mettere in luce l’iter logico e argomentativo seguito dalla Suprema Corte in tale pronuncia, i principali aspetti giuridici affrontati e la ratio sottesa ad un orientamento giurisprudenziale che appare ormai maggioritario.
Tale pronuncia risale all’anno 2016, a conclusione di una vicenda processuale che ha suscitato enorme risonanza mediatica presso l’opinione pubblica per la gravità dell’evento occorso – avendo il crollo di una parte dell’edificio scolastico provocato la morte di tre studenti e lesioni gravi a carico di altri due – e per le drammatiche vicende personali, oltreché professionali, che hanno visto protagonista il Dirigente all’epoca dei fatti a capo dell’Istituzione Scolastica coinvolta, il Convitto Nazionale di L’Aquila, crollato a seguito del devastante terremoto che nel 2009 ha colpito la città capoluogo abruzzese.
Data la complessità e la densità delle argomentazioni emerse in questa pronuncia, oltreché per la rilevanza della tematica affrontata, si fa necessariamente rinvio al testo integrale della sentenza (allegata al presente contributo).
Il commento proposto in questa sede, sarà di conseguenza, necessariamente, sintetico e centrato esclusivamente sulla responsabilità penale del DS; non verrà quindi presa in considerazione la parte motiva relativa alla sussistenza della responsabilità, ex art, 40 cpv. cod. pen., anche in capo al soggetto che all’epoca dei fatti era dirigente tecnico dell’edilizia scolastica della Provincia, ritenuto dalla Suprema Corte titolare di una peculiare posizione di garanzia, complementare rispetto al ruolo di garanzia assunto in primis sul dirigente dell’Istituzione scolastica, e parificabile a quella dell’RSPP.
Va altresì osservato che la pronuncia in parola fa parte di una serie di sentenze emanate nel 2016 dalla Cassazione in materia di sicurezza nelle scuole: pronunce che non vale qui la pena ricordare se non in modo cursorio, e che semmai saranno esaminate in successivi interventi, ai quali faccio rinvio per gli opportuni approfondimenti.
- Premessa. Responsabilità e obblighi del Dirigente scolastico come “datore di lavoro” nell’istituzione scolastica.
Per analizzare la pronuncia della Cassazione relativa al crollo del Convitto Nazionale di L’Aquila a seguito del terremoto del 2009, è necessario prendere la mosse dalla rilevante posizione di garanzia del DS in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro, anche, se non soprattutto, in tema di incolumità delle persone, per comprendere come essa si atteggia e si declina, nel caso di specie, in relazione all’ipotesi di verificazione – più o meno prevedibile ex ante e governabile – di eventi catastrofici, come i terremoti, in zone ad elevato rischio sismico.
A tale proposito, pur rinviando ad un ulteriore approfondimento la complessa e frammentaria normativa vigente in materia di edilizia scolastica pubblica, che ha recentemente avuto un impulso particolarmente significativo, in termini di sicurezza e riqualificazione, proprio a seguito degli eventi sismici che hanno colpito l’Italia centro-meridionale del 2009, bisogna ricordare che, ai sensi dell’art. 1 del D.M. n. 292/1996, ai fini degli obblighi e delle responsabilità prevenzionistiche in materia di sicurezza nelle istituzioni scolastiche, il Dirigente Scolastico assume la qualifica di “datore di lavoro” nell’Istituto cui è preposto. In riferimento a tale profilo di responsabilità, l’individuazione del DS quale destinatario degli obblighi di legge avviene in relazione agli istituti scolastici ed educativi statali, di ogni ordine e grado.
Questa rilevante posizione di garanzia è messa in evidenza anche dalla Corte di Cassazione, nel riprendere i passaggi salienti della sentenza di primo grado, che a sua volta richiamava la normativa vigente in materia: “… Il dirigente scolastico ha numerosi obblighi definiti dall’art. 2 del D.Lgs.n.81 del 2008, e dall’art. 1 del D.M. n. 292 del 1996: egli riveste la qualità di datore di lavoro. […] La rilevanza di tale normativa è stata recepita dalla circolare ministeriale n. 119 del 29 aprile 1999” che a sua volta “si inserisce nella normativa di riferimento costituita dal richiamato D.Lgs.n.81 e da alcuni decreti ministeriali attuativi.”
Per i dirigenti scolastici, parificati ai datori di lavoro, sussiste quindi una responsabilità diretta e non delegabile, in relazione agli specifici adempimenti ed agli obblighi datoriali che la legge prevede a loro carico.
Tra gli adempimenti, come ricorda la Corte, sulla scorta di quanto già evidenziato dal Giudice di Prime Cure, “vi è dunque in primo luogo un obbligo di valutazione dei rischi da esprimere in apposito documento con la collaborazione del responsabile della sicurezza.”
Importanza fondamentale riveste anche l’obbligo di segnalazione dei rischi all’ente locale proprietario o all’ente locale – nel caso di specie, la Provincia di L’Aquila – gestore dell’immobile, gravato a sua volta degli oneri inerenti alla manutenzione ordinaria e straordinaria, nonché di quelli relativi ai necessari interventi di ristrutturazione e di messa in sicurezza dell’edificio. Tenendo conto della reale situazione delle strutture pubbliche, nelle quali i dirigenti non hanno potestà di spesa e di intervento, la normativa vigente limita infatti la responsabilità del dirigente scolastico alla segnalazione dei rischi all’ente locale competente, come rimarcato anche nella sentenza del Tribunale richiamata dalla Suprema Corte: “Gli obblighi in questione si intendono assolti, ai sensi del D.Lgs.n.81, art.18, comma 3, con la richiesta di opportuni interventi nei confronti delle amministrazioni competenti; fermo restando l’obbligo di garantire nelle more dell’intervento richiesto un equivalente livello di sicurezza e, nel caso in cui ciò non sia possibile, di interrompere l’attività.” Su questo, “ulteriore conferma si rinviene nel D.M. 29 settembre 1998, n. 382.”
La pregnante posizione di garanzia che, in tema di sicurezza e incolumità delle persone, si configura in capo al Dirigente dell’istituzione scolastica viene infine ribadita dalla già menzionata circolare ministeriale n. 119 del 29 aprile 1999 che, “proprio per ciò che concerne gli interventi sulle strutture, prevede l’obbligo del capo di istituto di adottare ogni misura idonea e contingente in caso di grave e immediato pregiudizio per l’incolumità dell’utenza”.
- La motivazione della Cassazione, prima parte: analisi dei profili della vicenda afferenti all’imputazione oggettiva dell’evento. a) Rischio sismico e prevedibilità dei terremoti quali “eventi con i quali i professionisti competenti sono chiamati a confrontarsi”.
Dopo aver esposto in modo analitico il contenuto delle (parzialmente divergenti) pronunce dei giudici di merito, la Corte di Cassazione affronta, nella parte motiva, un complesso e articolato iter logico e argomentativo volto a ribadire gli elementi probatori già acquisiti, nella direzione del riconoscimento della piena responsabilità penale sia dell’allora Rettore del Convitto Nazionale di L’Aquila B. sia del dirigente del settore “edilizia scolastica pubblica istruzione” della Provincia di L’Aquila M., in quanto titolari entrambi di una specifica e concorrente posizione di garanzia in relazione alla verificazione dell’evento lesivo. Lo sviluppo dell’argomentazione della Suprema Corte si struttura in due parti: si procede innanzitutto all’analisi dei profili afferenti all’imputazione oggettiva dell’evento (pp. 20-28), per poi affrontare, conclusivamente, le questioni relative all’elemento soggettivo, ossia alla colpa (pp. 29-30).
In relazione al primo punto, nel ripercorrere le argomentazioni già sviluppate nelle due sentenze del Tribunale e della Corte d’Appello, la Cassazione ribadisce innanzitutto il principio della oggettiva prevedibilità ex ante del rischio sismico, nel caso di specie drammaticamente concretizzatosi nelle scosse di terremoto che, in quella tragica notte del 6 aprile 2009, hanno provocato il crollo di parti del Convitto Nazionale, con il conseguente grave e immediato pregiudizio per l’incolumità dell’utenza dell’Istituzione scolastica.
Partendo dal presupposto che “il terremoto non rappresenta un fatto eccezionale nel quadro della sismicità dell’area”, la Corte osserva che “la ponderazione del giudice di merito è basata su plurime e significative acquisizioni probatorie”, che concorrono tutte a far emergere oggettivamente, a posteriori, a seguito dei rilevantissimi crolli, la fragilità della struttura edilizia del Convitto Nazionale, la sua fatiscenza e la sua inadeguatezza a fronteggiare significativi eventi sismici. Tali criticità strutturali erano state, del resto, constatate e denunciate dagli esperti già da tempo. Infatti, a più riprese, tra il 2000 e il 2009, “i consulenti hanno posto in luce la vetustà costruttiva e la scadente qualità del manufatto, come documentato anche dal crollo di numerosi solai, del tetto, di murature portanti. Coerenti in tal senso sono anche le relazioni di C. Engineering, del Responsabile del Servizio di prevenzione e protezione ing. I., dei tecnici dell’Università di l’Aquila: essi hanno relazionato le amministrazioni interessate alla gestione e sicurezza dell’edificio.”
In una zona ad elevato rischio sismico quale quella di L’Aquila, quindi, il terremoto deve essere valutato e gestito come un fenomeno del tutto “fisiologico”, per nulla eccezionale ma del tutto prevedibile, soprattutto in occasione della verificazione di uno “sciame sismico” quale quello che si era verificato nei giorni immediatamente precedenti al crollo del Convitto Nazionale.
In riferimento al rischio sismico e la sua prevedibilità, si riporta il passaggio “chiave” della sentenza, in quanto particolarmente significativo: “Questa Corte ha già avuto modo di chiarire che i terremoti, anche di rilevante intensità, sono eventi rientranti tra le normali vicende del suolo, e non possono essere considerati come accadimenti eccezionali ed imprevedibili quando si verifichino in zone già qualificate ad elevato rischio sismico, o comunque formalmente classificate come sismiche (particolarmente Sez. IV, del 27/01/2010 n. 24732, Rv. 248115). In breve, si tratta di eventi con i quali i professionisti competenti sono chiamati a confrontarsi (Sez.IV, 16/11/1989 n.17492, Rv.182859).” In ogni caso, “qualunque valutazione in tale delicata materia va naturalmente rapportata anche a ciascuna peculiare situazione concreta; e di ciò pure il giudice è chiamato a tener conto, come sempre è del resto richiesto nella delicata valutazione sulla colpa. Si vuol dire che la adeguatezza del comportamento dell’agente chiamato a gestire il rischio sismico andrà in ogni caso rapportata alle caratteristiche dell’edificio, alla sua utilizzazione, alle informazioni scientifiche, specifiche e di contesto, disponibili in ordine a possibilità o probabilità di verificazione di eventi dirompenti. Insomma, riassuntivamente, si tratterà di valutare tutte le contingenze proprie del caso concreto.”
- La motivazione della Cassazione, prima parte: analisi dei profili della vicenda afferenti all’imputazione oggettiva dell’evento. b) la posizione di garanzia rivestita dai due imputati, e, nello specifico, dal Rettore del convitto Nazionale.
Ancora, ad avviso del giudice di legittimità, la peculiare posizione di garanzia rivestita dal Rettore B., oltre a trovare il suo fondamento giuridico negli obblighi gravanti su di lui, ai sensi dell’art. 2 del D. Lgs. 81/2008, in quanto dirigente scolastico assimilato al “datore di lavoro”, deriva anche da altre rilevanti fonti giuridiche.
Innanzi tutto, come era già stato messo in evidenza nelle pronunce dei giudici di merito, “analogo obbligo derivava dalla qualifica di organo di vertice dell’ente proprietario e quindi custode dell’immobile, secondo quanto previsto dalla normativa civilistica.” Nel caso di specie, infatti, la proprietà dell’edificio scolastico non è della Provincia, che assume il ruolo di gestore in virtù di una convenzione sottoscritta col Convitto nazionale nel 2002 e a cui è demandata la manutenzione ordinaria e straordinaria dell’immobile, ma del Convitto stesso, ente giuridico pubblico presieduto da un Rettore. Il peculiare statuto giuridico del Convitto Nazionale, il cui fine consiste nell’educazione e nello sviluppo intellettuale e fisico dei giovani, ai sensi del D. Lgs. 297/1994, comporta che l’ente in questione abbia la diretta titolarità del diritto di proprietà sull’immobile, dove sono allocate non solo le aule per lo svolgimento delle attività didattiche, ma anche gli spazi destinati al vitto e all’alloggio dei convittori e dello stesso Rettore, il quale nell’edificio ha in uso un appartamento di servizio. Da ciò deriva in capo a B., soggetto responsabile dell’ente proprietario dell’edificio, oltre che dirigente dell’istituzione scolastica, un peculiare obbligo di custodia dell’immobile. Proprio in virtù di tale obbligo, egli avrebbe dovuto non solo attivarsi nell’inviare alla Provincia una richiesta di opportuni interventi di messa in sicurezza dell’edificio, ma anche attuare, nelle more di un intervento da parte della Provincia, tutte le misure necessarie a prevenire ed evitare la verificazione di eventi lesivi, compresa l’extrema ratio, a titolo precauzionale, della sospensione delle attività didattiche, dell’evacuazione degli studenti e della chiusura del Convitto.
In ordine ai mancati interventi di consolidamento della struttura da parte della Provincia, inoltre, come già aveva rilevato la sentenza d’Appello, “l’obbligo della Provincia non esclude quello del dirigente scolastico di interessarsi della solidità della struttura e di assumere iniziative di controllo autonome, da segnalare anche all’ente deputato alla manutenzione, e di assumere comunque le decisioni conseguenti per la tutela degli ospiti. Al riguardo viene richiamato il decreto ministeriale 30 settembre 1977 recante norme cautelari volte a garantire la sicurezza statica di tutte le costruzioni scolastiche”.
Ma gli obblighi del dirigente scolastico per garantire e tutelare la sicurezza e l’incolumità degli studenti convittori residenti nell’edificio scolastico non si esauriscono nei profili sinora esaminati. Molteplici sono infatti le fonti giuridiche che individuano e modellano, in riferimento al DS, l’obbligo giuridico di agire per evitare l’evento dannoso. Bisogna infatti considerare che il Convitto, pur con le sue peculiarità, è pur sempre un’istituzione scolastica (nel caso specifico, una scuola Secondaria di secondo grado) e tale qualificazione pone in capo al Rettore, innanzi tutto, l’obbligo di garantire la sicurezza degli studenti ospiti della struttura. Come osserva la Corte, “tale obbligo si aggiunge e sovrappone a quello che deriva dal rapporto contrattuale […]” individuabile nella convenzione di ospitalità, che “obbligava il vertice dell’istituto a garantire che essa fosse prestata in una condizione di sicurezza”. Inoltre, la presenza all’interno dell’istituto scolastico di studenti minorenni, “comporta un ulteriore obbligo di protezione che deriva proprio dalla funzione educativa” rivestita non solo dai docenti, nell’espletamento della loro funzione didattica, ma anche dal DS in quanto titolare di una posizione verticistica all’interno dell’Istituzione stessa. Che poi, in caso di danno, la responsabilità sia di natura contrattuale, “atteso che l’accoglimento della domanda di iscrizione determina l’instaurazione di un vincolo negoziale”, si è già espressa a più riprese la stessa Corte di Cassazione.
Infatti, in generale, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte, “la responsabilità dell’istituto scolastico e dell’insegnante non ha natura extracontrattuale, bensì contrattuale, atteso che, quanto all’istituto scolastico, l’accoglimento della domanda di iscrizione, con la conseguente ammissione dell’allievo alla scuola, determina l’instaurazione di un vincolo negoziale, dal quale sorge a carico dell’istituto l’obbligazione di vigilare sulla sicurezza e l’incolumità dell’allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni”. Inoltre, “tra insegnante e allievo si instaura, per contatto sociale, un rapporto giuridico nell’ambito del quale l’insegnante assume, nel quadro del complessivo obbligo di istruire ed educare, anche uno specifico obbligo di protezione e vigilanza”. Obbligo che incombeva, a fortiori, sul Rettore B. il quale, proprio per la sua qualifica dirigenziale nell’ambito dell’istituzione scolastica, aveva assunto un ruolo che, in relazione ai minori, sostituiva la figura genitoriale.
- La motivazione della Cassazione, seconda parte: questioni afferenti all’elemento soggettivo, ossia alla colpa.
Nella parte finale della motivazione la Cassazione ripercorre sinteticamente la serrata e articolata analisi condotta dal Giudice di merito in riferimento all’elemento soggettivo del reato, sulla base dei dati emersi sul piano probatorio, tutti concorrenti in modo univoco nel delineare una situazione di reale e obiettiva pericolosità e di grave rischio per l’incolumità dei giovani studenti convittori, per altro anche nei giorni precedenti all’evento sempre più terrorizzati dal continuo e inquietante “stillicidio” delle scosse di terremoto.
La Suprema Corte concorda quindi nel rilevare la totale inerzia del B. e la sua incapacità di prendere una decisione risolutiva nel corso di quella tragica notte, essendogli per altro anche in precedenza mancata del tutto una lucida capacità di valutazione della totale inadeguatezza dell’edificio dal punto di vista statico e del concreto rischio di una sua esposizione a crolli anche in occasione di scosse di lieve o media entità. In definitiva, in una situazione nella quale “la chiusura dell’istituto appariva assolutamente improcrastinabile”, del tutto sordo alle richieste degli studenti di lasciare l’edificio, “l’imputato operò una scelta precisa in totale spregio del piano di sicurezza vigente e delle più elementari regole cautelari”.
Appare quindi, in modo incontrovertibile, la condotta colposa e assurdamente negligente dell’imputato, che avrebbe “omesso di adottare sin dall’epoca del primo manifestarsi delle scosse risalente all’anno precedente l’unico provvedimento che la situazione imponeva: la chiusura del Convitto. La sua responsabilità è cresciuta in modo esponenziale man mano, con il ripetersi delle scosse sino al culmine nella tragica notte, dopo le forti scosse delle 22,40 e delle 00,39”.
E proprio in questo sarebbe consistito, ad avviso del Giudice di Prime Cure, il vero tema da esaminare: la condotta dell’imputato in riferimento alla mancata chiusura ed evacuazione del Convitto: “Qui, secondo il Tribunale, è il cuore del processo. La reale causa, insieme al terremoto, degli eventi lesivi”.
Del resto, anche “sul piano controfattuale, non vi è dubbio che la condotta omessa avrebbe senz’altro evitato l’evento”. Conclude la Suprema Corte: “Per costui il piano di sicurezza prevedeva espressamente il potere-dovere di evacuazione in caso di necessità. D’altra parte, in quella notte fatale si era in presenza di indicazioni drammatiche ed incalzanti che imponevano di corrispondere con immediatezza alle pressanti richieste dei giovani allievi e particolarmente di quelli minori. L’’imputato manifestò, argomenta ragionevolmente la Corte d’Appello, una conclamata insensibilità, una grave negligenza ed imprudenza, imponendo ai ragazzi di sopportare un rischio intollerabilmente elevato che si concretizzò nel breve volgere di poche ore. Di qui il ben fondato addebito colposo”.
Laureata in Lettere Classiche e in Giurisprudenza, docente di ruolo dal 1992, ho insegnato inizialmente Italiano e Latino e poi Latino e Greco al Liceo Classico. Attualmente insegno Italiano e Storia presso l’ITT “G. Fauser” di Novara, città in cui risiedo. Ho conseguito due Dottorati di ricerca, il primo in Diritto Romano e Diritti Antichi, presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università “Mediterranea” di Reggio Calabria, il secondo in Storia Antica presso l’Università di Torino. Ho esercitato la professione di avvocato fino al 2015. Nella scuola ho rivestito diversi incarichi di collaborazione, come Funzione Strumentale per le attività culturali e come membro del GLI e del gruppo di lavoro sull’Alternanza Scuola Lavoro.