ASL: molto di più di una semplice alternanza

Storia di un viaggio che porta lontano…

13 aprile 2018 – Venlo – Provincia di Limburg – Olanda: i laboratori di cucina  della gildepleidingen hotelschool sono  affollati, gli studenti olandesi da oggi lavorano con un gruppo di studenti italiani; nessun imbarazzo, si conoscono già e la sincronia della cucina appare perfetta a chi la osservi. L’inglese viene talvolta interrotto dall’olandese e dall’italiano, ma non importa: la cucina unisce e la voglia di lavorare insieme passa sopra ogni barriera linguistica.

Nella scuola c’è un bar e un ristorante aperto al pubblico: persone di ogni età vengono lì perché in Olanda la scuola è davvero una porta sul mondo, senza barriere. Stamani c’è qualcosa di nuovo nell’aria, un’atmosfera vibrante  e stimolante. I clienti guardano incuriositi i nuovi ragazzi che in sala si muovono con disinvoltura e professionalità, non parlano olandese ma in Olanda tutti sanno l’inglese.

Nella hall della grande scuola c’è un tavolo: una redazione itinerante di ragazzi del liceo linguistico e classico intervistano il pubblico che passa da lì, studenti, docenti, personale esterno che va e viene, vogliono sapere tutto di quella scuola. Ne uscirà un articolo… forse o un video o… work in progress.

La gente si ferma, risponde, i docenti in disparte osservano: i ragazzi si muovono bene, sanno coinvolgere, hanno softskills, competenze relazionali e comunicative, sono una fucina di idee. Ma soprattutto si divertono!

Così si fa l’Europa!

Le cose non nascono mai per caso: due anni fa l’istituto superiore di istruzione di Barga (LU),  che comprende una scuola alberghiera, un istituto tecnico-chimico,  un Liceo linguistico, classico e delle scienze umane, ha iniziato una collaborazione con la scuola  Gildeopleidingen di Venlo (Olanda) per realizzare un importante evento nell’ambito di Euhofa, associazione mondiale che si occupa di formazione nel settore  della ristorazione e ospitalità alberghiera: l’obiettivo a medio termine era la realizzazione di una cena di gala con ospiti internazionali.

L’incontro ha dato l’opportunità di  creare una rete di condivisione che, a partire dall’obiettivo specifico di cui sopra, si è trasformata in un laboratorio a cielo aperto per lo scambio di buone pratiche soprattutto nell’ambito dell’alternanza  intesa come parte integrante del percorso formativo di ciascun studente.

Tutto ciò  ha permesso  un’implementazione e un miglioramento dei percorsi di alternanza nei tre settori di istruzione presenti nell’Isi .

Prima di questo gli  indirizzi procedevano a velocità diverse: il professionale con modalità già definite, numerosi contatti con il territorio e esperienza maturata sul campo,  il tecnico-chimico in sinergia con le grandi aziende del settore mentre il liceo si affacciava timidamente a esperienze di asl con modalità per lo più esecutive  o di osservazione, vissute non sempre con lo spirito giusto sia da docenti, studenti e famiglie.

In questo contesto è arrivata la L.107 che ha reso obbligatorie le ore di asl nel  triennio delle superiori.

Era necessario cambiare il tipo di approccio all’asl per tutti gli attori coinvolti: studenti, docenti, famiglie, aziende  e cominciare a percepirla come momento fondamentale di crescita personale e professionale per ogni studente con finalità anche vocazionali per una  costruzione consapevole del progetto di vita.

Difficile un cambio drastico di mentalit, difficile imporre senza condividere nel profondo le motivazioni che hanno portato a ciò: il professionale e il tecnico già ben avviati, hanno preso spunto dall’esperienza olandese per migliorare le proprie e hanno contemporaneamente accompagnato i licei in questa direzione.

La stretta collaborazione con la scuola olandese, la condivisione di pratiche per loro già consolidate ci ha permesso  di vedere chiaramente qual era lo scopo da raggiungere

Quella era la metà: esperienze in grado di formare il ragazzo a 360°.

Quella era la via! Non mera imposizione di legge e fredda esecuzione di compiti assegnati ma reale percezione del valore dell’azione attraverso un viaggio esperenziale

Quello era il metodo! Prendere spunti da esperienze innovative  già consolidate adattandole al nostro contesto con la forte convinzione  del valore intrinseco di ciò che si stava per realizzare.

Una scommessa a tutti gli effetti e un rischio da correre nell’ottica del cambiamento.

Come realizzarlo nel concreto, come diffondere a tutti gli attori questa consapevolezza?

Con il metodo della disseminazione a gradi: dal ristretto gruppo di docenti che per primi si sono trovati coinvolti nel progetto iniziale, al collegio intero,  al coinvolgimento diretto degli alunni ecc.

Un percorso irto di difficoltà anche organizzative, gestionali, logistiche, culturali  che non ha impedito di trovare soluzioni ad hoc, coinvolgere le famiglie e sensibilizzare il territorio.

Fondamentale, in questa fase, da una parte il supporto di Anpal che ha affiancato la scuola nella pianificazione strategica delle attività e dall’altra la condivisione delle buone pratiche realizzate nel sistema olandese.

Due punti di riferimento che hanno dato valore aggiunto ai percorsi, anche  a quelli liceali, più lontani “culturalmente” e legati al valore teorico delle discipline.

Non sono state solo realizzazioni di esperienze settoriali (una/due settimane di lavoro in Italia e in Olanda in contesti ormai diventati familiari), non si è trattato di mera esecuzione di ore di asl necessarie per essere ammessi all’esame di stato e nemmeno di semplici abbattimenti di coscienze nazionali.

E’ diventato  molto di più: la percezione di  questa esperienza come un accrescimento sul campo, come una possibilità di testare le proprie competenze specifiche e implementare quelle relazionali, sviluppare un atteggiamento proattivo, adattarsi ad altri contesti, creare e far crescere relazioni, aprirsi al mondo, mettersi alla prova, diventare protagonisti della propria formazione, percepire che scuola e mondo del lavoro non sono divisi ma  si intersecano e si fondono reciprocamente.

Questo hanno sperimentato i ragazzi che hanno preso parte agli scambi (tre periodi  ad oggi).

In questo modo la percezione della ratio dell’alternanza tra i vari attori è cresciuta passo dopo passo e non è stata vissuta come imposizione ma come reale opportunità di crescita in cui è doveroso spendere energie.

Queste esperienze hanno aperto altre strade  anche nelle pianificazioni di percorsi da realizzarsi nel nostro territorio: cambiando l’approccio di base tutto viene visto con altra ottica e la sinergia degli attori coinvolti garantisce il valore aggiunto all’esperienza.

I licei , in particolare, hanno messo a disposizione le loro peculiari competenze, prendendo suggerimenti dai colleghi del professionale e tecnico per quanto riguarda le modalità di realizzazione, hanno messo in campo creatività e capacità proattiva, hanno sviluppato soft skills e messo in essere attività innovative che opportunamente pubblicizzate, hanno dato ulteriori spunti per attività future.

Una propagazione  di idee e progetti che arricchisce il database dei percorsi attivati o da attivare.

Un viaggio ancora in corso con  continui aggiustamenti, rimodulazioni ma con una chiara direzione .

Siamo in Olanda in questo momento: i ragazzi del Liceo e del professionale stanno mettendo in campo tutte le loro competenze  e sono inseriti in contesti di lavoro; i docenti stanno pianificando il proseguo di questa collaborazione che ha portato molto più lontano del previsto.

Dal prossimo anno sarà coinvolto anche il Liceo delle Scienze Umane: durante  una visita ad una scuola primaria si sono creati i presupposti per una collaborazione da svolgersi nella primavera del 2019.

Perché da cosa nasce cosa e le cose non nascono mai per caso.

Il sistema olandese, aperto al contesto economico del territorio e attento alla personalizzazione del curriculum di ogni studente  offre interessanti spunti per il miglioramento della nostra offerta formativa: non tutto può essere attuato naturalmente ma dal confronto nascono idee per il miglioramento continuo.

Da noi  è diverso, ma adattare e migliorare è possibile, crederci è la condizione di partenza: non chiudersi di fronte alle novità ma cercare di capire in che modo possano diventare risorsa per la formazione.

L’Europa va in questa direzione. E’ necessario seguirne la scia.

Solo così i nostri ragazzi non perderanno il passo!

 

 

Let’s start CLIL

Il termine CLIL è stato introdotto da David Marsh e Anne Maljers nel 1994 ed è acronimo di Content Language Integrated Learning, ovvero una metodologia che integra l’apprendimento di una lingua straniera con una disciplina curricolare. La scelta del primo termine dell’acronimo da parte di Marsh non è stata casuale; nella metodologia CLIL, infatti, l’attenzione è focalizzata sul Content (C), con tale termine si indicano i contenuti-conoscenze di una disciplina non linguistica (DNL) che vengono “veicolati” in lingua straniera.

La distanza tra l’apprendimento tradizionale delle lingue straniere (soprattutto in Italia) e l’apprendimento delle lingue in un contesto CLIL è siderale.

“L’apprendimento delle lingue straniere si è spesso tradotto in una conoscenza formale con una forte carenza dell’aspetto comunicativo” (Mario Cardona).

Gli studenti italiani risultano avere scarse speaking skills e, come fa notare Marcella Menegale, hanno scarse possibilità di migliorarle durante una lezione tradizionale in cui il docente occupa la scena per il 90% del tempo. Una lezione CLIL, invece, crea un ambiente d’apprendimento diverso, ovvero, una lezione non focalizzata sul docente, ma sul discente.

Nel CLIL Learning environment gli studenti manipolano informazioni (ovviamente in L2), risolvono problemi, condividono idee e conoscenze, discutono soluzioni ed esaminano ipotesi: doing things through language. In tal modo, le communication skills vengono acquisite in modo più naturale e disinvolto (learning by doing).

Il Consiglio europeo di Lisbona 2000 e il Consiglio di Barcellona 2002 hanno individuato nella didattica CLIL uno strumento efficace per la diffusione del multilinguismo. Gli Stati membri si sono assunti, all’inizio del 3° millennio, l’impegno non più rinviabile di migliorare le opportunità di vita dei cittadini, aumentando la mobilità grazie a un migliore dialogo interculturale. Oggi la metodologia CLIL fa parte dell’offerta formativa a livello primario e secondario nella maggior parte dei paesi dell’Unione Europea.

L’introduzione del CLIL nella scuola italiana trova attuazione nelle Indicazioni Nazionali 2012 della scuola del 1° ciclo e nei D.P.R. 88 e 89/2010 (Regolamenti dell’assetto ordinamentale degli istituti tecnici e dei licei).

Nella scuola del 1° ciclo le Indicazioni nazionali 2012 sfiorano appena il CLIL, si legge infatti: “Si potranno inoltre creare situazioni in cui la lingua straniera sia utilizzata, in luogo della lingua di scolarizzazione, per promuovere e veicolare apprendimenti collegati ad ambiti disciplinari diversi”.

Nelle Indicazioni nazionali 2018 il CLIL diventa un auspicio e vi è scritto: “Viene quindi auspicata l’introduzione graduale della metodologia CLIL in tutti i gradi e ordini di scuola”.

L’esiguità di dettagli nelle Indicazioni nazionali lascia molto spazio alla libera iniziativa dei docenti italiani nell’implementazione dei moduli CLIL. Anche C. M. Coonan mette in risalto l’esistenza di “no ministerial (national or local)  indications that define standards and set up benchmarks for the CLIL programmes” e, esaminando la questione italiana, per non dire “all’italiana”, continua sostenendo: “Clil programmes are not submitted to a local board of experts for approval, thus the school that propose them are self referential. On account of this, any teacher can decide to set up CLIL”.

Il problema dell’aleatorietà dei programmi CLIL non cambia nella scuola del 2° ciclo. Anzi, nella scuola secondaria di 2° grado vi è anche una querelle tra docenti e dirigenti e tra docenti di DNL con specializzazione CLIL e docenti di lingua straniera.

Per dileguare qualche dubbio, si segua letteralmente il D.P.R. 88/2010, art 8, comma 2, lett.B, dove si parla di “Insegnamento in lingua inglese di una disciplina non linguistica compresa nell’area di indirizzo del quinto anno”; quindi, il CLIL negli istituti tecnici va adottato dai docenti che insegnano una disciplina dell’area di indirizzo. Negli istituti tecnici la metodologia CLIL viene adottata solo al 5° anno e solo in inglese. Il D.P.R. 89/2010, art. 10, comma 5 e 6 recita: “Nel 5° anno è impartito l’insegnamento in lingua straniera di una disciplina non linguistica compresa nell’area delle attività e degli insegnamenti obbligatori per tutti gli studenti o nell’area degli insegnamenti attivabili dalle istituzioni scolastiche nei limiti…”.

Si desume che nei licei le discipline che possono adottare la metodologia CLIL sono tutte le DNL (dalla storia dell’arte alle scienze motorie) e in qualsiasi lingua straniera. In tutti i percorsi liceali è prevista la metodologia CLIL al 5° anno, fa eccezione il liceo linguistico.

Nell’allegato D delle Indicazioni Nazionali dei Licei 2010 si dice testualmente: “Dal primo anno del secondo biennio è previsto l’insegnamento in lingua straniera di una disciplina non linguistica (CLIL), compresa nell’area delle attività e degli insegnamenti obbligatori per tutti gli studenti o nell’area degli insegnamenti attivabili dalle istituzioni scolastiche… Dal secondo anno del secondo biennio è previsto inoltre l’insegnamento, in una diversa lingua straniera, di una disciplina non linguistica”.

Anche la Legge 107/2015, comma 7, pone come obiettivo formativo prioritario “la valorizzazione e il potenziamento delle competenze linguistiche, con particolare riferimento all’italiano nonché alla lingua inglese e ad altre lingue dell’Unione europea, anche mediante l’utilizzo della metodologia Content language integrated learning”.

Urge sottolineare, tuttavia, che l’obbligatorietà dei Regolamenti e delle Indicazioni Nazionali è rimasta inattuata. Dalle ultime rilevazioni solo un quarto dei licei e degli istituti tecnici hanno ottemperato alla norma. Le motivazioni di tale inadempienza non sono un arcano tra docenti e politici italiani, ma si rinvia ad altri momenti e luoghi la spiegazione delle stesse. Si coglie solo l’occasione per sottolineare che se si vogliono fornire alle future generazioni le chiavi per un’interpretazione autentica della complessità della società contemporanea si deve essere in sintonia con quanto sostiene Siv. Bjorklund: “Access to knowledge was once for building our modern society; now access to knowledge through languages is important for giving people equal opportunities of being an active part of the pervasive internationalisation of all domains of life”.

Scuola 4 All: Auguri!

E’ con immenso piacere che annuncio la nascita di una rivista, di cui mi assumo la responsabilità della direzione, dedicata alla scuola, nata dalla  “Comunità di pratiche-Discentes ” che da settembre dialoga appassionatamente sulle tematiche della funzione sociale della scuola dell’autonomia, sul ruolo del Dirigente scolastico, sulla nuova funzione del docente inteso come “regista”, “coach”, “mentore”, capace di orientare e guidare le giovani generazioni verso il loro personale progetto di vita e non più solo con la trasmissione dei saperi disciplinari di cui  gli studenti dispongono nei numerosi database, quali wikypedia, facili da usare e a portata di clic.

Una comunità di pratica di circa 200 professionisti  che ho avuto modo di conoscere e apprezzare nei miei corsi di formazione online ed in presenza in tutta Italia e che ha spinto qualche docente più creativa e intraprendente a porsi e a lanciarsi in una nuova sfida, perché l’educazione è soprattutto una “sfida al futuro”. E sono molto grato sia alla Dott.ssa Cristina Petraroli, che per prima ha lanciato l’idea della creazione di una rivista scritta dai docenti, sia al Presidente di Artedo Dott. Stefano Centonze che ha subito accolto l’idea di mettere a disposizione il portale “Italia4All Scuola”, dedicato interamente alla didattica e alle problematiche scolastiche, per la realizzazione, divulgazione e implementazione di questa magnifica esperienza che sicuramente darà la possibilità ai docenti, ai dirigenti scolastici, agli operatori della scuola di avere una palestra di discussione,  condivisione e dibattito.

Abbiamo voluto intitolare la nostra rivista, che sarà mensile, “SCUOLA 4 ALL” per dare subito l’idea di uno strumento per tutti, con tutti e soprattutto di tutti. Vogliamo che la rivista sia uno stimolo per lo sviluppo professionale di tanti operatori  della scuola, per dare voce alla progettualità delle istituzioni scolastiche, per valorizzare le competenze diffuse e per venire incontro ai tanti docenti che non trovano la spinta, il coraggio, la motivazione a scrivere e l’occasione per  raccontarsi.

Non sarà una rivista di esperti, dalle biografie che potete leggere nel portale lo si evince, ma di appassionati del proprio lavoro, di professionisti convinti assertori dell’importante ruolo della scuola, di responsabili del contributo valoriale che necessita alle nuove generazioni, in un’epoca e in una società che stanno rinunciando ai valori e alle idealità, immiserendosi in individualismi  ed egoismi.

Un grazie ai redattori tutti e ai collaboratori, tanti, che hanno accolto subito l’invito a  rendersi protagonisti di un’esperienza formativa, certi che la socializzazione di riflessioni e di esperienze professionali e didattiche possano aiutare a crescere e a riconoscersi nella scuola dell’autonomia.

Il contributo di questa rivista sarà rivolto per sollecitare istituzioni scolastiche capaci di progettualità partecipata adeguata ad affrontare le tante sfide di una scuola innovativa che si rinnova in funzione di una società in continua evoluzione che ci offrirà scenari sempre più imprevedibili che avranno bisogno di nuove start up, di tanta creatività, di tanta sensibilità e di tanta e nuova qualità. Solo la scuola e i suoi docenti possono avere nella loro “mission” il gusto di rispondere a sfide così complesse, ma fascinose che potranno essere vinte con la collaborazione e partecipazione di tutti .

E  credo che sia proprio adatto e necessario augurarci tutti: AD  MAIORA !!!

Scuola 4 All

    La nostra è un’identità terrestre e viviamo in una  “comunità di destino” ( Morin) dove l’effetto “Liebelei”, il battito d’ali di una farfalla in California può provocare un tsunami nel Giappone, ci fa  essere vicini in quel villaggio globale (Mc Luhan) in cui ormai viviamo. Naturalmente la scuola non è isolata da questo mondo complesso e deve fare i conti sia col “locale” immediato, gli stakeholder, sia con un insegnamento/apprendimento di largo respiro che Robertson chiama “glocalizzazione”. (Vito Piazza)

Il Dirigente scolastico deve pensare in grande e operare in piccolo. In questo primo e fondante numero, la Rivista “SCUOLA 4 ALL” vuole accompagnare il lettore ad avere una visione d’insieme dei numerosi e variegati compiti, funzioni e competenze del DS. Si parte da un profilo storico, giuridico, contrattuale del “direttore didattico, preside, dirigente scolastico” dalla sua istituzione (novembre 1903) alla Legge 107/2015( la cd. riforma della “Buona scuola”). Un sommario breve, ma completo, “a puntate” così come definito da Pietro Salvatore Reina nel suo articolo “Il ds: un timoniere sotto gli occhiali della storia”.

Dall’analisi emerge il seguente profilo : il dirigente scolastico assicura la gestione unitaria dell’istituzione scolastica, ne ha la  legale rappresentanza, ed è responsabile della gestione delle risorse finanziarie e strumentali e dei risultati di servizio. Nel rispetto degli organi collegiali a lui spettano autonomi poteri di direzione, coordinamento e valorizzazione delle risorse umane per organizzare l’attività scolastica secondo criteri di efficienza ed efficacia formativa. Esercitando queste competenze il dirigente scolastico promuove gli interventi per assicurare la qualità dei processi formativi e per attivare la collaborazione delle risorse culturali, professionali, sociali ed economiche del territorio. Egli è garante dei diritti costituzionalmente tutelati che riguardano il diritto all’apprendimento degli alunni, la libertà d’insegnamento dei  docenti, la libertà di scelta educativa delle famiglie. Al DS spetta ancora l’adozione dei provvedimenti di concreta gestione del personale visto che è anche titolare delle relazioni sindacali. Per svolgere al meglio le sue funzioni può anche avvalersi di docenti da lui individuati a cui delegare specifici compiti ed è infine coadiuvato dal DSGA.  Le competenze e i compiti, sopra descritti, sono stati potenziati dalla Legge n. 107/2015 che, al c. 1, rievoca, dandone piena attuazione, l’Autonomia delle Istituzioni scolastiche. Il comma 78 della suddetta legge, continua la collaudata tradizione giurisdizionale novellandosi nelle norme sopra citate. Le novità più rilevanti sono introdotte, invece, dai commi 14, 79, 80 e 127 . Prima di entrare nel merito di queste importanti novità non poteva mancare una riflessione approfondita sull’influenza  che ha avuto l’Europa sulla politica di istruzione italiana e la conseguente normativa.

L’articolo “Una finestra sull’Europa” di Rosalia Rossi ha lo scopo di approfondire questo legame. Con il comma 14 il Dirigente definisce, per l’elaborazione del PTOF, gli indirizzi (prima determinati dal Consiglio d’Istituto) per l’organizzazione dell’attività didattica curricolare ed extracurricolare, per il potenziamento dell’offerta formativa, per le attività progettuali anche d’intesa con gli enti e le associazioni del territorio, per la formazione di tutto il personale docente e non. Tale attribuzione  è di notevole importanza poichè permette al DS di delineare in maniera significativa l’identità dell’Istituzione scolastica cui  è preposto.

Questa importante novità viene analizzata in modo puntuale e completo nell’articolo “L’atto di indirizzo del “nuovo” Dirigente Scolastico ” di Daniela Conte e nell’articolo di Nando Mascolo ”Il PNSD in una frase: àncora di salvezza in una scuola che cambia…”. Continuando nella stessa direzione,  con uno sguardo più critico, Mario Atria nell’ articolo “La chiamata diretta: da adempimento burocratico a risorsa per l’autonomia” tratta in particolar modo  i commi 79 e 80 che prevedono che dall’anno scolastico 2016/17, siano i Dirigenti a coprire i posti dell’organico dell’autonomia, prioritariamente posti comuni e di sostegno, proponendo incarichi triennali (quella che è stata diffusamente definita “chiamata diretta”) ai docenti di ruolo assegnati all’ambito territoriale di riferimento. La proposta di incarico ai docenti viene formulata in coerenza con il Piano triennale dell’offerta formativa e sulla base del curriculum, delle esperienze e delle competenze professionali e anche di un colloquio. In questo modo i Dirigenti potranno individuare gli insegnanti più confacenti, in base alle loro competenze ed esperienze professionali, all’Offerta Formativa della Scuola. Quanto previsto dai prima citati commi può risultare determinante per migliorare la qualità e l’efficacia dell’Offerta Formativa, in quanto il D.S. ha concretamente la possibilità di mettere in relazione i bisogni formativi degli alunni con le competenze dei docenti, al fine di effettuare la scelta migliore.

A tal proposito l’articolo “Il leader educativo in funzione del successo formativo” di Rosaria Perillo entra nel merito della funzione del dirigente come “leader dell’apprendimento” promosso nel comma 29 .  Il comma 127 , attribuisce, infine, al Dirigente scolastico il compito di valorizzare il merito dei docenti di ruolo tramite l’assegnazione di una somma di denaro, retribuita dall’apposito fondo previsto dal comma 126. I criteri per individuare gli insegnanti più meritevoli vengono stabiliti dal novellato Comitato di valutazione (comma 129). Il comma 127, come quelli 79 e 80, va nella direzione di una scuola a guida manageriale, in cui è il dirigente a premiare i propri dipendenti.

Questo ruolo di guida è descritto in modo particolareggiato nell’articolo “Valorizzare le risorse: motore del successo” di Alfredo Lanzone. In questa “Vision” tutti gli aspetti sono correlati tra loro e il Dirigente scolastico e’ alla guida di una scuola che deve essere vista come un sistema, seppur a legami deboli (loose coupling) dove la gestione, la conduzione, la progettualità, le attività finanziarie e quant’altro sono legate in un tutt’uno in cui la somma è più dell’insieme delle parti.

 

Che cos’è, come funziona e a che serve l’empatia?

Detta con parole semplici, l’empatia è la capacità di mettersi nei panni degli altri. E’ il termine con cui le neuroscienze indicano lo stato mentale che interessa l’abilità di un individuo di immedesimarsi in un’altra persona in modo diretto ed esperienziale, fino a coglierne gli stati d’animo, le emozioni e i pensieri. Spesso e impropriamente confusa con la simpatia, l’empatia è un’attitudine innata ma che, in realtà, varia per intensità da soggetto a soggetto. In assenza di patologie, essa dipende dall’indole, dalla sensibilità, dalla storia personale, dalla cultura, dalla formazione e, secondo scoperte relativamente recenti, anche dal sesso (le donne avrebbero una spiccata dote in tal senso, molto più sviluppata che negli uomini).

Leggi tutto “Che cos’è, come funziona e a che serve l’empatia?”

Il dirigente scolastico: un timoniere sotto gli occhiali della storia

Quest’articolo-saggio vuol essere un sommario (ovvero un riassunto ed una sistemazione diacronica) del profilo storico, giuridico, contrattuale del direttore didattico -preside- dirigente scolastico dalla sua istituzione (novembre 1903) alla L. 107/2015 (la cd. riforma della «Buona Scuola»).

Un sommario, breve ma completo, «a puntate», teso a raccontare, illustrare e fissare la «parabola» della figura sopra descritta nel suo arco storico cronologico.

Sul senso etimologico di questi sostantivi

Le ricerche e gli studi sull’orientamento biologico della linguistica chomskiana analizzzati, nel nostro Paese, con acume da Tullio De Mauro, Andrea Moro et alii de-scrivono il «linguaggio umano come un universo …. Le parole non hanno contenuto in sé, ma se incontrano qualcuno che le ascolta diventano qualcosa […] Analizzare il linguaggio è come analizzare la luce, ci si trova nella stessa direzione». Il dirigente scolastico, nel realismo ontologico del pensiero e della parola, non può non soffermarsi su questo stesso lemma che trova come un tesoro, un dono. Leggi tutto “Il dirigente scolastico: un timoniere sotto gli occhiali della storia”

Una finestra sull’Europa: la L.107/2015

L’Europa ha il compito di incoraggiare il miglioramento dei sistemi nazionali di istruzione e formazione mediante strumenti complementari a livello europeo. La cooperazione politica in tale settore, ha contribuito a definire le riforme nazionali dei sistemi di istruzione e formazione permanenti, la modernizzazione dell’ insegnamento superiore e la qualificazione di strumenti europei capaci di favorire la qualità, la trasparenza delle qualificazioni e la mobilità nel settore dell’ istruzione e della formazione. Interpretare l’educazione – istruzione in una dimensione europea, significa ritenere una serie di caratteristiche e capisaldi comuni a tutti i sistemi scolastici europei, pur rispettando le loro specificità e differenze, per sostenere il raggiungimento da parte del cittadino europeo, delle competenze chiave per l’ esercizio della cittadinanza attiva.

Nel marzo 2010, il Consiglio Europeo ha approvato una nuova strategia, denominata “Europa 2020”, che definisce gli obiettivi da raggiungere nel decennio successivo e individua tre  priorità generali che sono: una crescita intelligente, che prevede lo sviluppo di un’ economia basata sulla conoscenza e l’ innovazione; una crescita sostenibile, dove l’ obiettivo è promuovere un’ economia efficiente e competitiva delle risorse; una crescita inclusiva, che mira ad innalzare il tasso di occupazione favorendo la coesione territoriale e sociale. Vengono, inoltre, individuati dei criteri di riferimento europeo o benchmark di eccellenza, per monitorare i progressi e sostenere il raggiungimento degli obiettivi delineati. I benchmark evidenziati nel documento “Europa 2020”  sostengono la partecipazione degli adulti ad un apprendimento permanente (lifelong learning); il miglioramento dei risultati nelle competenze di base (lettura, matematica e scienze) fornendo raccomandazioni al fine di  migliorare il tasso di alfabetizzazione in tutta l’ Unione; l’ innalzamento della percentuale delle persone in possesso di un diploma superiore; la riduzione dell’ abbandono scolastico dei giovani , rafforzando la prevenzione e stabilendo una più stretta  cooperazione tra i settori generali e professionali e l’ accesso equo generalizzato dei bambini all’ istruzione preprimaria.

Oltre ai benchmark, l’Unione Europea ha stabilito anche cinque obiettivi quantitativi che gli stati membri saranno invitati a tradurre in obiettivi nazionali, definiti in funzione delle rispettive situazioni di partenza, da conseguire entro il 2020. Tali obiettivi si riferiscono al miglioramento del tasso di occupazione, alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, ponendo l’attenzione al miglioramento dell’efficienza energetica attraverso fonti rinnovabili, alle politiche di investimento in ricerca e sviluppo, definendo nuovi indicatori in materia di innovazioni, grazie alla messa a punto di metodi d’ istruzione e di apprendimento specifici, alla riduzione del tasso di povertà ed emarginazione della popolazione. Alla luce di queste considerazioni è stata emanata, da pochi anni, la L. 107/2015 dal titolo “Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti”. Relativamente all’ apprendimento permanente, la legge definisce obbligatoria, permanente e strutturale la formazione in servizio dei docenti che devono rispondere adeguatamente alle mutevoli esigenze e richieste della società. Anche il D.L.gl. 57/2017 definisce il sistema di formazione e di accesso nei ruoli dei docenti della scuola secondaria, con l’obiettivo di una maggiore acquisizione di competenze e conoscenze.

Per un miglioramento dell’offerta formativa e il raggiungimento degli obiettivi stabiliti nel documento “Europa 2020”, la L. 107 presenta una scuola aperta al territorio, intesa come un laboratorio permanente di ricerca, attraverso anche l’adozione di un Piano Nazionale per la Scuola Digitale(PNSD), al fine di sviluppare e migliorare le competenze digitali degli studenti e guidare la scuola in un percorso di innovazione e digitalizzazione. Attraverso il PNSD si diffondono le nuove tecnologie, si diffonde l’idea di apprendimento permanente e si estende il concetto di scuola da un luogo fisico alla ricerca di spazi virtuali, favorendo una didattica meno trasmissiva e più operativa. A sostegno del successo formativo, per gli alunni che hanno raggiunto livelli parziali di apprendimento, il D.Lgs 62/2017 suggerisce  alle scuole l’ attivazione di strategie che garantiscano il miglioramento dei livelli di apprendimento finali.

Altro obiettivo della L. 107 è quello di garantire il diritto allo studio, attraverso la pubblicazione del D. Lgs 63/2017 che prevede l’attivazione di numerosi interventi a sostegno delle fasce economiche più deboli, attraverso il servizio di trasporto, di mensa, di fornitura gratuita dei libri di testo e strumenti didattici e l’erogazione della Carta dello studente. Per rendere il servizio scolastico di qualità e soprattutto inclusivo, con la L. 107 sono state individuate delle strategie che si esprimono nel Piano triennale dell’offerta formativa, nel Rapporto di autovalutazione, nel Piano di Miglioramento e nel Piano annuale di inclusione. Rispetto alla maggioranza dei paesi dell’Europa Unita, l’Italia continua ad essere in ritardo in termini di formazione e di competenze di base. La nuova L. 107 sarà valutata in base ai risultati concreti che consentirà di raggiungere nei prossimi anni, in termini di conseguimento entro il 2020 degli obiettivi comuni stabiliti a livello europeo, da parte del sistema di istruzione e formazione italiano.

L’atto di indirizzo del “nuovo” Dirigente Scolastico

La Legge 107/2015 al comma 14 assegna al Dirigente scolastico la responsabilità di definire  al Collegio dei docenti gli indirizzi generali per la stesura o la revisione del PTOF, documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e progettuale della scuola, contenente la progettazione curriculare, extracurriculare, educativa e organizzativa. Oggi il dirigente scolastico è l’unico dirigente della pubblica amministrazione a scegliere le attività da progettare e ad adottare le modalità di gestione ed amministrazione nei processi lavorativi.

Nella scuola dell’autonomia, posizionata tra servizio efficace e progetto culturale e di vita, il DS non può limitarsi alla sola gestione della vita interna dell’istituzione scolastica, ma deve avvalersi del contributo di tutti gli stakeholders del contesto territoriale onde rendere concreto e tangibile il successo formativo di ciascun allievo, risultato della singola vocazione personale, mixata ad un progetto professionale immediatamente spendibile nel mercato del lavoro locale e rinnovabile per l’intero arco della vita, secondo il Programma Lifelong Learning. Il DS indirizza le linee generali del PTOF, garantisce agli studenti la possibilità di scegliere un curriculum opzionale e provvede alla cura dei talenti (cc. 28 e 29). I docenti e gli allievi collaborano nella comunità scolastica verso l’unico grande obiettivo, la mission, ovvero il successo autorealizzativo per tutti e il conseguente innalzamento del livello culturale per i cittadini dell’intero paese.

Durante i primissimi mesi del nuovo anno scolastico (settembre-ottobre), il DS si consulta con gli attori portatori di interesse e, nel caso in cui diriga una scuola secondaria di secondo grado, si avvale anche del contributo dei membri del CTS (Comitato Tecnico Scientifico) e del CS (Comitato Scientifico), istituiti attraverso i DPR 87,88,89 del 2010 e composti da enti locali, associazioni professionali e stakedolders col precipuo fine di costruire una rete di sistema pubblico integrato basato sulla sussidiarietà, che riconosca in linea verticale il ruolo nella formazione dei soggetti politici rilevanti anche locali (Decreto Lgs. 112/1998), ma si traduca quotidianamente in autonomia organizzativa delle attività didattiche. Il Dirigente, tenendo in giusto conto la centralità della persona, analizzati i dati del RAV, rispettando gli obiettivi prefissati nel PDM (DPR. 80/2013),  sceglie per la propria istituzione scolastica parte dei traguardi indicati dall’Atto di indirizzo del MIUR ed in linea con le relative indicazioni del Direttore Scolastico Regionale di riferimento.

Il nuovo sistema-scuola integrato e aperto, costruito per garantire a tutti gli allievi il successo formativo, mira a conseguire una serie di obiettivi quali il raggiungimento del massimo titolo di studio, il diploma quinquennale, il conseguimento di elevati livelli di competenza certificati, il calo degli abbandoni scolastici e del fenomeno della dispersione, la realizzazione di pari opportunità tra studentesse e studenti, la riduzione delle diseguaglianze socio-culturali, l’ampia diffusione della didattica digitale, l’inclusione degli alunni diversamente abili e con bisogni educativi speciali.  Insomma, la vera mission della scuola italiana dell’autonomia è garantire al paese e all’Europa intera, crescita intelligente, sostenibile, inclusiva (Europa Education and Training 2020).

Il DS orienta l’organico della scuola, al fabbisogno di posti comuni, di sostegno e di potenziamento dei docenti ed al relativo Piano di formazione (c. 57) utilizzando per loro le opportunità offerte dalle reti di ambito e di scopo (cc. 70-72 e 74) e potenziando l’utilizzo di attrezzature e infrastrutture adeguate come previsto dal PNSD (c. 57), garantendo agli insegnanti formazione continua e permanente.

Questo modello di scuola pluralista viene completato, nella secondaria di secondo grado, dalla Alternanza scuola-lavoro quale metodologia tesa al miglioramento dell’occupabilità degli allievi diplomati, alla certificazione delle competenze formali, non formali e informali (Decreto Lgs. 13/2013), alla inclusione nel lavoro degli allievi svantaggiati nel rispetto della tutela del lavoratore (Decreto Lgs. 81/2008).

L’accountability, quale responsabilità incondizionata in capo al dirigente scolastico dei risultati conseguiti dalla scuola sulla base delle capacità, abilità ed etiche, richiedente il giudizio del buon padre di famiglia e la sua elevata capacità decisionale, si realizza essenzialmente nel relazionarsi con gli attori portatori di interesse sia interni che esterni alla scuola, nel comunicare con trasparenza la performance definita mediante un accurato ed adeguato piano della comunicazione, nel coinvolgere gli stakeholders nella definizione degli standard, ottenendo contemporaneamente senso e consenso.

Le scelte propositive e le strategie condivise con gli attori della comunità di apprendimento, dimostrano che la leadership costruttivista promuove fiducia, reciprocità e cooperazione autentica, costruisce alleanze sociali, soddisfa pienamente le aspettative della comunità scolastica e dell’intera comunità di pratica, valorizza le componenti di autonomia, di efficacia e di efficienza, frutto della gestione unitaria da parte del Dirigente dell’intera istituzione scolastica, in sinergia con l’obiettivo 4 fissato nell’Agenda europea 2030, volto a fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, dunque una reale opportunità di apprendimento per tutti.

In sintesi il nuovo dirigente scolastico diventato leader trasforma gli stakeholders in shareholders e crea capitale umano composto da conoscenze, competenze, abilità, emozioni funzionali e strumentali nel generare obiettivi sociali ed economici, sia a vantaggio del singolo che dell’intera collettività.

Il PNSD in una frase: àncora di salvezza in una scuola che cambia…

La scuola sta cambiando. L’avvento delle tecnologie digitali ha aperto scenari estremamente rilevanti nel mondo dell’apprendimento. A ottobre 2017 il Piano Nazionale Scuola Digitale ha compiuto due anni. Il Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD) è il documento di indirizzo del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca per il lancio di una strategia complessiva di innovazione della scuola italiana e per un nuovo posizionamento del suo sistema educativo nell’era digitale. È un pilastro fondamentale de La Buona Scuola (legge 107/2015), una visione operativa che rispecchia la posizione del Governo rispetto alle più importanti sfide di innovazione del sistema pubblico: al centro di questa visione vi sono l’innovazione del sistema scolastico e le opportunità dell’educazione digitale.

Tutto nasce con le Avanguardie Educative, un movimento di innovazione che sta portando a sistema le esperienze più significative di trasformazione del modello organizzativo e didattico della scuola che è stato uno degli stimoli di partenza per il lavoro fatto con le 22 scuole fondatrici e le 250 le scuole adottanti. I temi che da anni fanno parte delle sue sperimentazioni:

  • la trasformazione  del modello trasmissivo della scuola,
  • l’attenzione per i nuovi spazi per l’apprendimento e
  • la valorizzazione dei rapporti con il territorio li ritroviamo nel PNSD.

Inutile negarlo, la prima difficoltà che si è riscontrata e si riscontra a tutt’oggi in molte scuole è l’accesso; i dati parlano chiaro: delle 326.000 aule il 70% è connessa in rete, ma la connessione è generalmente inadatta alla didattica digitale; inoltre il 36% dei docenti (il 62% ha più di 50 anni, rispetto ad una media OCSE del 32%) dichiara di non essere sufficientemente preparato per la didattica digitale. Pensando alla scuola reale i dati credo siano anche peggiori. Al secondo posto metterei gli spazi, che sono fondamentali per un recupero della didattica attiva e della scuola delle competenze e devono diventare i luoghi di incontro della comunità.

Nel PNSD, la tecnologia non è al centro, come si potrebbe pensare parlando di un piano digitale, lo sono invece i nuovi modelli di didattica che utilizzano la tecnologia e lo sono i grandi maestri della scuola italiana. Come si fa a non pensare a Maria Montessori quando si parla di ambienti di apprendimento o di “sedute informali”? Era davvero necessario riportare al centro la didattica laboratoriale  e i laboratori come punto di incontro tra sapere e saper fare. Al paese serve sicuramente una cittadinanza digitale. Le competenze chiave del 21° secolo (azione #16 del PNSD) sono le competenze trasversali: problem solving, pensiero laterale, capacità di apprendere; materie scientifiche che valorizzino la creatività.

Il pensiero logico computazionale (azione # 17) lo si può sviluppare usando qualunque strumento: i bambini devono diventare gli attori protagonisti. I piccoli innovatori crescono. Qualche dubbio sul PNSD? Più che dubbio un timore, il BYOD (Bring Your Own Device). Giusto che si parlasse di BYOD in un piano quinquennale, ma in questo momento è davvero molto complicato pensare a docenti che riescano a gestire e “far scuola” con più di due sistemi operativi, vista la scarsa coscienza digitale del nostro corpo docente come emerge dai dati OCSE. E’ necessaria quindi la formazione del personale! La formazione dei docenti :  quando si parla di innovazione della didattica è una priorità assoluta. Dopo anni di ritardo la formazione è finalmente diventata obbligatoria e in più gli è stata data un’organizzazione molto precisa e definita. I poli formativi territoriali sono già una realtà che però andava portata a sistema: la costituzione di 250/300 poli permetterà la diffusione delle competenze con un approccio di formazione continua.

Nel PNSD ci sono altre azioni rilevanti a supporto. L’animatore digitale è una figura nuova, un “evangelista” che deve diffondere competenze, esperienza e soprattutto entusiasmo!  Accanto all’animatore si è pensato di portare a sistema l’assistenza tecnica alle scuole, per le scuole del primo ciclo un help importante per garantire il funzionamento delle tecnologie. I 250 poli formativi accanto ai 120/150 poli bibliotecari e ai 100 centri territoriali per la disabilità (C.T.S.) formeranno una vera “ragnatela” di servizi su tutto il territorio. Il PNSD vuole attivare un processo di “emersione” delle reti, delle scuole e anche degli attori extrascolastici che hanno avviato processi di innovazione digitale attraverso esperienze che hanno animato in questi anni un vero e proprio movimento di innovazione “dal basso”. C’è una ricchezza enorme di esperienze concrete nelle scuole italiane, ma ancora troppo frammentate, che vanno diffuse in modo strutturale su tutto il territorio. Il piano spinge alla collaborazione con gli enti locali, le famiglie e gli stakeholders per una co-progettazione con il territorio dell’idea di scuola.

PNSD: …Àncora di salvezza in una scuola che cambia, porto sicuro per la scuola del futuro!!!

 

La “chiamata per competenze”: da adempimento burocratico a risorsa per l’autonomia

La legge 107/2015 rende molto più agevole  l’esercizio della gestione unitaria dell’istituzione scolastica, aprendo  al dirigente spazi notevoli per indirizzare la vita della scuola e le scelte di priorità, con il fine di  dare piena attuazione all’autonomia delle istituzione scolastiche. La sua responsabilità più importante è rappresentata dall’opportunità  data nella definizione degli indirizzi e nell’attuazione del PTOF, con la partecipazione di tutti gli organi di governo. L’impianto normativo ha tracciato le nuove Linee guida per l’elaborazione del Piano dell’Offerta formativa che ha cadenza triennale. Il PTOF è soggetto a valutazione degli obiettivi in esso inseriti e può essere rivisto annualmente, entro il mese di ottobre.

L’art. 3 del DPR 275  del 1999 è stato novellato dal comma 14 della succitata legge che ne ha cambiato anche le modalità di elaborazione, affidando un ruolo preminente e strategico al dirigente scolastico, chiamato nella nuova previsione normativa, a definire al collegio dei docenti, gli indirizzi per le attività della scuola e per le scelte di gestione e di amministrazione. Leggi tutto “La “chiamata per competenze”: da adempimento burocratico a risorsa per l’autonomia”

Il leader educativo in funzione del successo formativo

La responsabilità di dirigere un’organizzazione “complessa” come la scuola richiede al dirigente capacità professionali articolate e flessibili in grado di coniugare la funzione di leadership, strettamente connessa alle finalità del sistema educativo, con quella manageriale, più incentrata sugli strumenti necessari alla gestione dei processi. Entrambe mirano alla qualità e all’ efficienza degli obiettivi da conseguire, ma il management si confronta principalmente con la complessità mentre la leadership è orientata al cambiamento in base ad una visione dell’educazione sorretta da una “mission” comune e condivisa.

La ricerca educativa e l’osservazione in campo scolastico, tuttavia, convergono nel riconoscere alla leadership, più che al management, un ruolo chiave ed imprescindibile nella direzione di una scuola sempre più connotata da una dimensione pedagogica che pone al centro dell’azione educativa lo studente e il suo percorso di crescita culturale. Il leader sviluppa, articola e gestisce l’attività scolastica per migliorarne le condizioni e ottimizzarne gli esiti avvalendosi del supporto di tutta la comunità con cui interagisce per creare il progetto di educazione da realizzare. E’ leader educativo che orienta il personale promuovendone lo sviluppo professionale attraverso la cooperazione, il confronto e la condivisione delle scelte. In questa prospettiva va anche la sua capacità di motivare e gratificare i propri followers soddisfacendone bisogni fondamentali come il senso di appartenenza, di autostima e di adeguatezza rispetto ai propri ideali. Ciò garantisce quella convergenza strategica di intenti ed interventi che è una delle chiavi del successo e della qualità dei servizi resi dalle scuole. Ma crea anche le condizioni per una “leadership empowering” che promuove capacità e competenze finalizzate alla creazione di nuovi leaders capaci di perseguire ulteriori risultati personali e collettivi. Una “leadership distribuita”, dal dirigente a tutti i livelli dell’organizzazione (“Middle management” e figure professionali), che è anche “trasformazionale” (B. Bass,1990) nella misura in cui guida e realizza il cambiamento.

Tale impostazione va incontro a quanto disposto dal Dlgs.165/01, art.25 che prevede per il dirigente scolastico la possibilità, nell’ambito della propria funzione di valorizzazione delle risorse umane, di “avvalersi di personale da lui individuato cui attribuire specifici compiti”. Allo stesso tempo, diviene più sicura la guida del dirigente anche nei processi relativi alla didattica poiché si alleggerisce il suo carico di lavoro amministrativo indotto dalle crescenti istanze di educazione poste alla scuola a livello sociale ed istituzionale.

Del resto, la L.107/15, che incrementa le funzioni del dirigente scolastico e le relative responsabilità, ci consegna la figura di un “leader per l’apprendimento” in grado di proiettare il ruolo burocratico-istituzionale su quello educativo definito da E. Damiano “educazionale”, cioè comprensivo di funzioni amministrative e di responsabilità formative. La norma delinea una leadership che valorizza gli studenti individuandopercorsi formativi adeguati (PTOF) e promuovendo iniziative di orientamento e di riconoscimento di meriti e talenti. Un leader per l ’ apprendimento che, in linea con la normativa vigente, opera per assicurare la partecipazione degli studenti alla vita della scuola, esercizio di democrazia e di costruzione di cittadinanza attiva.

Le diverse dimensioni che può assumere la leadership scolastica configurano tutte una dirigenza profondamente rinnovata il cui operato può rappresentare il fattore più importante nel determinare la qualità e l’efficienza della scuola. In relativa autonomia, il capo di istituto deve individuare le mosse vincenti per il successo formativo di tutti gli studenti, di cui è il primo responsabile anche di fronte alla totalità dei portatori di interesse, che è quanto fa la differenza tra un leader e un funzionario.

Collegamenti:

D.P.R. 275 art.6: Ricerca, sperimentazione e sviluppo.
“Le istituzioni scolastiche, singolarmente o tra loro associate, esercitano l’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo, curando tra l’altro:
a. la progettazione formativa e la ricerca valutativa;
b. la formazione e l’aggiornamento culturale e professionale del personale scolastico;
c. l’innovazione metodologica e disciplinare;
d. la ricerca didattica sulle diverse valenze delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione e sulla loro integrazione nei processi formativi;
e .la documentazione educativa e la sua diffusione all’interno della scuola;
f. gli scambi di informazioni, esperienze e materiali didattici;
g. l’integrazione fra le diverse articolazioni del sistema scolastico e fra i diversi sistemi formativi, ivi compresa la formazione professionale.
Se il progetto di ricerca e innovazione richiede modifiche strutturali che vanno oltre la flessibilità curricolare prevista dall’ articolo 8, le istituzioni scolastiche propongono iniziative finalizzate alle innovazioni con le modalità di cui all’articolo 11.
Ai fini di cui al presente articolo le istituzioni scolastiche attivano collegamenti reciproci, nonché con il Centro europeo dell’educazione, la Biblioteca di documentazione pedagogica e gli Istituti regionali di ricerca, sperimentazione e aggiornamento educativi; tali collegamenti possono estendersi a università e ad altri soggetti pubblici e privati”.

L. 107/15, art.1 c.124: Formazione in servizio dei docenti. Piano nazionale di formazione. “Nell’ambito degli adempimenti connessi alla funzione docente, la formazione in servizio dei docenti di ruolo è obbligatoria, permanente e strutturale. Le attività di formazione sono definite dalle singole istituzioni scolastiche in coerenza con il piano triennale dell’offerta formativa e con i risultati emersi dai piani di miglioramento delle istituzioni scolastiche previsti dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 marzo 2013, n. 80, sulla base delle priorità nazionali indicate nel Piano nazionale di formazione, adottato ogni tre anni con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, sentite le organizzazioni sindacali rappresentative di categoria.”

L.107 art.1 c.29 “Il dirigente scolastico, di concerto con gli organi collegiali, può individuare percorsi formativi e iniziative diretti all’orientamento e a garantire un maggiore coinvolgimento degli studenti nonché la valorizzazione del merito scolastico e dei talenti. A tale fine, nel rispetto dell’autonomia delle scuole e di quanto previsto dal regolamento di cui al decreto del Ministro della pubblica istruzione 1o febbraio 2001, n. 44, possono essere utilizzati anche finanziamenti esterni.”

Dirigente scolastico e gestione risorse professionali

La gestione delle risorse umane è diventata da poco una delle tematiche più importanti della scienza dell’amministrazione.  Il dirigente scolastico oggi potrà sviluppare moltissimi strumenti di gestione del personale: selezione, premialità, socializzazione, valutazione per il miglioramento del personale, controllo di gestione e tanto altro.

Ma cosa significa per un Dirigente scolastico e per il comitato di valutazione di ciascuna scuola valorizzare un docente?

La norma è abbastanza chiara, intanto il Ds come da art 25 del decr leg 165 è il responsabile della gestione unitaria del personale e della struttura così come il comitato di valutazione (comma 129/107) decide i criteri del merito tenendo conto del successo formativo e scolastico degli alunni, ottenuto grazie alle metodologie d’insegnamento del docente.

Se l’insegnante odierno riuscirà dunque a migliorare le competenze digitali dei ragazzi potrà quindi concorrere al bonus meritevole.

Il Ds dovrà quindi saper interpretare la “Mission educativa” all’interno di una cornice amministrativa del sistema; solo una buona leadership che valorizza i docenti, potrà tenere assieme la qualità manageriale e gli sviluppi di un’efficace ed efficiente didattica dell’istituto.

Costruire una comunità di docenti dove gli obiettivi vengono creati per finalità ben precise, lanciando sfide, assegnando compiti, motivandoli sempre sul bisogno di autorealizzazione. Rilanciare le teconologie come strumento per incrementare le risorse della scuola che sono gli studenti.

Intensificare il buon clima e l’empowerment come conquista di consapevolezza da parte del docente e in funzione degli stakeholders (quartiere, genitori, contesto). La valorizzazione delle risorse umane all’interno di un istituto scolastico può avvenire non solo con la gestione burocratica (titoli, punteggi) ma con attivià di accoglienza, tutoraggio, socializzazione, motivazione, valutazione gestione dei conflitti  e la collaborazione del middle management.

Per quanto riguarda il bonus, Il Miur (comma 126 della legge 107/2015) ha istitutito un fondo annuale di 200 milioni che verrà ripartito tra le scuole in proporzione alla dotazione organica dei docenti, alle complessità ecc) . Una volta stabiliti i criteri dal comitato di valutazione docenti esso sarà distribuito dal Ds (comma 127 della 107/2015) ogni anno al personale docente in natura di retribuzione accessoria. Non dimentichiamo che i dirigenti hanno l’obbligo di assegnare  il bonus, come recita il comma 93 della 107  e questo fa si che il capo d’istituto diventi una figura manageriale a tutti gli effetti.

I dirigenti scolastici infatti acquisiscono una figura da ‘Manager di confine’ e cioè  titolari di relazioni esterne che possono aiutare le situazioni interne dell’istituto. Oltre alla classica funzione decisionale i dirigenti dovranno avere delle competenze tecniche in modo da saper affrontare compiti gestionali ed affinare quelle relazionali, vedi la gestione dei conflitti. Si tratta dunque di avere una completa gestione della scuola nel suo insieme senza dimenticare mai il principio di autovalutazione.

Le relazioni sindacali nella scuola: genesi, finalità e protagonisti

Nella scuola dell’autonomia i diritti sindacali del personale docente e non docente e il diritto allo studio degli studenti costituiscono un aspetto delicato e complesso dell’organizzazione e della gestione della vita scolastica, che richiede, forse più che altrove, un’attenzione particolare e un pieno rispetto delle regole e dei diritti. La Legge n. 421/92  e il Decreto Legislativo n. 29/93 hanno riformato radicalmente il rapporto di lavoro nel pubblico impiego assimilandolo a quello privato, ma non privatizzandolo. Difatti tale rapporto di lavoro si dice contrattualizzato, ossia è regolato da contratti collettivi e individuali e le relazioni sindacali costituiscono per il dirigente scolastico una vera e propria obbligazione giuridica. Le materie di competenza legislativa riguardano il reclutamento, le responsabilità, le incompatibilità, mentre ogni altro aspetto è regolamentato dai CCNL di comparto. Quindi da natura pubblicistica il contratto assume la forma privatistica, regolato peraltro dalle norme del codice civile. Per questo motivo a partire dal 30/06/98 la competenza è passata dai giudici amministrativi ai giudici ordinari in funzione di giudici del lavoro.

Con il contratto 1998-2001 è  stata introdotta nella scuola per la prima volta la RSU, la rappresentanza sindacale unitaria, organismo unitario plurisoggettivo. Nei contratti precedenti l’attività sindacale, posta in essere da un delegato delle OO.SS., era limitata all’esercizio dei soli diritti sindacali: diritto di indire assemblee, di usufruire di spazi e bacheche. Spesso le RSU nella scuola hanno creato conflitti di competenze con i vari OO.CC., generando fraintendimenti e sovrapposizioni. E’ bene precisare, al riguardo che il consiglio di Istituto decide le scelte generali di indirizzo e organizzative della scuola, il collegio dei docenti assume la responsabilità delle scelte pedagogiche e didattiche e degli obiettivi formativi, il contratto integrativo d’istituto tra dirigente scolastico e RSU persegue la migliore organizzazione del lavoro del personale della scuola per realizzare nel modo migliore gli obiettivi generali.

Il sistema delle relazioni sindacali, nel rispetto delle distinzioni dei ruoli e delle rispettive responsabilità, persegue l’obiettivo di contemperare l’interesse dei dipendenti al miglioramento delle condizioni di lavoro e alla crescita professionale con l’esigenza di incrementare l’efficacia e l’efficienza dei servizi prestati alla collettività. Tale sistema all’interno di ciascuna istituzione scolastica è regolato dagli articoli 6 e 7 del CCNL 2006 e si articola in contrattazione d’istituto e partecipazione (informazione preventiva e successiva). Con l’ipotesi di CCNL siglata il 9 febbraio 2018, si è aggiunto l’istituto del confronto. Le relazioni sindacali sono disciplinate dalle seguenti norme: D.Lgs. 165/01  modificato dal D.Lgs. 150/09  Capo II dall’art. 3 all’ art. 8 del CCNL 29.11.2007 (obiettivi e strumenti, contrattazione collettiva integrativa, partecipazione, relazioni a livello di istituzione scolastica, composizione delle delegazioni, assemblee).

Il D.Lgs. 150/09 interviene a modificare  Il rapporto tra le fonti normative e ne stabilisce gli ambiti riservando al CCNL la definizione dei trattamenti accessori collegati alla performance organizzativa e individuale e alla contrattazione integrativa il compito di attribuire somme accessorie corrispondenti a prestazioni effettivamente rese D.Lgs. 150/09 abroga tutte le norme in contrasto con le disposizioni di legge. In particolare, l’art. 5 del D.Lgs. n. 165/2001 modificato dall’art. 34 del D.Lgs. n. 34 del D.Lgs. n. 150/2009 stabilisce che le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunti in via esclusiva dagli organi preposti alla gestione con la capacità ed i poteri del privato datore di lavoro, fatta salva la sola informazione ai sindacati ove prevista. In tale contesto è  a cura del Dirigente Scolastico evidenziare il significato, la ratio e gli effetti attesi da ogni norma, anche e soprattutto con riferimento alla natura premiale e selettiva cui è connessa l’erogazione delle risorse, la ricaduta sui livelli di produttività individuale e collettiva, la garanzia del servizio pubblico, l’interesse specifico della collettività, nonché Illustrare distintamente il rispetto dei principi di legge e di contratto, anche con riferimento alle materie oggetto di contrattazione integrativa.

Composizione delle delegazioni

A livello di istituzione scolastica, la composizione della delegazione è così delineata:
a)  Per la parte pubblica: dal dirigente scolastico.
b) Per le organizzazioni sindacali: dalla R.S.U. e dai rappresentanti territoriali delle organizzazioni sindacali di categoria firmatarie del presente CCNL, come previsto dall’Accordo quadro 7-8-1998 sulla costituzione della RSU. Principi di fondo della contrattazione: il dirigente scolastico deve avviare la trattativa e tentare di addivenire ad un accordo entro  i termini di durata della sessione negoziale previsti dall’art 6. comma 5 del CCNL di comoparto. In carenza di accordo potrà emanare un atto unilaterale per disciplinare le materie rimesse dal CCNL medesimo alla contrattazione integrativa.

Tratteremo nei prossimi numeri più diffusamente delle materie oggetto della contrattazione, dei contenuti della stessa, delle procedure , dei vincoli, della verifica e della valutazione e delle prestazioni effettive. Sarà inaugurata anche una sezione con delle faq inerenti la materia della contrattazione e dei diritti sindacali e uno sportello di consulenza.

Welcome to E U R O P E: Education systems

“Let’s focus on Teaching careers”

The quality of teaching is a very important factor for young people to be inspired in the classroom and reach their full potential. Good teachers make for good education systems, and both are essential to give to the youth the best preparation for adult life as active and productive members of society. The role of teachers is more and more important as Europe rises to meet its educational, social and economic challenges but the teaching profession is becoming less attractive as a career choice. Higher expectations in terms of student outcomes and greater pressures due to a more diverse student population combined with rapid technological innovation are having a strict impact on the teaching job. European leaders and national policy-makers have committed themselves as part of Education and Training 2020 to identify the challenges and go deep into the best ways to give effective support for teachers and raise their status.

Many countries have lack of teachers. In some cases these are linked to specific subjects or geographical areas, while in others they are due to the ageing teacher population, drop-out rates from the profession and its attractiveness.

The recent Communication from the European Commission on school development and excellent teaching (European Commission, 2017a) emphasises the need to make teaching careers more attractive and  change the paradigm of the profession from static to dynamic.

Teaching today involves lifelong career development, adapting to new challenges, collaborating with peers, using new technologies and being innovative. This calls for recognition that the teaching environment is constantly changing and teachers need the necessary policy reforms and support to be able to respond proactively to the new demands.

The Communication looks at a number of areas that can be acted upon to improve the working conditions and efficacy of teachers. Selection and recruitment of new teachers should take into account a broader set of attitudes in addition to academic merits; a bridged access to the profession should be provided for those from underrepresented groups and other professions; and conditions should be created which would provide for a better gender balance.

To enhance the attractiveness of the profession, a focus should be placed on the provision of good contractual and employment conditions which can compete with professions requiring equivalent education levels. Opportunities for salary and career progression should also be provided. More attention should be given to continuing professional development and its relevance to teachers’ professional needs; the ways in which it is delivered and the bodies and levels involved in deciding on what is relevant should be re-examined. Support in the early stages of a teacher’s career and throughout their professional life should be accessible to all.

Forms of collaboration with peers, team-work and peer-learning should be incentivised and become the norm across Europe.

The majority of European countries go on planning specifically for teacher supply and demand. Top-level education authorities carry out this task themselves in all the countries where it takes place. In addition, in five education systems local-level authorities also develop their own plans in this area (Belgium (Flemish Community), Austria, Sweden, the United Kingdom (Scotland) and Switzerland).While many education systems rely only on short-term planning, Seven education systems carry out only long-term planning – some of these for more than 10 years ahead (Denmark, Germany, the Netherlands, Finland, and Norway).

In most European education systems, schools or local authorities are responsible for teachers recruiting. This decentralised approach is usually based on a system of open recruitment and means that vacancies are managed directly by schools or local authorities and teachers apply for specific vacant posts and the recruitment is based on  competitive examinations or candidate lists.

In the United Kingdom (Wales), regulations have been made to allow for the development and implementation of an individual level school workforce census. This will include individual identifying data items such as name, date of birth and national insurance number. Wales previously had no central data collection that gathered the level of workforce information needed to support more detailed workforce planning. Following a consultation which ended in March 2017, the Education (Supply of Information about the School Workforce) (Wales) Regulations 2017 came into force on 31 October 2017.

To be continued…

Oltre la scuola! Verso una società inclusiva…

In occasione della Giornata della Memoria, ricorrenza internazionale celebrata il 27 gennaio di ogni anno come giornata per commemorare le vittime dell’Olocausto, molte scuole organizzano manifestazioni ed eventi per celebrare l’apertura dei cancelli di Auschwitz. Tuttora però,  a distanza di molti anni, la “diversità” è ancora sotto i riflettori della cronaca quotidiana  ed attiva meccanismi di esclusione, di odio e di violenza.

Nel 69° Circolo didattico “Stefano Barbato” a Napoli educare alla diversità ed utilizzare una didattica differenziata per livelli di apprendimento è probabilmente un mezzo per riscattare giovani talenti o semplici cittadini del domani, da un destino quasi segnato. Vivere in un territorio di periferia, dimenticato anche dalle istituzioni, è diventato negli anni una rassegnazione ed un’errata convinzione, che quella realtà rimarrà sempre tale, perché caratterizzata da molteplici problematiche, che solo la scuola e qualche associazione o intervento sporadico, non potrà mai risolvere.

Ma perché arrendersi? Perché non puntare sulla centralità dell’alunno invece che sulla collaborazione delle altre istituzioni? Perché non utilizzare altre strategie, per ridare stimoli, nuove motivazioni e sogni ai piccoli di quel quartiere? Da questa riflessione, coniugando  il Dlgs 60/2017 sulla valorizzazione della cultura umanistica, le Guide al Rispetto emanate dal Miur, la centralità dello studente delle Indicazioni Nazionali – l’apertura al territorio, essenziale per contestualizzare l’offerta formativa e non ultimo la L. 170/2010 è nato un laboratorio di pittura tenuto dalla docente Liccardo Rosa ed il pittore Ivano Domenico Felaco. “ Ho passato le elementari in un banco solitario e triste accanto alla mia maestra, quella stessa maestra che a suon di tirate d’orecchie , durante i dettati mi aveva quasi convinto che le mie proverbiali orecchie a sventola fossero il prodotto dei suoi metodi educativi… Ma io ero e sono semplicemente un dislessico non diverso da tutti voi…” E così, attraverso la bellissima storia della Bella e la Bestia e la testimonianza dell’artista, si è proceduto ad affrontare il tema della diversità sotto diversi punti di vista coinvolgendo anche i genitori. Una Giornata della Memoria all’insegna di una promessa: porre le basi per un reale cambiamento, che non può concretizzarsi nella vita di tutti i giorni se prima non avviene “nelle nostre teste”; perché la diversità è una risorsa, come appunto spiega il Pittore Ivano ai bambini: “da alunno escluso ho fatto della mia diversità una risorsa e della mia passione un lavoro… Mi sono riscattato da qualsiasi forma di pregiudizio grazie alla pittura ed adesso  sono qui, portavoce della mia esperienza e ringrazio l’insegnante Liccardo Rosa per avermi incluso nel suo progetto itinerante ed a quanti hanno collaborato per la realizzazione di quest’ idea”.

Promuovere l’insegnamento educativo di cui parla E. Morin “…trasmettere non del puro sapere, ma una cultura che permetta di comprendere la nostra condizione e di aiutarci a vivere” vuol dire dunque, mettere in pratica un modo di fare didattica che esca fuori dall’aula e dalle metodologie tradizionali. Vuol dire interfacciarsi con nuove modalità educative-didattiche e coinvolgere, in maniera diretta e consapevole, nel processo di crescita e formazione non solo gli studenti ma anche i genitori. Dalla giornata sulla diversità si è poi redatto un vero progetto di nome: Dislart da attuare nella scuola dell’infanzia e primaria ed eventualmente da mettere in rete come esempio di buona pratica scolastica.

Pratiche laboratoriali: l’archeologia nei Licei

Oggi più che mai la ricerca e la sperimentazione sono attività fondanti della progettualità messa in atto da ogni singola scuola, che aperta a scenari sempre più complessi diventa non solo lo spazio fisico in cui si muovono i vari attori, ma anche lo spazio fluido delle interazioni sociali, in grado di favorire nello studente un apprendimento attivo e partecipato.

In questa prospettiva risulta strategico il ruolo rivestito dal dirigente scolastico, che, in quanto leader per l’apprendimento volto all’innovazione e al miglioramento, dovrà favorire pratiche di organizzazione della didattica, di cooperazione e collaborazione, dovrà sostenere lo sviluppo del capitale umano e promuovere tutte le esperienze che portano gli studenti allo sviluppo del pensiero critico e all’acquisizione di competenze spendibili in tutti gli ambiti della vita, avvalendosi in questo dei rapporti con enti esterni, esperti e specialisti del mondo del lavoro.

Le istituzioni scolastiche, alla luce  del Decreto Legislativo n. 60 del 2017, attuativo della Legge n. 107 del 2015, sono chiamate a valorizzare l’esperienza diretta e i saperi degli studenti, attraverso la promozione della cultura umanistica, la valorizzazione del patrimonio e delle promozioni culturali ed il sostegno della creatività, secondo modalità di tipo laboratoriale ed operative.

Un progetto che ha visto gli studenti impegnati in esperienze di scavo archeologico sul campo è stato attivato dal  Liceo Classico “G. Piazzi – C. Lena Perpenti” di Sondrio. Gli studenti impegnati in questo progetto triennale ed europeo hanno coniugato lo studio delle lingue classiche, greco e latino, della lingua straniera, della grammatica comparata, della storia e della geografia, della storia dell’arte con lo studio delle discipline scientifiche e con attività pratiche in un ambiente di apprendimento strutturato ad hoc. L’esperienza è stata molto significativa e coinvolgente per gli studenti che confrontandosi con esperti, specialisti, archeologi, paleo-antropologi, biologi e genetisti, docenti universitari, hanno mobilitato gli apprendimenti anteriori, arrivando alla risoluzione di problemi di natura sempre più complessa, e hanno sviluppato le competenze necessarie per muoversi con disinvoltura nel mondo della complessità.

Attraverso l’esperienza di laboratorio archeologico gli studenti, rafforzando la coscienza della loro radice, diventano protagonisti consapevoli di una storia capace di legare passato e futuro, certezze e ambivalenze, arrivando così alla costruzione di una vera identità di cittadini europei, che li proietta in una dimensione globale.

La scuola tra comunità e conflitto

La comunità scolastica possiamo definirla un insieme di più comunità: quella dei genitori, quella degli studenti, quella professionale dei docenti e quella del personale assistente tecnico amministrativo. La scuola, quindi, è un sistema complesso nel quale si confrontano sottosistemi spesso profondamente divergenti; un contesto dove le aspettative, i bisogni, gli interessi dei vari attori coinvolti (alunni, genitori, insegnanti, personale ATA e personale dirigenziale) possono causare malintesi, disaccordi, litigi sino a determinare relazioni conflittuali. Queste ultime se non vengono ben gestite minacciano il benessere scolastico sino a generare non poche criticità. Nella legge n. 107/2015, Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti, la parola comunità viene citata ben sei volte e dalla lettura del comma 93 -lettera e- emerge con chiarezza quanto segue: compito del dirigente scolastico è la direzione unitaria della scuola, la promozione della partecipazione e della collaborazione tra le diverse componenti della comunità scolastica.

Il dirigente scolastico, nel perseguire il miglioramento del servizio scolastico, ha la responsabilità di promuovere la collaborazione tra i vari attori del sistema scuola. Si tratta di una responsabilità molto importante e di non semplice gestione se pensiamo alle molteplici possibilità di conflitto che potrebbero verificarsi nel microcosmo scolastico. E allora quali strumenti ha il dirigente scolastico per mantenere l’equilibrio tra le varie componenti della scuola e promuovere comunità? Per tentare una risposta credo sia utile riflettere sul termine comunità: una parola calda che evoca accoglienza, condivisione, senso di appartenenza, fiducia, collaborazione, solidarietà. Pertanto per costruire comunità scolastica è necessario sviluppare l’arte del dialogo: servono dialogo e comprensione per far incontrare i diversi attori della realtà scuola.

È necessario promuovere forme d’incontro cooperative basate sulla fiducia e il rispetto reciproco, la collaborazione, la condivisione di spazi e di tempi dove tutti traggano beneficio dall’incontro con l’altro e ognuno si riappropri della capacità di essere nella relazione. La mediazione potrebbe dare una risposta a queste tematiche in quanto è uno strumento pedagogico capace di cambiare lo sguardo verso l’altro, diverso da noi, e di incontrarlo anche nel conflitto.

Il conflitto, infatti, fa parte di ogni relazione umana perché è un evento naturale che nasce dalla diversità: dimensione irrinunciabile del vivere. La mediazione si fa carico del conflitto, della rottura di un dialogo e crea ponti tra i diversi desideri delle persone coinvolte aiutandole a trovare un accordo; in questo modo l’evento conflittuale diviene una preziosa opportunità di cambiamento, di crescita per riorganizzare le relazioni e giungere a soluzioni vantaggiose per tutti. Nello specifico, il mediatore scolastico è un terzo neutrale (nel senso che è imparziale, non patteggia in alcun modo), “sta in mezzo”, è equidistante dalle parti in conflitto, che liberamente hanno chiesto aiuto per riaprire i canali di comunicazione interrotti, per rimettere ordine nel proprio disordine emotivo, per far emergere i bisogni di ciascuno al di là delle posizioni e  recuperare la capacità di vedere l’altro come qualcuno da rispettare e di cui potersi fidare. Le parti, in altri termini, vengono aiutate a governare il conflitto e a riappropriarsi sia del loro ruolo, sia delle loro capacità decisionali.

La capacità di autodeterminarsi e di assumersi le responsabilità di decidere è un concetto cardine della mediazione. In tale prospettiva la mediazione ha un’alta funzione sociale perché opera sul concetto di responsabilità inteso come attitudine a progettare, assumere e mantenere un impegno; educa alla responsabilità di pensare diversamente nel rispetto e nel riconoscimento reciproco che è requisito indispensabile di una comunità che voglia dirsi civile. Alla luce delle considerazioni fatte un Dirigente scolastico che decida, nel rispetto degli organi collegiali, di adottare programmi di mediazione scolastica sicuramente opta per un utilissimo strumento finalizzato a sviluppare abilità e competenze sociali in tutti i protagonisti della scuola, ed in questo modo promuove lo sviluppo di una comunità scolastica capace di considerare la mediazione come una pratica educativa intenzionale di gestione trasformativa delle situazioni di conflitto. In altri termini una comunità scolastica che pratica la mediazione, sa chiedere aiuto ed è capace di aiutare, attiva le risorse interne, anche conflittuali, è in grado di gestire la complessità, di fare richieste e intraprendere scelte autonome, di progettare il futuro, piuttosto che praticare la lamentela e il desiderio di una “scuola ideale” priva di conflitti.

L’albero dei problemi: “Il bullismo”

L’albero dei problemi: “Il bullismo”

Se da una parte la società reclama nuovi modelli familiari, “convivenze di fatto”, “unioni civili”, “genitori dello stesso sesso”, dall’altra parte la giurisprudenza sottolinea e accentua la doverosità degli adulti e dei genitori nei confronti dei minori. E’ cambiato il panorama, oggi la realtà in cui ci troviamo è quella di una famiglia sempre più meno coniugale, dove le figure appaiono frammentate, si sgretola il concetto di famiglia come cellula fondamentale dello Stato, si affievolisce l’aspetto della genitorialità: due donne e due uomini possono avere non solo unione simil matrimoniale ma possono avere dei figli. Pertanto noi insegnanti siamo i primi a riflettere sul cambiamento in una dimensione globalizzata, e, a constatare questa evoluzione socio-culturale nelle scuole, nelle classi, prendendo atto nel contempo anche dei mutamenti demografici, di forte denatalità, o incremento dell’età delle madri, che comporta l’aumento di figli “unici”, super protetti, nei confronti dei quali i genitori sono troppo esigenti, nutrono grosse aspettative, considerandoli quasi contenitori di loro sogni non realizzati.

Possiamo constatare anche il conseguente incremento di minori che non vivono con entrambi i genitori biologici, specie col padre, ma in famiglie monogenitoriali o in famiglie ricostruite, quindi con un genitore sociale diverso, che comporta la convivenza con altri fratelli o sorelle di età differente. Va da se’ che compito delle scuole è quello di abbracciare il cambiamento creando un ambiente scolastico caratterizzato da reciproco rispetto, nel quale nessuno si senta discriminato, incentivando il dialogo con le famiglie come canale di comunicazione privilegiato per contrastare possibili situazioni di bullismo o discriminazione che avvengono all’interno della comunità scolastica.

L’articolo 2 della Dichiarazione universale dei diritti umani afferma che tutti devono poter usufruire dei diritti e delle libertà enunciati nella Dichiarazione “senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione.” La possibilità di godere dei propri diritti senza discriminazione è uno dei principi fondamentali alla base del diritto internazionale e appare in quasi tutti i più importanti strumenti giuridici in materia di diritti umani. Le ultime ricerche sul mondo della scuola rilevano che gli episodi di bullismo sono in crescente aumento in Europa e che spesso esiste una correlazione tra bullismo e discriminazione.

Tutti i ragazzi e le ragazze dovrebbero crescere con la consapevolezza che hanno dei diritti, non importa il luogo in cui sono nati, come sono, chi vogliono diventare, e che ognuno è unico e merita di essere trattato con rispetto e dignità. Da un punto di vista psicologico e psicopatologico, il bullismo sarebbe espressione di un disagio giovanile, una crisi adolescenziale, un disturbo della personalità che investe sia il bullo che la vittima. E’ molto importante considerare la storia personale del bullo, si è evinto infatti da numerose ricerche come l’aggressore possa essere stato nell’infanzia vittima di abusi tendendo quindi a perpetuare un ciclo di violenze, espressione di traumi e drammi personali, che a livello penale può trasformarsi in una vera e propria carriera criminale.

Sicuramente il modo in cui il mondo degli adulti e quello scolastico affrontano, concepiscono, vivono il fenomeno sarà fondamentale per la possibilità di risolvere lo stesso. Per questo è molto importante attuare delle strategie di prevenzione, che mirino a comprenderlo e contenerlo, piuttosto che semplicemente punirlo. L’adolescente è vulnerabile in quanto vive un momento storico della sua esistenza che vede l’acquisizione dell’identità di adulto, ed essendo presente nel vissuto dell’individuo una fase di crisi, può degenerare nella patologia a causa della fragilità, per cui si verifica una rottura, una disorganizzazione della personalità che produce stravolgimenti psichici.

La devianza e il bullismo possono essere il risultato di questo percorso personale involutivo che vede alla sua base prima il disagio, poi il disadattamento. Tutto ciò non è casuale, ma frutto di fattori deficitari individuali, familiari, ambientali e sociali, che concorrono al suo sviluppo. La scuola è un luogo fondamentale dove il disagio viene espresso ma può e deve essere anche contenuto, affrontato, elaborato. Se un soggetto incontra un bullo in un gruppo di aggregazione o in palestra, lo farà saltuariamente, poche volte a settimana, e può uscire dal gruppo con una certa facilità. Il gruppo classe invece si incontra quotidianamente per diverse ore al giorno e rimane pressoché stabile, è il luogo quindi dove più facilmente può attecchire la dinamica del bullismo, e mantenersi nel tempo.

Negli ultimi decenni si sono moltiplicate diverse tecnologie sempre più sofisticate, quali telefonini e internet, utilizzati sia nelle ore scolastiche che extrascolastiche rendendo sempre più frequente e accessibile l’uso della violenza. Le vittime, qualora non denuncino il fenomeno e siano adeguatamente contenute e sostenute dalla scuola e dalla famiglia, tendono a vissuti di ansia, senso di minaccia, depressione, insicurezza, abbandono della scuola, sensi di colpa e vergogna per quanto avviene, vivendo in uno stato costante di ansia e paura, che può trasformarsi in isolamento o in comportamenti aggressivi rivolti nei confronti dei fratelli minori.

In Italia negli anni ‘90 vengono sperimentati i primi interventi volti a ridurre i fenomeni di prepotenza nelle scuole. Nel 2007 si costituisce una Commissione di lavoro sul bullismo presso il Ministero della Pubblica Istruzione e successivamente vengono redatte delle linee guida sul bullismo, pubblicate il 5 Febbraio 2007 del DM n. 16. “È la prima normativa nazionale in tema di bullismo. Prende atto del problema e disegna un progetto nazionale articolato a livello regionale e provinciale che trova i suoi capisaldi nelle campagne di informazione, nell’istituzione di osservatori regionali permanenti sul bullismo” (Maggi, 2011, p. 97). Successivamente vengono emanate altre direttive come il DPR 21 novembre 2007 n. 235 concernente lo Statuto dello studente della scuola secondaria.

  • Indica le principali sanzioni per gli studenti che infrangono le regole della scuola e le modalità con cui devono essere erogate, messe in discussione, decise;
  • sottolinea la necessità di ispirarsi a principi di rieducazione e ricomposizione dei conflitti;
  • introduce la possibilità di sospendere fino al termine dell’anno scolastico coloro che svolgono atti gravi per l’incolumità delle persone.

Si introduce il “Patto educativo di corresponsabilità”, all’atto di iscrizione ogni scuola dovrà esporre ai genitori diritti e doveri di ognuno. Un altro passo è il DM 16 Gennaio 2009 n. 5, rivolto a scuole secondarie di I e II grado, stabilendo che la condotta di ogni studente venga espressa in decimi, e, che se insufficiente determina automaticamente la bocciatura o la non ammissione agli esami (Maggi, 2011).

Altre indicazioni normative hanno un carattere educativo e di sensibilizzazione, quali il Documento per la sperimentazione dell’insegnamento di “Cittadinanza e Costituzione” del 4 Marzo 2009, nel quale si inseriscono le indicazioni progettuali del Parlamento e del Consiglio d’Europasulle “competenze chiave per l’apprendimento permanente”. Inoltre il protocollo d’intesa tra il Ministero P.I. e Pari Opportunità siglato il 3 Luglio 2009 che istituisce una settimana contro la violenza per promuovere iniziative di sensibilizzazione, informazione e formazione per studenti, genitori e docenti sulla prevenzione della violenza fisica e psicologica (Ricci, 2011).

Sarebbe opportuno creare punti di raccordo nazionali e regionali per quegli insegnanti, operatori, ricercatori che da anni lavorano in questa direzione, ascoltando le loro osservazioni e mettendo in rete le esperienze. Una particolare attenzione andrebbe rivolta alla valutazione dei progetti e alla diffusione di quelli che hanno ottenuto risultati migliori, in modo da renderli esportabili in altri contesti. Inoltre sarebbe importante, per contrastare tale fenomeno, organizzare il lavoro dei docenti in modo da favorire la condivisione in equipe e lezioni in compresenza; incentivare la continuità didattica e rafforzare la formazione sulla gestione dei gruppi, proprio per gli insegnanti che lavorano in scuole dove il bullismo è presente in misura maggiore, in base a ubicazione geografica della scuola e all’ambiente socio-culturale circostante.

Di recente è stata annunciata la necessità di introdurre nella scuola l’educazione alla salute. Va ricordato che, secondo la definizione OMS, la salute non è soltanto assenza di malattia ma benessere psicologico, relazionale e sociale. Va da sé che l’educazione alla salute non possa essere interamente delegata a figure sanitarie, ma vada realizzata nell’integrazione tra diverse professionalità. Suscitare interessi nei ragazzi che canalizzino l’aggressività in attività sportive, culturali, fisiche indirizzate ad uno scopo socialmente condiviso è un modo efficace per prevenire il bullismo. Il gioco dei ruoli che ad esempio il teatro prevede stimola in qualche modo l’empatia e l’immedesimazione nell’altro. Tutte le forme d’arte possono avere un ruolo educativo e di prevenzione.

Un’altra risorsa importante per i giovani è lo sport (box, kick boxing, arti marziali), al fine di scaricare aggressività, risentimento, frustrazione, sempre però all’interno di regole e finalità specifiche. È difficile in tal senso trovare un giusto confine tra punizione, rimprovero e comprensione; di sicuro per le cause di fragilità e insicurezza, traumi familiari, anche il bullo va compreso e non demonizzato né emarginato, ma l’adulto non può accettare determinati comportamenti o limitarsi a giustificarli, facendosi sopraffare. L’educatore deve assumersi la responsabilità del suo ruolo, deve scavare nell’anima del bullo, accompagnandolo ad assumersi le responsabilità dei suoi atti e comportamenti. La responsabilità porta alla presa di consapevolezza, la presa di consapevolezza produce il cambiamento.