La “nocchiera”

Il filo rosso, ricercato, in modo se vogliamo anche ambizioso, che mi ha spinto a creare il timone che lega gli articoli del secondo numero della Rivista “Scuola 4 All” è la “Valutazione”. L’obiettivo è guidare il lettore a comprendere le tappe più importanti che hanno portato alla creazione di una indispensabile cultura della valutazione che trova il suo cuore pulsante nell’unico fine che si pone: il miglioramento continuo. Perché continuo? L’essenza è proprio da ritrovare nel fatto che la valutazione è un processo che inizia e continua per tutto il percorso. Non inizia dalla fine. Lo stesso J. Bruner afferma: “Collocare la valutazione alla fine del processo educativo equivale all’azione di un generale che acquisisca informazioni sul nemico a guerra conclusa”.

È in questo modo che deve essere intesa quella che oggi definiamo “Valutazione di sistema”. Cosa si intende per valutazione di sistema?

Il dirigente Luigi Martano, ci ricorda, in diversi contributi sul tema specifico, che le esperienze internazionali ci sollecitano e ci suggeriscono che un sistema di valutazione del servizio scolastico necessita di coinvolgere 3 settori d’intervento.

Il primo settore, non può non essere quello della valutazione degli esiti formativi degli studenti. Per entrare nella ratio delle principali novità che si sono succedute non si può non iniziare dalla “storia della valutazione della scuola italiana”. L’articolo di Pietro Salvatore Reina ben sottolinea come “il tema della valutazione prende forma, si struttura, attraverso le leggi e i documenti emanati dai vari governi, manifesta e riflette le caratteristiche economico-sociali della società, è manifesto/simbolo dell’impronta filosofico-pedagogica che sta alla base dell’impianto valutativo proponente”. L’excursus che ci propone parte dalla natura e variante linguistica del termine per procedere con un sommario della storia della valutazione dal 1848 al 1977.

L’articolo di Rosaria Perillo, prosegue nel sentiero tracciato entrando nel merito delle principali novità introdotte dal  D.lgs. n. 62/17, attuativo della legge n.107/15. Ferdinando Mascolo nel suo articolo “Valutare i BES… le novità che non ci sono” analizza, con uno sguardo più critico, questo importante aspetto della valutazione. Interessantissimo il contributo sulla “valutazione nella scuola dell’infanzia”, proposto nell’articolo di Teresa Pelliccia a cui si correla una “buona pratica” effettuata nella propria scuola da Marzia Magnani, replicabile e condivisibile. Infine non può mancare una importante riflessione su un momento imprescindibile del processo di valutazione formativa che si configura nella “autovalutazione dello studente” che ritroviamo nell’articolo di Rosa Liccardo.

Il secondo settore di intervento entra nel merito della valutazione dei processi organizzativi ed educativi che conducono al raggiungimento di questi risultati. Avviata nelle scuole a partire dal DPR n.80 del 28 marzo 2013 viene analizzata in modo preciso nel contributo di Daniela Conte “Valutare e migliorare oggi, essere competenti domani” che entra nel merito degli strumenti, RAV e PDM, propri della scuola, e di Rosalia Rossi sulla necessaria e conseguente “Rendicontazione sociale”.

Per portare a compimento la costruzione della suddetta cultura della valutazione e di conseguenza la creazione di una “valutazione di sistema a 360°” la L.107 del 2015 ha aggiunto nuovi e importanti tasselli al percorso finora descritto prevedendo la valutazione dei soggetti che concorrono all’erogazione del servizio stesso: dirigenti e docenti. Questo rappresenta il terzo settore d’intervento. Trattano questi temi gli articoli di: Mario Atria “La nuova veste del Comitato per la valutazione dei docenti” e di Alfredo Lanzone “I commi 93 e 94 della Legge 107”.

Orgogliosa e onorata di far parte di questo progetto concludo dicendo che la valutazione del “sistema scuola” ha senso, come abbiamo visto, se non riguarda solo l’allievo, ma investe tutto il sistema formativo. Se l’obiettivo non è un adempimento burocratico bisogna che questa pratica, ormai formalizzata, si ponga l’obiettivo di tendere a dare un “vantaggio” a chi e che cosa (attività, laboratori, discipline, alunni) viene valutato: si tratta di verificare eventuali carenze per offrire opportunità di insegnamento/apprendimento adeguate al singolo allievo in ultima analisi.

Il far finta di “essere sani” e dire che tutto va bene non giova a nessuno. È più inquietante dire che non ci sono problemi che evidenziare i nodi critici. Bisogna “rendersi conto” di “dover rendere conto” che l’individuazione delle aree di problematicità così come lo scarto tra quanto progettato e quanto realizzato, devono diventare il punto di partenza per un nuovo processo di valutazione nell’ottica di una sempre maggiore qualità del sistema scuola. Questa è la ciclicità e la continuità a cui auspichiamo.

La storia della valutazione scolastica nella scuola italiana

Raccontare in sintesi la storia della valutazione scolastica nella scuola italiana significa ripercorrere l’intera parabola degli eventi sabaudi, risorgimentali e costituzionali del nostro Paese. Una grande storia illuminata dalla riflessione, teorizzazione e coscienza legislativa che attraverso le parole codificate in norme e la loro scrittura stabile e definitiva definiscono – attraverso un inventario d’archetipi pedagogici – il progetto grandioso della valutazione.

Valutazione: la sua natura e variante linguistica

Deriva dal latino vàlitus, participio passato di valére. «Vălĕo» è un verbo che racchiude una ricca polisemia: se generalmente significa «essere forte, gagliardo, vigoroso, avere forza» ed ancora «godere di buona salute, essere sano», in senso figurato indica «avere potere, essere potente; avere influenza, importanza»; tale verbo accompagnato da un infinito riveste il significato di «essere capace di, avere la forza di, essere in grado di, contribuire a …»; infine nella sua variante giuridica designa «essere valido, avere validità».

In senso etimologico la valutazione è, in breve, il processo mediante il quale si attribuisce valore ad un’azione, ad un evento, ad un oggetto. È un’attività (attraverso la quale singoli e/o gruppi, comunità e/o istituzioni) esprimono un giudizio riguardo ad un fatto rilevante e significativo.

Primo e piccolo sommario della storia della valutazione dal 1848 al 1977

Il percorso che stiamo per intraprendere attraversa una galleria di documenti e leggi (non sempre espliciti); illumina le culture, le mentalità della società (dapprima sabauda, poi risorgimentale ed infine costituzionale) italiana i cui protagonisti (ad es.: Boncompagni, Casati, Coppino, Gentile, F. M. Malfatti et alii) hanno fatto della scuola un’istituzione sociale fondamentale:

«Il mondo della scuola esprime e riproduce le stesse contraddizioni che popolano la società. La scuola è un’istituzione sociale fondamentale»

Il tema della valutazione prende forma, si struttura, attraverso le leggi e i documenti emanati dai vari governi; manifesta e riflette le caratteristiche economico-sociali della società; è manifesto/simbolo dell’impronta filosofico-pedagogica che sta alla base dell’impianto valutativo proponente.

Il nostro excursus parte dalla legge Boncompagni attraversa en plein air il Risorgimento, due guerre mondali, i venti della contestazione per giungere, dapprima, all’epocale e significativa L. 517/1977 ed infine all’odierno D. Lgs. n. 62/2017.

Il 4 marzo 1848 Carlo Alberto concede lo Statuto Albertino. Il Regno di Sardegna si trasforma da Stato assoluto in Stato costituzionale. Contestualmente c’è l’«intuizione intellettuale»  – frutto della rivoluzione francese, del dominio napoleonico e dello slancio del Romanticismo –  per cui lo Stato inizia ad intraprendere un processo di educazione delle classi popolari e di formazione al lavoro. Il mondo della scuola, i processi dell’istruzione entrano a far parte della linee e competenze politiche dello Stato sabaudo.

Il 4 ottobre 1848 viene promulgata la legge Boncompagni (Legge n. 818), una legge di stampo illuministico, che prende a modello le scuole militari dei più avanzati Paesi europei, fucine della classe dirigente. L’obiettivo del pedagogista ante-litteram Carlo Boncompagni di Mombello (1804-1880) è quello di istituire una scuola di Stato, in grado di sostituire la scuola dei gesuiti. A partire dalla legge Boncompagni, il Regno di Sardegna entra in modo istituzionale nel settore educativo.

Il 30 novembre 1847 il re Carlo Alberto istituisce il Ministero dell’Istruzione pubblica e chiamava a presiederlo Carlo Boncompagni di Mombello.

Nell’arco decennale 1848-1859 nasce il sistema scolastico prima sabaudo e poi dell’Italia unita (17 marzo 1861).

La legge Casati del 13 novembre 1859 (n. 3725) ri-definisce l’assetto scolastico anche perché in quell’anno al regno di Sardegna fu annessa la Lombardia. Sull’impianto amministrativo, organizzativo e legislativo illuministicamente tratteggiato dalla legge Boncompagni si ridefiniscono alcune norme che consentono la nascita, l’affermarsi della scuola italiana così com’è tutt’oggi strutturata.

La(e) competenza(e) dello Stato in materia scolastica comporta un salto di qualità: l’apparato statate adesso si riserva di controllare, verificare, rendicontare i momenti e i tempi del processo di apprendimento e dell’insegnamento. Tali processi – agli occhi della classe liberale sabauda – si trasformano in processi amministrativi, burocratici da definire, appunto, da valutare.

Nei decenni che trascorrono dalla legge Casati – la Magna Charta del nostro sistema di istruzione – alla legge Coppino (1877) il «maestro» diventa un funzionario, un impiegato dello Stato.

L’«istruzione» diventa sempre più una competenza proprio dello Stato, un servizio che lo Stato eroga e che per l’appunto assumendo una valenza burocratica essa va valutata, misurata, rendicontata.

Nella Legge Boncompagni non si parla espressamente di sistema di valutazione. Però, in nuce, scorgiamo fra le righe dei primi due articoli della legge una prima e significativa definizione d’una incipiente istruzione di chiaro stampo «statale»: lo Stato prende su di sé il controllo di tutte le scuole e tutti i processi di istruzione. Ed ancora notevole è l’esplicito richiamo ai «primi elementi dell’aritmetica, i principii della lingua italiana, […] i primi elementi della     geometria, delle scienze naturali, della storia e della geografia» dichiarati nell’art. 4 che costituisce una pietra miliare nella costruzione del sistema della valutazione italiana.

Costruzione che, solo dopo tre anni circa, si rivela chiaramente, di più, cartesianamente nella Circolare del Consiglio Generale ed Ispettorato Generale delle Scuole Elementari e di Metodo del Regno ai Signori Intendenti, R. Provveditori, ed Ispettori delle Scuole Elementari – Cataloghi per le Scuole Elementari (Torino, febbraio 1851):

Il Consiglio Generale, dopo aver esaminato i quadri proposti da alcuni fra i più periti Ispettori, non che da Maestri distinti, ha deliberato di prescrivere per tutte le scuole elementari l’adozione di un solo catalogo qui unito, il quale, mentre risparmierà al Maestro tempo, fatica, lo metterà in grado di rendere conto giornalmente, settimanalmente, mensilmente dello studio, della disciplina e del profitto degli allievi.

Per la prima volta nella storia della valutazione scolastica italiana sono espresse solennemente iscritte in una Circolare tre caratteristiche «studio, disciplina e […] profitto degli allievi» che resteranno così fino alla L. 517/1977 ma nell’intima sostanza delle cose fino ad oggi.

Straordinariamente in questo Catalogo (quello che oggi chiamiamo «Registro») ogni azione, lavoro, attenzione, osservazione è minuziosamente definita e costruita nell’intelaiatura dei cataloghi:

Questo catalogo è diviso in 22 colonne, in ragione dei giorni di scuola, che possono essere in ciascun mese; ogni colonna è suddivisa in 4 colonnette, di cui le prime due servono ad indicare il voto delle lezioni del mattino e della sera, la terza indica il voto sul lavoro o sui lavori in iscritto della giornata, la quarta il voto sulla disciplina

Il voto sulle lezioni, come quello sui lavori e sulla disciplina, si segna coi numeri progressivi dall’1 al 10:  così 0 esprime niente; 1 pessimamente; 2 assai male; 3 male; 4 assai poco; 5 poco; 6 mediocremente; 7  quasi bene; 8 bene; 9 quasi ottimamente; 10 ottimamente

Nell’esprimere questo voto sui lavori in scritto il Maestro terrà conto del numero e della qualità degli errori, della maggior o minor intelligenza spiegata in essi dagli alunni, come per il voto sulla disciplina terrà conto della loro attenzione, della loro diligenza, del loro contegno in iscuola e della loro condotta fuori di essa

Nel medesimo Catalogo cinque colonnette intermedie conterranno la media dei voti della settimana sul profitto e sulla condotta; la prima da ricavarsi dai voti delle prime 3 colonne; la seconda da quelli della 4a. Un’ultima colonna ugualmente suddivisa contiene il voto mensile che si ricaverà dalla media dei voti settimanali. Per ottenere questa media settimanale e mensile si addizionano i voti delle varie colonnette relative;  se ne divide la somma per il numero delle colonne stesse ed il quoziente sarà la media ricevuta. Questo quoziente non può essere superiore al 10, e così se inferiore a 6 esprimerà un voto sfavorevole, il 6 sufficiente, e il 10 ottimo […]

Gli ispettori dovranno inculcare a tutti i maestri l’obbligo di tenere un simile Catalogo e per dar loro in proposito le occorrenti spiegazioni e direzioni.

Gli intendenti e provveditori principali dovranno invitare le amministrazioni comunali e i maestri elementari a provvedersi i suddetti cataloghi presso la Stamperia Reale, la quale si è incaricata della stampa e della vendita di essi a modicissimo prezzo.

Tra i 380 artt. e 9 tabelle della Legge Casati, manifesto ed espressione delle elités liberali, è nell’art. 326 che si delinea implicitamente il sistema della valutazione mentre con autorità viene ri-definito l’obbligo di istruire i figli da parte dei «padri»:

Sono invece tuttora vigenti, per quanto riguarda la valutazione delle discipline nella scuola secondaria, le norme emanate con Regio Decreto n. 653/1925 Regolamento sugli alunni, gli esami e le tasse negli istituti medi di istruzione integrato e modificato dal R. D. n. 2049/1929 Modificazioni al regolamento sugli esami per gli istituti medi di istruzione, circa la suddivisione dell’anno scolastico.

Art. 79 – Il voto di profitto nei primi due trimestri si assegna separatamente per ogni prova nelle materie a più prove e per ogni singolo insegnamento nelle materie comprendenti più insegnamenti.
Nello scrutinio dell’ultimo periodo delle lezioni il voto è unico per ciascuna delle materie […]. I voti si assegnano, su proposta dei singoli professori, in base ad un giudizio brevemente motivato desunto da un congruo numero di interrogazioni e di esercizi scritti, grafici o pratici fatti in casa o a scuola, corretti e classificati durante il trimestre o durante l’ultimo periodo delle lezioni.
Se non siavi dissenso, i voti in tal modo proposti s’intendono approvati; altrimenti le deliberazioni sono adottate a maggioranza, e, in caso di parità, prevale il voto del presidente. (*)(*) Nota: modificato dall’art.2, cc. 3 e 4, del RD 21 novembre 1929, n. 2049, Modificazioni al regolamento sugli esami per gli istituti medi di istruzione, circa la suddivisione dell’anno scolastico

Come saggiamente – evidenzia il dirigente scolastico Giuseppe Mariani – già nel 1925 il legislatore rimarca l’obbligo della collegialità nell’attribuzione dei voti.

Con gli articoli 33 e 34 della Costituzione si mette in discussione, in modo indiretto, il modello di valutazione scolastica tradizionale. Con l’enunciazione di tali norme si assiste ad una svolta attraverso la quale si ridisegna il nuovo ruolo e volto della scuola italiana nella società democratica: esempio di ri-costruzione seguita all’orrore delle Leggi razziali (1938), ai genocidi e alle distruzioni.

Con la stagione del Sessantotto il tema dell’istruzione divampa nel dibattito politico. In Italia, così come in altre nazioni europee e negli Stati Uniti d’America, le agitazioni studentesche esprimono il disagio della prima generazione frutto della scuola di massa facendo emergere i suoi limiti, le sue contraddizioni. Nella Lettera a una professoressa (1967) don Lorenzo Milani matura il potere delle parole e del principio dell’uguaglianza sancito dalla Costituzione, lo fa proprio e lo attua sovversivamente in prima persona nella Scuola di Barbiana ove propone un’educazione linguistica democratica rivolta a tutti i cittadini.

Il 4 agosto di quarant’anni fa nel 1977 veniva emanata la Legge 517: una Legge che non solo modificava l’assetto organizzativo della scuola italiana (abolendo, ad es. le classi speciali e inserendo nelle classi comuni gli alunni disabili), ma modificava significativamente (attraverso l’art. 7) le norme sulla valutazione degli alunni ed eliminava, ad es., gli esami di riparazione. Introduceva, inoltre, la legge 517 l’avvio della programmazione didattica  collegiale e  indicazioni specifiche per il funzionamento del Collegio  docenti, dei consigli di classe, prevedendo la scansione bimestrale della verifica, la compilazione della scheda personale dell’alunno, le osservazioni sistematiche, la valutazione trimestrale, da comunicare ai genitori, (art. 4).

Valutare per conoscere e migliorare

La valutazione ha oggi una funzione prevalentemente formativa ed orientativa in linea con la tradizione pedagogica della nostra scuola fondata sulla centralità della persona che apprende.

L’attività valutativa, difatti, precede, accompagna e segue i percorsi curricolari documentandone gli esiti per stimolarne il miglioramento continuo. E’, dunque, uno strumento prezioso per ogni discente in quanto fornisce indicazioni relative ai punti di forza e di debolezza del suo apprendimento, evidenziando i progressi compiuti e i traguardi da raggiungere. Allo stesso tempo, diviene mezzo di promozione personale dello studente di cui alimenta la fiducia nelle proprie capacità, la possibilità concreta di autovalutarsi (G. Cerini) ed il senso di responsabilità  rispetto al processo educativo che è alla base della sua crescita culturale.

Il nuovo approccio alla valutazione, tuttavia, invita a considerare insieme ai prodotti, cioè le prestazioni degli studenti, i processi di  insegnamento-apprendimento che sono alla loro base e che dipendono anche da altri fattori legati al contesto educativo. Qui entrano in gioco le caratteristiche della comunità scolastica, le azioni della didattica e le misure organizzativo-gestionali di una scuola. Esse svolgono tutte un ruolo fondamentale ai fini della efficienza e della qualità complessiva dei servizi offerti di cui la valutazione degli apprendimenti può rappresentare, nell’ambito di una  visione sistemica dell’ educazione, un criterio-chiave di giudizio oltre che il punto di partenza per progetti di miglioramento.

La normativa di riferimento

Le modalità per valutare gli apprendimenti sono, da tempo, al centro del dibattito educativo nel nostro Paese e oggetto di sperimentazioni che hanno condotto, soprattutto nel primo ciclo di istruzione, all’adozione di criteri e procedure diversi. Dopo i voti in decimi, le lettere alfabetiche e i giudizi sintetici si è ritornati, con la L. 169/2008 e il DPR 122/2009, alla votazione decimale.

Di recente, il D.Lgs. n. 62/17, attuativo della legge n.107/15, ha introdotto importanti novità nella valutazione e nella certificazione delle competenze nel I ciclo di istruzione. Tali disposizioni sono entrate in vigore nel corrente anno scolastico insieme alle nuove modalità dell’esame conclusivo nella Scuola Secondaria di I grado (D.M. 741/2017) cui seguirà, a partire dall’ a. s. 2018/19, il nuovo Esame di Stato del secondo ciclo di istruzione.  Con il D.M. 742/17 (e le relative Linee Guida, C.M. 312/18) sono stati adottati modelli nazionali di certificazione delle competenze al termine della Scuola Primaria e Secondaria di I grado mentre la Nota MIUR n. 1865/17 ha fornito indicazioni operative in merito alla valutazione e all’ esame finale nel primo ciclo.

                                              PRIMO CICLO DI ISTRUZIONE

La valutazione e l’ ammissione

Per effetto del D.Lgs. 62/17, a partire da quest’anno scolastico, nelle scuole del primo ciclo la valutazione degli apprendimenti aggiunge ai voti in decimi la descrizione analitica dei processi formativi e dei livelli  di acquisizione conseguiti dall’ alunno. Con tali modalità, i docenti contitolari della classe (Scuola Primaria) o il Consiglio di classe (Scuola Secondaria di I grado) valutano tutte le discipline di studio previste dalle Indicazioni Nazionali per il I ciclo mentre al comportamento  essi attribuiscono collegialmente un giudizio sintetico, non più un voto in decimi, che si riferisce allo sviluppo delle competenze di “Cittadinanza e Costituzione”. Nella Scuola Secondaria di I grado, si richiamano, a tale proposito, anche lo Statuto delle studentesse e degli studenti (D.P.R. 249/98), il Patto educativo di corresponsabilità (D.P.R. 235/2007) e i Regolamenti approvati dall’ istituto. Le competenze di “Cittadinanza e Costituzione”, trasversali a tutti gli insegnamenti, ma valutate nell’ambito delle discipline dell’area storico-geografica (L.169/08), diventano, poi, oggetto di colloquio all’esame conclusivo.

Nulla cambia per i docenti di sostegno i quali partecipano alla valutazione di tutti gli alunni della classe, esprimendosi congiuntamente se sono assegnati in due ad uno stesso discente. I docenti che svolgono attività di ampliamento dell’offerta formativa, come in passato, non partecipano allo scrutinio, ma forniscono elementi conoscitivi sull’ interesse manifestato e sui livelli di apprendimento conseguiti dagli studenti.

Il D. Lgs 62/17 innova anche i requisiti di ammissione alla classe successiva. Nella Scuola Primaria, ciò è possibile in presenza di livelli di apprendimento “parzialmente raggiunti o in via di prima acquisizione”. Si può, tuttavia, non essere ammessi in casi eccezionali comprovati da specifica motivazione e con decisione unanime dei docenti di classe. Nella Scuola Secondaria di I grado, l’ammissione alla classe successiva o all’esame finale è prevista anche con “parziale o mancata acquisizione dei livelli di apprendimento in una o più discipline”, dunque con voti inferiori a sei, ma in questi casi, come nella Primaria, le scuole sono tenute ad attivare, nell’ambito della loro autonomia didattica ed organizzativa, strategie di intervento ed azioni di miglioramento. Nella Secondaria, la validità dell’anno scolastico resta legata ad una frequenza di almeno tre quarti del monte ore annuale, salvo deroghe in via eccezionale. Inoltre, la non ammissione alla classe successiva o all’ esame conclusivo richiede una valida motivazione deliberata dal Consiglio di classe.

Le prove INVALSI   

Le rilevazioni nazionali dell’apprendimento si effettuano in italiano e matematica nella classe seconda della Scuola Primaria cui si aggiunge, da quest’anno, la prova di inglese in quinta. Nella Scuola Secondaria di I grado, tali prove escono dall’Esame di Stato e sono svolte, nella classe terza, nel corso dell’anno scolastico; esse, però, diventano requisito necessario di ammissione, pur non influendo più sul voto finale. Come nella Primaria, alle prove di italiano e matematica se ne aggiunge una di inglese che valuta le abilità di comprensione e uso della lingua, in linea con il Quadro Comune Europeo di riferimento per le lingue del Consiglio d’Europa (QCER). Gli esiti delle prove sono restituiti alle famiglie con un giudizio sui livelli conseguiti riportato nella Certificazione delle competenze.

Le prove standardizzate dell’Invalsi contribuiscono anche al processo di autovalutazione delle scuole.

L’ esame di Stato al termine della Scuola Secondaria di primo grado

Novità si rinvengono anche nell’esame conclusivo del primo ciclo di istruzione. Le prove scritte, di cui sono precisate caratteristiche e tipologie, si riducono di numero. Restano in italiano e matematica mentre per le lingue straniere ci sarà un’unica rilevazione, valutabile con un solo voto, anche se articolata in due sezioni distinte. La prova Invalsi viene eliminata dall’esame, pur costituendo requisito obbligatorio di ammissione.

Cambia anche la procedura che determina il voto finale dell’esame poiché acquista un peso maggiore il percorso scolastico triennale compiuto dall’alunno e declinato nel voto di ammissione (50% sulla valutazione complessiva). Il colloquio orale, poi, che valuta le conoscenze e le abilità dello studente riferite al suo Profilo finale secondo le Indicazioni Nazionali, dovrà accertare anche le competenze di cittadinanza maturate dallo studente. Il presidente della Commissione d’esame, infine, diviene interno e le sue funzioni sono svolte nelle scuole statali dal dirigente scolastico (o da un docente collaboratore), nelle paritarie dal coordinatore delle attività educative.

La certificazione delle competenze

La certificazione delle competenze è rilasciata, su modelli nazionali recentemente adottati (D.M. 742/17, C. M. 312 /18 – Linee Guida), al termine della Scuola Primaria e di quella Secondaria di primo grado agli alunni che superano l’esame finale.  Le nuove disposizioni fanno seguito ad una sperimentazione triennale condotta in scuole del I ciclo sull’ adozione di modelli di attestazione in linea con le Indicazioni Nazionali e con le competenze chiave europee di cui alla Raccomandazione del 2006.

Il documento, redatto durante lo scrutinio finale dai docenti della classe o dal Consiglio di classe, viene consegnato alle famiglie e, in copia, alla istituzione scolastica o formativa del ciclo successivo. Esso descrive il progressivo sviluppo dei livelli di competenza, sostenendo e orientando gli studenti verso il prosieguo degli studi. Relativamente agli alunni con disabilità certificata, il modello nazionale può essere accompagnato da una nota esplicativa che rapporti il significato degli enunciati relativi alle competenze da accertare agli obiettivi specifici del Piano Educativo Individualizzato (PEI).

Alunni con disabilità certificata e con disturbi specifici di apprendimento

La disciplina contenuta nel D.Lgs 62/17 ripropone, rispetto agli alunni in oggetto, quanto già sostanzialmente vigente. La valutazione degli alunni con disabilità certificata (L. 104/1992) e la loro ammissione alla classe successiva o all’esame conclusivo sono effettuate tenendo conto del Piano Educativo Individualizzato (PEI). La loro partecipazione alle prove Invalsi può prevedere l’adozione di misure compensative o dispensative, ma anche specifici adattamenti della prova ovvero l’esonero. Per l’Esame di Stato, la commissione predispone eventuali prove differenziate con valore equivalente a quelle ordinarie ai fini del conseguimento del diploma finale.  Nel caso in cui l’alunno risulti assente all’esame, fatta salva tale eventualità per gravi e giustificati motivi che prevedono l’attivazione di sessioni suppletive, verrà rilasciato solo un attestato di credito formativo, titolo per l’iscrizione alla Scuola Secondaria di II grado ai soli fini dell’acquisizione di ulteriori crediti formativi.

Per gli alunni con DSA certificati (L.170/2010), la valutazione degli apprendimenti e l’ammissione alla classe successiva o all’esame finale del primo ciclo di istruzione si effettuano in base al Piano didattico personalizzato (PDP). Detti alunni sostengono le prove Invalsi con l’ausilio delle misure previste e possono essere esonerati, dove ne ricorrano le condizioni, dalla prova di lingua inglese. All’esame conclusivo, ci si può avvalere di misure compensative e/o dispensative inclusa l’eventuale differenziazione o dispensa dalla prova di lingua straniera senza conseguenze pregiudizievoli sulla validità del titolo finale.

Nel diploma e nei tabelloni affissi all’ albo della scuola non vengono riportate le modalità di svolgimento e la differenziazione delle prove.

SECONDO CICLO DI ISTRUZIONE

La valutazione e l’ammissione

L’attività valutativa nella Scuola Secondaria di secondo grado è ancora regolata dal D.P.R. n.122/2009. La valutazione periodica e finale degli apprendimenti e del comportamento degli alunni è effettuata dal Consiglio di classe e si esprime con voti in decimi. Si è ammessi alla classe successiva, oltre che con una frequenza di almeno tre quarti dell’orario annuale, con una votazione non inferiore a sei in ciascuna disciplina e nel comportamento. In base alla media dei voti si attribuiscono agli alunni del triennio dei crediti scolastici (fino ad un massimo di 25 punti che diventeranno 40 a decorrere dal prossimo anno scolastico, in base alla nuova normativa).

Nello scrutinio finale, il Consiglio di classe sospende il giudizio degli alunni che non hanno conseguito la sufficienza in una o più discipline (cd. debito formativo), per procedere, entro la fine del medesimo anno scolastico e comunque non oltre l’inizio delle lezioni dell’anno successivo, all’accertamento del recupero delle carenze rilevate e quindi alla formulazione del giudizio finale.

Le prove INVALSI

Le prove nazionali standardizzate si effettueranno, nella Scuola Secondaria di II grado, a decorrere dall’anno scolastico 2018/19 nella classe quinta per valutare le competenze di italiano, matematica e inglese (abilità di comprensione e uso della lingua). Lo svolgimento, in modalità computer-based, sarà requisito di ammissione all’ Esame di Stato, anche se il loro esito non confluirà nel voto finale.

Il nuovo Esame di Stato

Via libera, nel prossimo anno scolastico, anche al nuovo Esame di Stato conclusivo del II ciclo di istruzione a norma del D.Lgs n. 62/17. Per esservi ammessi, resteranno in vigore i requisiti previsti dalla normativa vigente consistenti nella frequenza di almeno tre quarti del monte ore obbligatorio, una votazione non inferiore a sei decimi in ciascuna disciplina e nel comportamento e lo svolgimento delle attività di Alternanza Scuola-Lavoro (L. 107/15). In aggiunta, sarà obbligatoria la partecipazione alle prove nazionali dell’INVALSI.

Le novità relative all’esame riguarderanno soprattutto l’assetto organizzativo. Due e non più tre le prove scritte, la prima sulla padronanza della lingua italiana, l’altra su una materia di indirizzo. Il colloquio continuerà ad accerterà le conoscenze e le competenze raggiunte dallo studente nelle discipline del corso di studi frequentato e nell’ambito delle attività relative a “Cittadinanza e Costituzione”, ma, in aggiunta, si richiederà, già a partire da quest’anno scolastico, la rendicontazione delle esperienze maturate dagli studenti nei percorsi di ASL.

L’esito dell’esame resta espresso in centesimi, risultato della somma dei punteggi delle prove (scritte ed orale) e del credito scolastico il cui peso complessivo verrà incrementato incidendo fino a 40 punti in luogo degli attuali 25. Un’ ulteriore novità si registra nel valore che sarà attribuito alle prove (20 punti a ciascuna, al posto degli attuali 15 e 30, corrisposti rispettivamente ad ogni prova scritta e al colloquio). La votazione finale sarà sempre integrata di 5 punti, ma con requisiti modificati (credito di almeno 30 punti e risultato delle prove pari ad un punteggio minimo di 50). Nulla cambia nel voto minimo per superare l’esame, che resta di sessanta centesimi, e nella composizione della commissione che rimane costituita da un presidente esterno, tre commissari interni e tre esterni.

Infine, al diploma finale sarà allegato il curriculum dello studente contenente tutte le informazioni relative al suo percorso scolastico curricolare ed extracurricolare. Esso verrà associato ad un’identità digitale dell’alunno ovvero ad un profilo nel Portale unico istituito dalla L. 107/15, co. 136.

Alunni con disabilità certificata e con disturbi specifici di apprendimento

Gli alunni con disabilità certificata parteciperanno alle prove Invalsi avvalendosi di misure compensative e/o dispensative o di adattamenti in linea con il Piano educativo individualizzato (PEI). Per quanto riguarda l’Esame di Stato, il Consiglio di classe stabilisce la tipologia delle prove che la Commissione predispone anche avvalendosi del supporto dei docenti che hanno seguito lo studente nel percorso di studi. Se le prove hanno valore equipollente a quelle ordinarie, l’alunno consegue il diploma finale dove non sono menzionate le prove differenziate; in caso contrario o se lo studente non partecipi all’ esame o non sostenga una o più prove, è previsto il rilascio di un attestato di credito formativo. Il riferimento alle prove differenziate è indicato solo nell’attestazione mentre il curriculum dello studente è previsto anche per i candidati con disabilità.

Agli alunni con DSA è consentito, durante lo svolgimento delle prove Invalsi, l’uso di strumenti compensativi e dispensativi coerenti con il PDP. Se sono esonerati dalla prova scritta di lingua straniera o dal relativo insegnamento, essi non sostengono la prova nazionale di lingua inglese. All’Esame di Stato, possono avvalersi di tempi più lunghi e di misure compensativo-dispensative senza che ne sia pregiudicata la validità delle prove.  Di tali misure, inoltre, non viene fatta menzione nel diploma finale. Nel caso in cui lo studente sostenga prove non equipollenti, gli sarà rilasciato solo un attestato di credito formativo che contiene il riferimento alle prove differenziate.

Valutare i BES… le novità che non ci sono

“… non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali”
(Don Milani “Lettera ad una professoressa”)

L’argomento della valutazione degli alunni con disabilità, DSA e altri BES  è uno dei più caldi nelle nostre scuole, spesso occasione di contenzioso con le famiglie.

La recente direttiva sugli alunni con bisogni educativi speciali estende in modo rilevante il diritto alla personalizzazione all’apprendimento, finora tutelato solo per gli alunni con disabilità e per gli alunni con difficoltà specifiche di apprendimento (DSA). Tale estensione apre un insieme di interrogativi in merito alle azioni diagnostiche, progettuali, didattiche e valutative che la scuola è chiamata a mettere in campo, oltretutto in una dimensione collegiale che assume come soggetto chiave il consiglio di classe o i team docenti; più in generale la questione principale riguarda proprio la presa in carico da parte della scuola di bisogni educativi individuali e differenziati, a fronte di un approccio tradizionalmente uniforme e standardizzato.

Per quanto riguarda specificamente il momento valutativo si registra un superamento del quadro delineato nel Regolamento del 2009, proprio in ragione dell’estensione del principio di personalizzazione ad un insieme di tipologie molto ampio (i disturbi evolutivi specifici e, ancor più lo svantaggio socioeconomico, linguistico, culturale.

Anche per la gestione del momento valutativo il passaggio chiave risulta il  Piano Didattico Personalizzato (PDP), nel quale dovrebbe trovare spazio anche l’esplicitazione dei criteri e delle modalità di valutazione, oltre che la definizione di obiettivi formativi calibrati sui bisogni degli allievi. Ciò significa non solo richiamare eventuali misure dispensative o compensative, ma anche precisare ambiti disciplinari o educativi nei quali le modalità valutative saranno diversificate, definire criteri di valutazione personalizzati, prevedere prove e strumenti di rilevazione differenziati.

Rimangono aperti molti interrogativi in merito agli Esami di Stato e alle prove nazionali di rilevazione degli apprendimenti, in quanto richiamano in modo più diretto la funzione certificativa della valutazione; interrogativi che dovranno trovare risposte sul piano normativo e del sistema nazionale di valutazione. Il segnale forte e inequivocabile rimane quello lanciato nei confronti della valutazione quotidianamente svolta in classe dai docenti, che dovrebbe assolvere ad una funzione eminentemente formativa: un segnale che richiede un radicale ripensamento delle modalità valutative, riguardante non solo gli alunni BES ma la totalità degli alunni.

Sono parecchi i punti della normativa esistente sulla valutazione degli alunni con esigenze particolari che vengono spesso equivocati e che andavano pertanto definiti meglio, ma di cui il nuovo decreto non parla. Gravissimo a mio parere è il silenzio sugli alunni con Bisogni Educativi Speciali individuati autonomamente dalle scuole, per i quali si sono aperte negli ultimi anni alcune modeste possibilità di personalizzazione anche nella valutazione certificativa, definite però tutte da semplici Note od Ordinanze Ministeriali. Avere inserito finalmente queste tutele – per altro molto modeste, come detto -, in una legge ordinaria avrebbe dato un minimo di dignità formale a tali procedure, diffondendo il messaggio che la scuola inclusiva, di cui tanto il Ministero si riempie la bocca, non può valere solo per quelli che portano a scuola un certificato medico redatto nelle dovute maniere. Il fatto che il Decreto non ne parli rende purtroppo ancora più debole la posizione degli alunni senza certificazione di disabilità o DSA.

Ci si aspettava inoltre un serio chiarimento normativo sulla questione della validità del titolo di studio alla secondaria, considerando anche che praticamente tutte le procedure in uso si basano ancora su un’Ordinanza Ministeriale di sedici anni fa, la n. 90 del 2001 per l’esattezza, per vari aspetti superata (pensiamo all’abolizione degli esami di qualifica) e interpretata in modo scandalosamente disomogeneo a livello nazionale, con zone d’Italia in cui tutti gli alunni con disabilità o quasi conseguono il diploma, altre in cui tutti o quasi ricevono l’attestato.

Su questo punto non solo non arrivano chiarimenti, ma, come dicevo, si fa anche nuova confusione, modificando il lessico in modo inutile oltre che arbitrario. Servirebbe quindi con urgenza una nuova Ordinanza su questi argomenti, al posto della vecchia 90 del 2001, ma visti i precedenti, c’è da “toccare ferro” e forse conviene almeno aspettare la nomina del nuovo Osservatorio sull’Inclusione.

“La valutazione partecipata” nella scuola dell’Infanzia

La valutazione nella scuola dell’Infanzia risponde ad una funzione di carattere formativo. Come esplicitato dalle Indicazioni Nazionali 2012 essa non si limita a verificare gli esiti del processo di apprendimento ma traccia il profilo di crescita di ogni singolo bambino incoraggiando lo sviluppo di tutte le sue potenzialità.

La valutazione nella scuola dell’Infanzia deve  diventare una operazione condivisa che ci può aiutare a comprendere il significato della complessa sfida che “tutti” siamo chiamati a condividere: quello di crescere e apprendere, educare e capire.

La valutazione così concepita esige di essere partecipata. Lontana dall’essere un “giudizio”, può essere uno specchio incoraggiante, un’occasione per riconoscersi e per rafforzare le possibilità di continuare con fiducia verso nuovi traguardi. La condivisione è fondamentale prima di tutto tra docenti, perché solo l’analisi delle informazioni, il confronto e la comparazione tra punti di vista, la riflessione comune possono aiutarci a correggere la soggettività delle interpretazioni e garantire un corretta valutazione. La famiglia è l’altro importantissimo interlocutore che può offrirci  informazioni e riflessioni sia all’ingresso che in itinere sul proprio figlio e che ha diritto di conoscere tutto ciò che sappiamo del bambino. Infine dobbiamo confrontarci e dialogare con i colleghi della scuola primaria perché il bambino possa affrontare serenamente il passaggio nella nuova scuola.

Nella scuola dell’infanzia dell’I.C. “Alcmeone” di Crotone si è sperimentato un documento di valutazione “partecipato” co-costruito a più mani da insegnanti e genitori… capace di coniugare i diversi punti di vista e restituire una immagine più autentica dell’individuo unico e speciale che è ogni bambino.

Con l’inizio della sperimentazione, per ogni singolo alunno è stato adottato il Diario scuola-famiglia, ossia un quaderno con la copertina colorata sul quale le insegnanti annotano le osservazioni sistematiche fondamentali per la compilazione delle griglie di competenza da parte del  team docente.

Il Diario scuola-famiglia, che ha anche lo scopo di informare le famiglie e coinvolgerle nel percorso educativo, presenta  per il I° livello (3anni) una prima parte,  dal titolo “il mio diario scolastico” contenente dati anagrafici dell’alunno, nomi delle insegnanti e una pagina riservata ai genitori:  “Vi presento il mio bambino”, all’interno della quale essi dovranno raccontare il loro bambino, descrivendo esperienze pregresse, carattere, abitudini alimentari ed eventuali forme di allergie.

La seconda parte, suddivisa in 3 trimestri, è così strutturata:

  •  1° trimestre dal titolo “SI PARTE…”.(osservazioni delle insegnanti, griglie delle competenze);
  • 2° trimestre dal titolo “STRADA FACENDO…” (osservazioni delle insegnanti, griglie delle competenze, e “La scuola vista con gli occhi del mio bambino”, (preziosissime informazioni e riflessioni dei genitori sui vissuti del bambino)
  • 3° trimestre dal titolo “ARRIVEDERCI AL PROSSIMO ANNO…”, (griglie delle competenze, giudizio finale).

Per il II° (4 anni) e III° livello (5 anni) il diario è così diviso:

intestazione

  • 1° trimestre dal titolo “SI RICOMINCIA…” (osservazioni delle insegnanti e griglia delle competenze);
  • 2° trimestre dal titolo “CONTINUA L’AVVENTURA…” (osservazioni delle insegnanti e griglie delle competenze), e riflessioni a cura dei genitori “Il mio bambino racconta”;
  • 3° trimestre dal titolo “ARRIVEDERCI AL PROSSIMO ANNO” (per i 4 anni), “E’ STATO BELLO CRESCERE INSIEME” (per i 5 anni),  (griglie delle competenze, giudizio finale).

Il documento accompagna il bambino lungo l’avventura meravigliosa  che è la scuola dell’infanzia coinvolgendolo gradualmente nella costruzione e nel dialogo riflessivo, aiutandolo a prendere cosapevolezza del proprio percorso di crescita  e delle potenzialità personali.

IO NON speriamo che me la cavo

Autovalutazione e centralità dello studente

Parlare di autovalutazione nell’ambito della valutazione degli apprendimenti vuol dire,  come ci ricordano le Indicazioni Nazionali 2012 e successivamente quelle del febbraio 2018,  porre lo studente al centro del suo processo di crescita globale: “lo studente è posto al centro dell’azione educativa in tutti i suoi aspetti: cognitivi, affettivi, relazionali, corporei, estetici, etici, spirituali, religiosi. In questa prospettiva, i docenti dovranno pensare e realizzare i loro progetti educativi e didattici non per individui astratti, ma per persone che vivono qui e ora, che sollevano precise domande esistenziali, che vanno alla ricerca di orizzonti di significato”.

Di solito però, nell’ambito della valutazione, lo studente è semplicemente oggetto di valutazione da parte degli insegnanti ed è estraneo al momento valutativo.

Eppure la valutazione formativa che accompagna i processi di insegnamento/apprendimento nel loro svolgersi, offre la possibilità immediata di supportare  gli allievi nel superamento delle difficoltà, in caso di insuccesso induce infatti il docente ad un’autointerrogazione  sul proprio operato, sulla propria prassi metodologica-didattica e sulla propria modalità relazionale, al fine di migliorare ed auto-ridefinire il processo di insegnamento/apprendimento. Ciò vuol dire che, la responsabilità dell’eventuale raggiungimento dei risultati dell’apprendimento non è ascrivibile soltanto all’allievo – oggetto di valutazione – ma anche al docente – soggetto che valuta –. Si tratta di un’assunzione di responsabilità docente nella parte che gli compete, ossia l’insegnamento, attraverso la pratica metodologico-didattica.

Questa responsabilità docente è una vera e propria autovalutazione,  intesa infatti come occasione di riflessione, automonitoraggio e meta cognizione;  utile al docente e non meno necessaria ed utile allo studente per sviluppare un pensiero critico, sul suo processo di apprendimento.

  • Come sto procedendo?
  • Dove sto andando?
  • Come posso fare per raggiungere l’obiettivo prefissato?
  • Come posso  superare le difficoltà?
  • Quali obiettivi ho già raggiunto?
  • In cosa sono bravo? Ed in cosa devo migliorare?

Con l’autovalutazione i docenti hanno l’opportunità di educare gli alunni alla coscienza di sé come individui che apprendono, favorendo l’abilità di auto-valutarsi e quindi di individuare le proprie potenzialità ed i propri limiti, sollecitandoli alla motivazione intrinseca, all’impegno cognitivo e all’apprendimento e promuovendo lo sviluppo di consapevolezza, di senso di responsabilità, di autonomia e di autoregolazione. Così facendo l’oggetto di valutazione diventa il soggetto che partecipa al momento valutativo ed è corresponsabile dei risultati.

Strumenti quali il diario di bordo, le autobiografie, i questionari di auto percezione, i giudizi più o meno strutturati sulle proprie prestazioni e sulla loro adeguatezza, in rapporto ai compiti richiesti, sono tra le forme auto-valutative più diffuse  in ambito scolastico.

Si tratta di dispositivi finalizzati a raccogliere e documentare il punto di vista del soggetto sulla propria esperienza di apprendimento e sui risultati raggiunti e possono diventare concrete opportunità per lo studente di rielaborazione del proprio percorso apprenditivo e per accrescere la  consapevolezza su di esso e su di sé.”

Il concetto d’autovalutazione è stato usato per molto tempo all’interno del sistema educativo. Tuttavia, è sempre più usato in relazione alla valutazione e all’apprendimento, in quanto consente di creare un insegnamento orientato ad una partecipazione più attiva dell’allievo.  Secondo David Boud, la ricerca che si occupa d’autovalutazione si può dividere in quantitativa, qualitativa e concettuale Tra queste, la ricerca di tipo qualitativo sottolinea la necessità dell’introduzione della pratica dell’autovalutazione nell’istruzione ed evidenzia l’esigenza di rendere partecipi gli studenti al processo valutativo come nello sviluppo dei criteri da applicare alla valutazione. Sull’argomento M. Castoldi ha affermato che rendere partecipi gli studenti del processo valutativo, a partire dalla comunicazione semplice  e trasparente delle modalità e dei criteri del processo valutativo fino all’elaborazione del giudizio ed all’ occasione di confronto sereno tra i diversi punti di vista, tra il soggetto e gli altri interlocutori: insegnanti, genitori o compagni implica una prima occasione di considerazione della loro soggettività e di riconoscimento del ruolo attivo e della loro centralità.

E così si ritorna al punto di partenza: la centralità dello studente!

Al momento purtroppo, vi sono pochi esempi di autovalutazione che rispecchiano tutte le caratteristiche di una buona pratica scolastica. Esiste dunque  una problematicità da affrontare e superare affinchè l’alunno sia consapevole del proprio processo apprenditivo e mai resti sorpreso dalla valutazione effettuata dal docente.

Valutare e migliorare oggi, essere competenti domani

Valutare ovvero considerare attentamente la complessità

Oggi la valutazione nella scuola è complessa e complessiva in quanto coinvolge gli studenti, le famiglie, i docenti, gli operatori della scuola, il dirigente scolastico, il contesto territoriale, in sintesi l’intera comunità educante. Con l’emanazione del DPR 80/2013 e con la Legge 107/2015 si è solidificato il rapporto autonomia/valutazione teso al miglioramento dell’offerta formativa e dunque al potenziamento dei livelli di apprendimento degli studenti, vero obiettivo generale di ogni istituzione scolastica.

La scuola, nella sua inestricabile complessità, risulta composta da un elevato numero di elementi interagenti mediante regole definite e soggetti vincolati, tutti legati dall’obiettivo di comprendere, analizzare e predire gli scenari futuri dell’istruzione nazionale, non in maniera approssimativa e rudimentale, ma tramite la gestione unitaria e razionale dei cambiamenti in atto.

L’analisi SWOT arriva nella scuola italiana

Cinque anni fa le scuole italiane, sollecitate dall’Unione Europea, sono state chiamate a definire un Rapporto di Autovalutazione (RAV), un report che le ha spinte a scattare fotografie veritiere sullo stato dell’arte della valutazione di sistema. Punto di partenza della nuova esperienza di lavoro e di confronto è stata la definizione di un’analisi SWOT, conosciuta anche come matrice SWOT. E’ uno strumento di pianificazione strategica usato per valutare i punti di forza (Strengths), le debolezze (Weaknesses), le opportunità (Opportunities) e le minacce (Threats) di un progetto o in ogni altra situazione in cui un’organizzazione o un individuo debba svolgere una decisione per il raggiungimento di un obiettivo. L’analisi ha riguardato sia l’ambiente interno del quale si sono evidenziati i punti di forza e di debolezza, che quello esterno alla scuola, del quale sono emerse minacce ed opportunità.

Attraverso tale matrice si è riflettuto probabilmente per la prima volta sulla reale condizione della scuola dell’autonomia e si sono fissati obiettivi di miglioramento da perseguire in una pianificazione strategica mirata, definita Piano di Miglioramento (Pdm).

Idealmente, l’analisi SWOT andrebbe svolta da un cross-functional team o una task force che rappresenta una vasta gamma di prospettive. Nel caso delle scuole si è scelto un team composto da funzioni di staff fortemente informate sui processi scolastici e già motivate a migliorare il sistema scuola, in aggiunta al Nucleo interno di valutazione e ovviamente coordinate dal dirigente scolastico.

Le origini storiche del RAV

Dall’approvazione della Legge 150/2009, ogni settore della pubblica amministrazione si è dotato di un proprio sistema di valutazione, sviluppando una nomenclatura appropriata e specifica, coerente con le caratteristiche del servizio erogato. Il compito dell’Invalsi è stato quello di strutturare un linguaggio ad hoc per la scuola, rispettoso della letteratura e delle esperienze di autovalutazione preesistenti, ma che fosse anche specifico del processo strutturato ormai in atto.

Nel RAV (Rapporto di Auto Valutazione), dunque, sono state fissate le priorità intese come obiettivi generali che la scuola si prefiggeva di realizzare nel lungo periodo attraverso l’azione di miglioramento. E’ ovvio che  le priorità che la scuola si poneva dovevano necessariamente riguardare gli esiti degli studenti, suddivisi in quattro aree (Risultati scolastici, Risultati nelle prove standardizzate nazionali, Competenze chiave e di cittadinanza, Risultati a distanza) specificando quali traguardi si sceglieva di voler conseguire.

Nella definizione dell’obiettivo di processo del Rav, bisognava tener conto dell’individuazione dei punti di forza e dei punti di debolezza definiti, per garantire coerenza e fattibilità al futuro piano, considerando che quelli delineati non erano semplici obiettivi generali ma essenzialmente obiettivi relativi ai processi individuati per la compilazione del Rav e, dunque, fortemente operativi. Insomma la sfida era migliorare i processi per migliorare gli esiti, attraverso la definizione di priorità, obiettivi e traguardi di lungo termine (Triennali).

Obiettivo finale dell’analisi Swot era definire attraverso il RAV un Piano di Miglioramento che partendo da uno stato finale desiderato, ovvero da un obiettivo generale, fosse strumentale al raggiungimento di obiettivi intermedi strategici.

Il RAV nelle scuole risponde a una struttura logica articolabile in più funzioni: funzione analitica (suddivisa in orientativa verso il contesto e valutativa degli esiti e dei processi); funzione documentativa (incentrata sul processo di autovalutazione vero e proprio); funzione operativa (tesa essenzialmente all’individuazione delle priorità).

La scuola individua, quindi, con opportune motivazioni, le priorità o mete che fissa rispetto al processo di valutazione compiuto, alle quali priorità sono connessi i traguardi di lungo periodo o meglio triennali che si intende raggiungere in relazione al miglioramento degli esiti degli studenti e in stretta armonia con il Piano triennale dell’offerta formativa (PTOF).

Il PDM insegna la pianificazione a scuola

Nel diventare sempre più organizzazione complessa, la scuola si prefigura al contempo organizzazione istituzionale che si colloca all’interno di un’area normativa che ne formalizza l’identità e il mandato, professionale per la parte che riguarda i processi di insegnamento/apprendimento e di servizio poiché risponde a precisi bisogni formativi e a una pluralità di soggetti.

Attraverso il PDM (Piano Di Miglioramento) si è voluto avviare un percorso di autovalutazione e miglioramento che non fosse un processo calato dall’alto o dall’esterno, ma costruito insieme a tutti gli attori coinvolti in una ricerca partecipata, in cui ogni soggetto si sentisse il più possibile protagonista del processo di cui faceva parte (Barbier 1977). Gli ambiti di intervento nella scuola sono plurimi e variegati. Partendo dalla complessità del microcosmo scolastico, si possono individuare dei sottosistemi e delle dimensioni che si intrecciano e si influenzano fra loro, quali la dimensione organizzativa e di leadership, la dimensione valutativo/progettuale, la dimensione relazionale/comunicativa e quella pedagogico/didattica. Il Dirigente scolastico in questa pianificazione deve ricoprire vari ruoli, a partire da quello di mentor, attento e presente nel rispondere alle diverse esigenze e problematiche che la scuola potrebbe trovarsi ad affrontare, ma deve fungere anche da coach, che accompagna il Nucleo di Autovalutazione nel riconoscimento e nello sviluppo delle potenzialità della scuola, nella definizione delle priorità e degli obiettivi da raggiungere, costruiti sul sistema di  valutazione/autovalutazione/miglioramento.

Come parte dello sviluppo di strategie e di piani per consentire il raggiungimento dei suoi obiettivi, ogni organizzazione-scuola può utilizzare un processo sistematico e rigoroso noto come pianificazione aziendale. La scuola italiana ha fissato obiettivi, ha valutato mediante analisi Swot il suo ciclo di vita, ha evidenziato le strategie esistenti, ne ha definite di  nuove, ha enucleato i fattori critici di successo, ha attivato i piani di realizzazione in attuazione delle strategie, ha diffuso i risultati del monitoraggio, ha talvolta dovuto modificare i propri obiettivi e strategie, ha sempre messo in stretta relazione traguardi propri e benchmarking europei.

La scuola diventa azienda dei servizi: il ciclo PDCA o ruota di Deming

Punto di partenza metodologico è stato, per tutti gli attori coinvolti nel lungo processo di miglioramento, il ciclo di Deming o ciclo di PDCA, acronimo dall’inglese Plan–Do–Check–Act (in italiano “Pianificare – Fare – Verificare – Agire”), metodo di gestione iterativo in quattro fasi, utilizzato già negli anni Cinquanta per il controllo e il miglioramento continuo dei processi e dei prodotti dell’industria del Giappone.

È un modello studiato per il miglioramento continuo della qualità in un’ottica a lungo raggio. Serve per promuovere una cultura della qualità che è tesa al miglioramento continuo dei processi e all’utilizzo ottimale delle risorse. Questo strumento parte dall’assunto che per il raggiungimento del massimo della qualità sia necessaria la costante interazione tra ricerca, progettazione, test, produzione e vendita. Per migliorare la qualità e soddisfare il cliente, è necessario passare attraverso tutte e quattro le fasi costantemente, tenendo fede a un criterio principale, la qualità. Insomma il ciclo viene ripetuto fino a quando non si raggiunge l’obiettivo finale. Oggi il concetto di far girare costantemente la ruota di Deming per generare miglioramento continuo è esteso a tutte le fasi del management e i quattro stadi della ruota corrispondono a precise attività anche nella scuola italiana.

Nella fase P (Plan) si pianificano obiettivi e processi per raggiungere i risultati attesi; nella D (Do) vi è l’Esecuzione del programma, si eseguono i processi per raccogliere dati e creare grafici; nella C (Check)  appaiono Test e controllo, si raccolgono i risultati e si confrontano con quelli attesi onde verificare eventuali differenze; nella A (Act) parte l’Azione per rendere definitivo e migliorato il processo (estendere quanto testato dapprima in contesti circoscritti all’intera organizzazione); si tratta dunque di azioni correttive sulle differenze significative tra i risultati effettivi e quelli previsti.

Accanto al lavoro interno, svolto dal gruppo del RAV ed in primis dal nucleo interno di valutazione (NIV), sono nate iniziative tese al monitoraggio dell’avanzamento delle azioni di miglioramento attivate nelle singole scuole, grazie al contributo dei nuclei esterni di valutazione (NEV), che a partire dall’anno scolastico 2014-2015 si sono formati presso l’Invalsi onde valutare i processi organizzativi ed educativi intrapresi ed anche i dirigenti e i docenti in essi impegnati. Tale valutazione, pensata in termini di promozione e valorizzazione, ha ulteriormente agevolato il governement del sistema scuola misurando sia il contributo dirigenziale (L. 107/2015 cc. 93-94), attraverso la valutazione della sua direzione unitaria in termini di partecipazione e collaborazione tra le diversi componenti della scuola, che quantificando e qualificando i rapporti tra il contesto sociale e le reti di scuola, a loro volta valutati anche dal Direttore scolastico regionale insieme all’intero nucleo regionale di valutazione cui spetta anche l’eventuale attribuzione ed il riconoscimento di retribuzione di risultato per il dirigente scolastico (Direttiva 36/2016).

Dopo il Rav è risultato indispensabile riallineare il PTOF alle misure di miglioramento e rimodulare l’organizzazione in funzione del miglioramento suggerito dal nucleo esterno, magari facendo corrispondere ai punti di forza le opportunità e trasformando le minacce in opportunità di crescita e di miglioramento, applicando così adeguate strategie di conversione ed un razionale sistema di corrispondenze.

La scuola italiana pubblica il primo bilancio sociale

A conclusione dell’intero cambiamento epocale cui la scuola dell’autonomia è chiamata a rispondere ultimo step risulta, per il corrente anno scolastico, la pubblicazione dei risultati mediante un apposito bilancio sociale. Ne deriva per la scuola la responsabilità sociale (accountability) quale diretta espressione del principio di sussidiarietà orizzontale che essa applica nel momento in cui è chiamata a presentare alla comunità di appartenenza i traguardi raggiunti e direttamente fruibili da tutti i cittadini. Ogni istituzione scolastica, attraverso i processi di raccolta, le analisi e la diffusione dei risultati quantitativi e qualitativi conseguiti dall’organizzazione, dimostra in tal modo di aver massimamente contribuito a definire un bilancio dell’intera società positivo e dunque attivo e di aver migliorato, non solo il complessivo apprendimento degli studenti, ma le generali condizioni di vita dei cittadini facenti parte della medesima comunità di pratica.

Rendicontazione sociale

Gli Istituti scolastici con il riconoscimento dell’autonomia avvenuto con il D.P.R.275/99 e rinforzata dalla L.107/2015, sono da considerarsi degli enti pubblici  e quindi vincolati all’obbligo dei sistemi di valutazione e controllo interno e della rendicontazione, che parte dall’autovalutazione, come previsto dal D.P.R.80/2013. La responsabilità dirigenziale è strettamente correlata alla responsabilità dei risultati, configurata come lo strumento attraverso il quale la Pubblica Amministrazione risponde del proprio operato ai portatori d’interesse, gli stakeholders, che all’interno dell’Istituzione scolastica sono: gli studenti e le loro famiglie, il personale della scuola, gli Enti Locali, i finanziatori, i fornitori, i cittadini.

La responsabilità dirigenziale è anche responsabilità sociale e quindi non può prescindere dal concetto di accountability o rendicontazione sociale. Storicamente il concetto di rendicontazione sociale nasce prima nel contesto privatistico, nella prima metà del secolo scorso, ma solo negli anni ’90 inizia ad interessare anche le Pubbliche Amministrazioni. Dal 2000 in poi diventa di interesse internazionale con prese di posizioni nette da parte dell’Unione Europea, che nel 2002, in una Comunicazione della Commissione Europea per le Pubbliche Amministrazioni raccomanda di “integrare i principi della responsabilità sociale delle imprese, nel proprio sistema di gestione e praticarle nei confronti delle proprie parti interessate”.

Uno dei massimi esperti di rendicontazione sociale, Luciano Hinna, definisce il concetto di accountability su due livelli:

  • macro, sistema economico che caratterizza un determinato paese in un preciso momento storico;
  • micro, legato all’ istituzione in cui si trova ad operare in un determinato momento un’azienda o amministrazione. A questo secondo livello appartiene l’Istituzione scolastica dove, la rendicontazione a valle e la progettazione a monte, devono tener presente la “mission” che si è data e soprattutto del “come” intende perseguirla.

Ogni discorso che verta sulla responsabilità sociale e rendicontazione sociale deve collocarsi nella dimensione del “come”, inteso come attenzione, capacità di ascolto, accoglienza, interazione e tutto quanto rientri nello spazio etico- valoriale all’interno del quale i bisogni dei portatori di interesse vengono individuati e soddisfatti attraverso il processo di governance. Tutto ciò se ben perseguito, concorre a determinare il valore aggiunto di un istituzione scolastica rispetto ad un’altra e ne fa la differenza e se coltivata e alimentata nel tempo, fortifica e stabilizza l’asset reputazionale dell’ istituzione sul territorio.

La redazione di un bilancio sociale da parte di un istituto scolastico nell’attuale contesto normativo, deve essere considerata un approccio migliorativo rispetto agli obblighi amministrativi che trovano concretizzazione nell’elaborazione del rapporto di autovalutazione. Il bilancio sociale valorizza tutte le informazioni previste dal rapporto di autovalutazione, integrandole con altre informazioni che ne agevolano la fruizione, consentendo all’istituto scolastico un maggior coinvolgimento e una maggiore partecipazione negli ambiti in cui opera.

Il noto esperto di valutazione scolastica, Angelo Paletta  distingue due approcci alla rendicontazione sociale : lo School Accountability e il Bilancio sociale. Il primo si basa sulla definizione, a livello centrale, di regole di valutazione e rendicontazione sociale alle quali tutte le scuole sono chiamate obbligatoriamente a conformarsi; il secondo invece, è un processo volontario che nasce dal dover rendere conto ai portatori di interesse sull’ uso che viene fatto dell’autonomia. Il bilancio sociale presuppone il concetto di responsabilità ed è dunque naturale che la sua attuazione implichi soprattutto il dovere di coinvolgimento degli stakeholders partendo dall’analisi dei bisogni e delle attese, attivando ampi consensi intorno alle scelte, focalizzando l’attenzione sulla verifica in itinere dell’efficacia degli interventi.

In conclusione il bilancio sociale appare come un processo attraverso il quale l’Istituzione riflette su se stessa e dialoga in modo costante con i portatori d’interesse. Tale confronto può articolarsi in momenti e con strumenti diversi. Il bilancio sociale deve conseguire due principali obiettivi: fornire agli stakeholder un quadro complessivo delle performance, sostenendo un processo interattivo di dialogo sociale; fornire informazioni relative alla qualità dell’attività dell’Istituzione scolastica per ampliare e migliorare le conoscenze e le possibilità di valutazione e di orientamento degli stakeholder.

In ambito scolastico l’approccio School Accountability, valuta gli apprendimenti degli studenti e il valore aggiunto della scuola attraverso la somministrazione di prove nazionali, mette in competizione le scuole nell’acquisizione delle risorse, restituisce le prove alla scuola ai fini di benchmarking. Il Bilancio sociale si caratterizza per l’individuazione della scuola come entità istituzionale autonoma, vista come bene comune, capace di realizzare un equilibrio tra missione educativa e disponibilità delle risorse.

Le fasi del processo in cui si articola  il Bilancio sociale sono:

  • assunzione di responsabilità rispetto alla mission educativa che la scuola si propone e la visione di sviluppo del sistema di azioni attraverso cui si intende realizzarla;
  • identificazione degli stakeholders strategici e dialogo permanente con gli stessi;
  • determinazione degli obiettivi e del sistema di indicatori;
  • azioni di miglioramento, che possono riguardare sia il cambiamento o ridimensionamento degli obiettivi e dei progetti iniziali, sia la riorganizzazione delle risorse;
  • preparazione, verifica e pubblicazione del report;
  • feedback degli stakeholders.

Attraverso la rendicontazione sociale la scuola si apre al territorio, con la possibilità di chiarire, spiegare, giustificare qualsiasi incomprensione che può nascere tra gli interlocutori sociali meno attenti e informati alle vicende della Istituzione scolastica. Di contro una scuola munita del sistema di cooperazione sociale quale è il bilancio sociale, può stimolare la ricchezza delle risorse e delle competenze presenti sul territorio, dalle famiglie agli altri organismi istituzionali, utilizzando nuove vie per creare valore pubblico. Purtroppo in numerosi casi, il processo di rendicontazione è interpretato o vissuto dalle Istituzioni come una semplice operazione di “comunicazione” priva di quelle valenze gestionali, strategiche e valoriali che ne rappresentano l’essenza e la spinta per superare l’autoreferenzialità.

Nella scuola è ancora carente la cultura di progetto, le potenzialità insite nel bilancio sociale non sono immediatamente percepibili e la pratica della rendicontazione sociale è abbastanza estranea alla forma mentis prevalente. Bisogna quindi, dare vita ad una campagna di sensibilizzazione che evidenzi l’importanza della rendicontazione sociale come ponte tra la scuola e il territorio, che coinvolga tutte le istituzioni che vedono in quest’azione un fattore di crescita civile ed economico ed una spinta per un futuro migliore dei nostri studenti.

 

Valutare il dirigente

Valutare un dirigente è sempre difficile, soprattutto in realtà ed in contesti particolari, soprattutto in quelle scuole alle prese con i mille problemi di tutti i giorni.

Tra “i meandri” burocratici però la legge 107/2015 e precisamente i commi 93 e 94 mettono in luce alcuni criteri importanti per cominciare ad instaurare anche a livello culutrale il concetto di valutazione vista in funzione di miglioramento del sistema scolastico.

Tutto partì con il dpr 80 del 2013 che evidenziò l’importanza per le scuole di “rendersi conto” e “rendere conto” dei suoi processi educazionali. Grazie a questo decreto la scuola è entrata finalmente  in un’ottica di valutazione dei suoi processi organizzativi e valutativi sia da parte dei docenti che dei dirigenti.

I commi 93 e 94 della legge 107 non hanno fatto altro che riprendere questo “modus operandi” adattandolo alla figura del dirigente incrementando la valutazione sulla performance, sul valore aggiunto e soprattutto sugli obiettivi ed i risultati da raggiungere per un miglioramento del servizio scolastico.

Cosa andiamo a valutare di un dirigente scolastico?

In primis le competenze gestionali e organizzative, la correttezza, la trasparenza, la valorizzazione dei meriti del personale d’istituto, il contributo al miglioramento del successo formativo e scolastico degli studenti e la direzione unitaria della scuola (promozione e collaborazione tra i diversi componenti della comunità scolastica).

La valutazione del dirigente scolastico sarà effettuata annualmente dal direttore dell’Ufficio scolastico Regionale con il supporto tecnico dei nuclei regionali di valutazione.

Ogni nucleo si compone di un dirigente tecnico, amministrativo o scolastico in funzione di coordinatore, e due esperti in possesso di specifiche e documentate esperienze in materia di organizzazione e valutazione. Deve sempre essere prevista la presenza di almeno un dirigente scolastico. Alla valutazione positiva sarà legata la retribuzione di risultato, mentre il mancato raggiungimento dei risultati per 2 anni consecutivi comporterà la messa a disposizione in base alla direttiva 36 del 2016. La stessa direttiva recita anche che: la valutazione del Ds è rivolta particolarmente alle azioni riconducibili al perseguimento delle priorità e dei traguardi previsti nel RAV e nel PdM dell’istituzione scolastica. Gli obiettivi che ogni Dirigente scolastico deve raggiungere sono definiti all’atto del conferimento degli incarichi.

Nella formalizzazione degli incarichi, il Direttore dell’USR di riferimento si avvale di apposite funzioni disponibili nella piattaforma SIDI, per acquisire le priorità individuate nel RAV, al fine di predisporre, aggiornare e integrare i provvedimenti d’incarico dirigenziale. Il risultato conseguito è definito con una delle seguenti espressioni: “pieno raggiungimento”, “avanzato raggiungimento”, “buon raggiungimento” ovvero “mancato raggiungimento degli obiettivi”. Il contingente ispettivo del  Sistema Nazionale di Valutazione (SNV) conserva anche un altro elemento importante per i dirigenti che è il “Portfolio Ds”. Questo strumento rappresenta un supporto per lo svuluppo professionale dei dirigenti stessi che raccolgono e mettono a disposizione i documenti significativi del proprio operato con particolare attenzione all’autovalutazione e alla valutazione.

Il dirigente scolastico diventa così parte integrante di un miglioramento organizzativo e gestionale delle istituzioni scolastiche. La sua azione dirigenziale verrà valutata in funzione dei risultati raggiunti nell’area in cui opera (comma 4 Dpr80/2013).

La nuova “veste” del Comitato per la valutazione dei docenti

Una delle principali innovazioni introdotte nell’ordinamento scolastico dalla L. 107/2015 è stata la riscrittura dell’art. 11 (Comitato per la valutazione del servizio dei docenti) del D. Lgs. 297/1994.  Il c. 129 della L. 107/2015 novella la composizione dell’organo collegiale, la sua denominazione (Comitato per la valutazione dei docenti) e la sua collocazione nel quadro dell’istituzione scolastica.

Il rinnovato organo da annuale diviene organo triennale, in coerenza con il PTOF. La nuova composizione coinvolge tutta la comunità scolastica, non più, quindi, prerogativa del collegio docenti (prevista dall’art. 11 del Testo Unico). In base alla funzione esercitata varia la sua struttura, per la valorizzazione dei docenti (cfr. art.) prevista dai commi 126-129 della L.107/2015, il comitato prevede sei membri, oltre al dirigente scolastico che lo presiede:

1) tre docenti, di cui due scelti dal collegio docenti e uno dal consiglio di istituto;

2) due rappresentanti dei genitori, per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione; per il secondo ciclo di istruzione, un rappresentante degli studenti e un rappresentante dei genitori, scelti dal consiglio di istituto;

3) un componente esterno individuato dall’USR tra docenti, dirigenti scolastici e dirigenti tecnici.

In sede di valutazione dell’anno di prova del personale docente ed educativo, il comitato risulta nella speciale composizione «ridotta» che prevede il dirigente scolastico che lo presiede, i tre docenti, di cui due eletti dal collegio docenti ed uno dal consiglio di istituto e il  tutor del docente in esame. I criteri sui quali si basa detta valutazione sono definiti dall’art. 4 del D.M. 850/2015, volti a verificare gli standard professionali dei docenti neoassunti:

  1. corretto possesso ed esercizio delle competenze culturali, disciplinari, didattiche e metodologiche, con riferimento ai nuclei fondanti dei saperi e ai traguardi di competenza e agli obbiettivi di apprendimento previsti dagli ordinamenti vigenti;
  2. corretto possesso ed esercizio delle competenze relazionali, organizzative e gestionali;
  3. osservanza dei doveri connessi con lo status di dipendente pubblico e inerenti la funzione docente;
  4. partecipazione alle attività formative e raggiungimento degli obiettivi dalle stesse previsti.

Il docente di nuova nomina si deve impegnare in una pluralità di attività, che comprendono la frequenza di incontri in presenza, l’allestimento di momenti di osservazioni reciproca in forma di peer-review, già sperimentata in altri progetti, l’elaborazione di un proprio bilancio di competenze iniziale  e la predisposizione di un portfolio formativo per documentare il lavoro svolto attraverso un’istruttoria del tutor supportata da apposita documentazione comprovante il percorso del docente neoassunto, che sostituisce la relazione da presentare al comitato per la valutazione dei docenti .

Il c. 117 della L. 107/2015 attribuisce al dirigente scolastico il compito di valutare i docenti neoassunti:

«Il personale docente ed educativo in periodo di formazione e di prova è sottoposto alla valutazione da parte del dirigente scolastico, sentito il comitato per la valutazione istituito ai sensi dell’art. 11 del D.Lgs 297/1994, come sostituito dal c. 129 del presente articolo, sulla base dell’istruttoria di un docente al quale sono affidate dal dirigente scolastico le funzioni di tutor».

La valutazione deve tenere conto del parere, obbligatorio, del comitato per la valutazione dei docenti, sebbene il dirigente scolastico possa discostarsene con atto debitamente motivato (art.13 D.M. 850/2015).

Il comitato per la valutazione dei docenti ha il compito di esprimere il proprio parere relativamente al superamento del periodo di prova e formazione dei docenti neoassunti. Il dirigente scolastico e il docente neo-assunto, sulla base del bilancio delle competenze,sentito il docente tutor e tenuto conto dei bisogni della scuola, stabiliscono, con un apposito patto per lo sviluppo professionale, gli obiettivi di sviluppo delle competenze di natura culturale, disciplinare, didattico-metodologica e relazionale, da raggiungere attraverso le attività formative di cui all’articolo 6 e la partecipazione ad attività formative attivate dall’istituzione scolastica o da reti di scuole, nonché l’utilizzo eventuale delle risorse della Carta di cui all’art. 1, c. 121, della Legge (art 5 DM 850/2015).

Il dirigente scolastico e il docente neoassunto, attraverso attività formative e  con il fine di potenziare i punti deboli emersi dal bilancio delle competenze iniziali, stipulano il patto di sviluppo professionale, per poi giungere alla valutazione finale tenendo in considerazione i livelli di partenza.

A seguito del D.M. 850/2015 il percorso formativo è stato reso più rigoroso ed articolato, la griglia per il Bilancio delle competenze pubblicata da INDIRE per i neoassunti offre un ottimo spunto per poter ricondurre in un quadro organico le competenze professionali richieste ai docenti. La pubblicazione della griglia finalizzata alla stipula del Patto per lo sviluppo professionale è un’occasione per considerare l’opportunità che l’introduzione di tale strumento offre per l’intero corpo docente, in una prospettiva del miglioramento continuo così come previsto dal Sistema Nazionale di Valutazione (D.P.R. 80/2013).

Il D.M. 850/2015 negli art. 9-12 enuncia in maniera generica le competenze che dovrebbe avere il tutor, senza specificare che tale figura deve avere una conoscenza diretta  di quanto presente nella griglia per il bilancio delle competenze, per poter predisporre un progetto di tutoring adeguato, evitando il rischio che tutto si riduca ad una formalità e ad una presa d’atto di quanto scrive il docente in anno di prova, venendo meno la funzione di counseling.

La legge 107/2015 ha puntato sulla valorizzazione dell’autonomia e quindi sull’identità della scuola e del suo contesto di apprendimento, pertanto lo sviluppo delle competenze professionali dei docenti deve essere definito sia in rapporto ai bisogni personali sia in relazione dei bisogni della comunità a cui si appartiene in coerenza con P.T.O.F. E P.D.M., perdere la dimensione collettiva vuol dire perdere un’occasione per valorizzare l’autonomia e ritornare ad una visione autoreferenziale della propria presenza nella scuola in cui si presta servizio.

 

La valorizzazione delle risorse umane

La scuola dell’autonomia necessita dell’apporto di tutti i soggetti che ne fanno parte: attraverso una cooperazione intrinseca che si origina tra professionisti che collaborano per il raggiungimento di obiettivi comuni e condivisi, una comunicazione estesa a tutta la comunità educante, una conoscenza condivisa di priorità e obiettivi di processo, un processo di costruzione della comunità professionale.

In tale contesto assume notevole importanza la valorizzazione delle risorse umane in quanto la scuola, quale organizzazione complessa, si caratterizza per un rapporto di interazione tra qualità dell’organizzazione stessa e qualità delle prestazioni professionali dei vari operatori scolastici. Dalla funzionalità di tale rapporto dipende la qualità del sistema scolastico; appare chiaro che le capacità di un soggetto possono esprimersi in modo eccellente in un contesto ben organizzato ed efficiente, e di riflesso, se il  contesto è di qualità, il soggetto ne trarrà benefici esprimendo al massimo le proprie capacità professionali e sfruttando le risorse disponibili.

Se l’organizzazione e le risorse umane interagiscono in un’ottica sistemica, il servizio scolastico può definirsi di qualità.

Il sistema scolastico si prefigge lo scopo della formazione di nuove generazioni, intesa come trasmissione di valori sociali, morali, civili di una certa cultura, ma anche come rielaborazione del sapere. La qualità del servizio scolastico va intesa con lo scopo di proiettare lo studente verso la rielaborazione delle conoscenze, così che egli possa diventare un individuo dotato di senso critico e capace di contestualizzare il proprio sapere. La scuola è una sorta di “fabbrica delle menti” con il compito di formare individui che siano capaci di andare incontro alle aspettative di una società multiforme ed in continua evoluzione. Più i giovani che frequentano la scuola sono persone preparate, più la società è protesa al miglioramento e al progresso.

La valorizzazione delle risorse umane è tesa a migliorare la qualità della vita degli operatori scolastici, l’organizzazione interna, la qualità del servizio erogato.

Una scuola che opera in modo positivo, adempie alle richieste provenienti dalla società; l’educazione viene posta in una posizione di rilievo altamente significativa, come dice P. Fraire “ La rivoluzione più duratura è l’educazione poiché, a lungo andare, produce cambiamenti”.

Nell’ambito scolastico le risorse umane  sono costituite dall’insieme di soggetti che operano  nella scuola e che contribuiscono a gestirne le varie attività: dirigenti , docenti, personale amministrativo, tecnico e ausiliario.

Come valorizzare le risorse umane?

Assume un ruolo fondamentale la figura del Dirigente scolastico come leader con capacità manageriali ed educative.

Per quanto riguarda l’aspetto individuale, il leader deve conoscere le competenze e gli interessi del personale, deve riconoscerne le qualità professionali, le capacità comunicative e la disponibilità di lavorare in team.

Inoltre deve favorire l’assunzione di compiti e responsabilità, valorizzare competenze tecniche specifiche assegnando deleghe per incarichi di coordinamento di gruppi di lavoro o altri compiti. Appare importante, in tale contesto, la delega: il leader deve delegare senza troppe riserve, senza controllare in maniera cavillosa i lavori,  delegare vuol dire valorizzare le risorse umane attraverso la funzione operativa, tesa a raggiungere gli obiettivi e la funzione normativa, tesa a garantire la qualità del servizio.

Altro compito importante del leader è quello di incoraggiare il soggetto a vedere “ in modo positivo” suggerendo soluzioni, spronando ad una maggiore autonomia e capacità di decisione.

Ulteriore compito del leader è quello di dare riconoscimenti e gratificazioni poiché i rinforzi spronano a lavorare con maggiore  determinazione ed efficacia.

Per quanto attiene l’aspetto collegiale è necessario attivare canali di informazione efficaci per motivare i docenti, attivare situazioni collegiali per stimolare le attività di gruppo, finalizzare le attività collegiali, sviluppare il senso di appartenenza all’istituzione scolastica, attivare iniziative di formazione.

Il Dirigente scolastico, per contratto, è preposto alla direzione, al coordinamento, alla promozione e valorizzazione delle risorse umane e professionali con connesse responsabilità in ordine ai risultati. Egli assicura la gestione unitaria dell’istituzione scolastica ai fini del raggiungimento della qualità dei processi formativi predisponendo gli strumenti per attuare il Piano triennale dell’offerta formativa.

In sintesi, il leader è colui che ha il “potere di equilibrio”, colui che tira fuori dalle persone quanto hanno di meglio: favorisce la collaborazione, crea fiducia, condivide conoscenze e informazioni, fa sentire i collaboratori protagonisti e responsabili degli eventi.

La leadership così diventa empowering, diffusa, collaborativa, finalizzata a creare soddisfazione professionale e sostenere la motivazione attraverso un coinvolgimento emotivo.

Goleman sostiene che “ La grandezza di una leadership si fonda su qualcosa di molto primitivo: la capacità di far leva sulle emozioni”.

Le nuove modalità della valutazione

Favorire il processo formativo e migliorare i risultati di apprendimento con l’obiettivo di dare più valore al percorso fatto dagli alunni e dalle alunne. Questi i principi e le finalità esplicitati nell’art. 1 del dlgs 62/2017 che dice:

La valutazione ha per oggetto il processo formativo e i risultati di apprendimento delle alunne e degli alunni, delle studentesse e degli studenti delle istituzioni scolastiche del sistema nazionale di istruzione e formazione, ha finalità formativa ed educativa e concorre al miglioramento degli apprendimenti e al successo formativo degli stessi, documenta lo sviluppo dell’identità personale e promuove la autovalutazione di ciascuno in relazione alle acquisizioni di conoscenze, abilità e competenze”.

Oggetto della Valutazione sono i processi formativi e i risultati di apprendimento: obiettivo è, quindi, focalizzare l’attenzione non sull’esito ma su come si arriva a quel determinato risultato.

Si ribadisce e si rinforza la finalità formativa ed educativa della Valutazione nell’ottica del contributo al miglioramento degli apprendimenti e del successo formativo.

Si evidenzia coma la Valutazione degli apprendimenti sia una  parte fondamentale dell’intero sistema nazionale di istruzione e formazione orientato e finalizzato al miglioramento dell’offerta formativa del servizio scolastico e delle professionalità.

Si sottolinea la valenza della Valutazione formativa proprio perché ha lo scopo di aiutare la formazione dei ragazzi attraverso il monitoraggio costante dell’apprendimento e dell’insegnamento. In questo modo tutti i soggetti interessati (docenti, alunni, famiglie) sono coinvolti ad autovalutarsi e monitorare la ricaduta delle pratiche utilizzate. Rendere tutti partecipi e consapevoli del reale livello di apprendimento in corso di acquisizione e di cosa sia necessario fare da parte di tutti per migliorare le situazioni insoddisfacenti.

La prospettiva insomma è quella di una scuola intesa come comunità educativa aperta alla più larga comunità umana e civile, dove la centralità della persona trova il suo pieno significato. La Valutazione formativa costituisce uno strumento di promozione dello studente e di miglioramento complessivo della qualità della scuola. Queste due azioni sono fortemente legate, per questo le scuole sono chiamate ad attuare specifiche strategie di miglioramento dei livelli di apprendimento, nei casi in cui le valutazioni periodiche o finali attestino livelli di apprendimento parzialmente raggiunti o non raggiunti o in via di acquisizione.

Spesso si confondono e sovrappongono tre livelli distinti:

  • la misurazione per rilevare gli apprendimenti (osservazione, compiti autentici, altro),
  • la valutazione per  attribuire un giudizio (in cui è determinante rendere espliciti i criteri adottati, non è dunque una semplice operazione matematica, ma un ‘azione interpretativa che parte dai dati per considerare i tanti fattori adottati),
  • la comunicazione della Valutazione (pagelle, schede, registro elettronico) che deve essere tempestiva e trasparente. Ne consegue che i documenti di Valutazione sono strumenti di comunicazione della Valutazione ma non coincidono con il processo di valutazione dei risultati di apprendimento.

La Valutazione serve a tenere sotto controllo il processo di apprendimento e fare in modo di migliorarlo perché l’alunno raggiunga il maggior successo possibile. Essere immanente al processo di insegnamento – apprendimento comporta sempre la promozione formativa dell’allievo non la sanzione delle sue lacune. La valutazione dunque è una scelta che rientra nel campo della responsabilità condivisa degli insegnanti, i quali sempre devono esplicitare puntualmente le ragioni e i criteri che hanno supportato un giudizio piuttosto che un altro.

La Valutazione in quanto scelta è dunque un atto di responsabilità basato su dati quantitativi e qualitativi assunti nel tempo e interpretata alla luce di criteri che devono essere esplicitati, condivisi, resi trasparenti all’interno del Consiglio di classe e del Collegio docenti (DDMM 741 e 742, Nota 1085 del 10/10/2017).  La Valutazione entra nella funzione docente nella dimensione individuale e collegiale; ai docenti spettano la responsabilità della valutazione, la cura della documentazione, la scelta dei relativi strumenti in modo che l’atto valutativo si trasformi in un reale dialogo formativo tra insegnanti, alunni e genitori. Essa si colloca all’interno della scuola intesa come comunità professionale e di cittadinanza. La presenza di una comunità professionale impegnata nel proprio compito rappresenta un’occasione di partecipazione e di apprendimento continuo.

Proprio l’approccio formativo della Valutazione è evidenziato nelle Indicazioni del primo ciclo sin dalla scuola dell’infanzia: “… la Valutazione precede, accompagna, segue  i percorsi culturali, attiva le azioni da intraprendere, regola quelle già avviate, promuove il miglioramento, accompagna i processi e stimola al miglioramento continuo”. Nel panorama normativo il dlgs 62/2017 esprime un punto di equilibrio tra  diverse istanze e modi di vedere e valutare gli apprendimenti degli studenti.

Il richiamo alle competenze di cittadinanza ha un forte ancoraggio con le competenze trasversali delineate nel profilo dello studente e i traguardi di sviluppo definiti nelle Indicazioni Nazionali.

Che importanza hanno le competenze nella Valutazione? La competenza è la comprovata capacità di mobilitare conoscenze e abilità ma  anche capacità personali, sociali, metodologiche, in tutte le situazioni di vita : lavoro, studio, sviluppo personale, relazioni, gestione delle emozioni, risoluzione dei problemi, esecuzione di compiti, cioè la persona completa e competente in situazione. Ciò che distingue la persona competente sono la responsabilità e l’autonomia rispetto a situazioni specifiche e concrete.

Il significato profondamente etico della valutazione delle competenze è intrecciato nei documenti europei che dall’inizio del millennio si sono occupati di capitale umano, di formazione e di educazione. In essi c’è un filo conduttore: l’Europa nel contesto della società e dell’economia della conoscenza ha bisogno di cittadini che acquisiscano lungo tutto  l’arco della vita sempre maggiori conoscenze, abilità, competenze per contribuire al proprio sviluppo personale e a quello della comunità. UNITI PER UN MONDO MIGLIORE.

Invalsi: ce la faranno i nostri eroi!!!???

Come ogni anno le prove invalsi si presentano puntuali all’orizzonte di una scuola sempre più rinnovata, aperta ai cambiamenti e a nuove e più incerte prospettive. L’intenzionalità educativa nel tempo ha richiesto, soprattutto oggi più che mai con la riforma della Buona scuola ed il successivo decreto attuativo 62/2017, una  ulteriore riconsiderazione della garanzia del successo formativo.

Si è compreso che una riqualificazione della valutazione degli apprendimenti dovesse passare anche dalle rilevazioni degli apprendimenti delle classi seconde e quinta della primaria, delle terze della secondaria di primo grado e delle seconde della secondaria di secondo grado. Pur nella discontinuità degli avvicendamenti politici si è anche compreso che l’invalsi non poteva e non doveva ridursi ad un sistema “quizzarolo” finalizzato esclusivamente a traguardare le classifiche europee ma inserirsi in una più ampia logica dialettica affidabile ed in linea con le prove europee.

Nelle intenzioni del legislatore c’era evidentemente un disegno coerente e saggio non barattabile con nessun interesse di parte ma destinato a perseguire una finalità più elevata, quella cioè della valutazione della e nella scuola. Quest’anno il clima per  gli allievi delle classi terza della secondaria di primo grado è stato sicuramente diverso, più sereno, grazie alla scelta di escludere i risultati delle rilevazioni dirette degli apprendimenti dalle prove d’esame di Stato conclusive del primo ciclo.

Sono stati circa 574.600 i ragazzi coinvolti che a partire dal 4 e fino al 21 aprile per la prima volta hanno sostenuto computer based le prove standardizzate di italiano, matematica ed inglese con tutte le criticità legate alla disponibilità di postazioni pc o a problemi di connettività lenta o non adeguata. Le prove che non si sono svolte più simultaneamente, da quest’anno sono state somministrate per classe o gruppi  di alunni e rappresentano requisito d’ammissione all’esame conclusivo del 1° ciclo.

La scuola primaria svolgerà le prove invalsi il 3 maggio per la lingua inglese per la quinta classe, il 9 maggio rispettivamente la prova di italiano per le classi seconde e quinte e l’11 maggio per la prova di matematica per le stesse classi. Gli ultimi a cimentarsi con l’invalsi saranno gli studenti della classe seconda della secondaria di 2 grado che in un arco di giorni individuati dall’invalsi dal 7 al 19 maggio sosterranno le prove di italiano e matematica comprensive del questionario studente.

E’ chiaro che la scuola “ingabbiata” da anni in un sistema ossessivo classificatorio (con tutti i limiti di un sistema ispirato al criterio testing delle prove  che di fatto si è rivelato riduttivo e fallimentare) ha voluto voltare pagina e, senza chiedere la luna, si è posto il problema della ricerca di una propria identità o per meglio dire di un recupero di una sua antica missione, saggia e coerente, che non poteva e non doveva soggiacere a nessun interesse di parte.

Da più parti non si chiedeva alla scuola un restiling a saldi invariati, solo la necessità di valutare gli apprendimenti correlandoli a storie di vita e a percorsi autentici in contesti significativi che di fatto non sempre sono presi in considerazione. Occorre sforzarsi per trovare un equilibrio tra lo scopo formativo e concettuale e quello più ampio e pratico delle discipline.

Traghettare su nuove traiettorie un numero elevato di studenti, per attivare processi di autovalutazione basati sulla comparazione ed il confronto e sulla rendicontazione di dati ed informazioni dettagliate sui propri punti di forza e di debolezza,  potrebbe essere un primo passo per migliorare un sistema scolastico stantio e fuori moda.

Le prove invalsi in questo senso evidentemente potrebbero assolvere ad un serio impegno collettivo che in primis vede le istituzioni scolastiche chiamate ad una lettura pedagogica della valutazione che si apre sul versante dell’autovalutazione.

Nella valutazione di sistema entreranno anche i docenti che attraverso modalità sperimentali e con l’ausilio dell’Indire saranno sotto la lente di ingrandimento per un riscontro concreto del proprio operato.

Protagonisti da sempre gli studenti che nella dimostrazione delle loro capacità logiche sono chiamati ad una dimostrazione dell’efficacia del rapporto docente/allievo. Dunque si comprende come il senso dell’insegnare e dell’apprendere in un processo continuo, multidimensionale ma intrinsecamente complesso, costituisce ed indirizza tutta la scuola e coinvolge in misura diversa tutti gli attori. Vale davvero la pena occuparsene, soprattutto in questo momento!!! Ce la faranno i nostri eroi???

Scuola 4 All: Auguri!

E’ con immenso piacere che annuncio la nascita di una rivista, di cui mi assumo la responsabilità della direzione, dedicata alla scuola, nata dalla  “Comunità di pratiche-Discentes ” che da settembre dialoga appassionatamente sulle tematiche della funzione sociale della scuola dell’autonomia, sul ruolo del Dirigente scolastico, sulla nuova funzione del docente inteso come “regista”, “coach”, “mentore”, capace di orientare e guidare le giovani generazioni verso il loro personale progetto di vita e non più solo con la trasmissione dei saperi disciplinari di cui  gli studenti dispongono nei numerosi database, quali wikypedia, facili da usare e a portata di clic.

Una comunità di pratica di circa 200 professionisti  che ho avuto modo di conoscere e apprezzare nei miei corsi di formazione online ed in presenza in tutta Italia e che ha spinto qualche docente più creativa e intraprendente a porsi e a lanciarsi in una nuova sfida, perché l’educazione è soprattutto una “sfida al futuro”. E sono molto grato sia alla Dott.ssa Cristina Petraroli, che per prima ha lanciato l’idea della creazione di una rivista scritta dai docenti, sia al Presidente di Artedo Dott. Stefano Centonze che ha subito accolto l’idea di mettere a disposizione il portale “Italia4All Scuola”, dedicato interamente alla didattica e alle problematiche scolastiche, per la realizzazione, divulgazione e implementazione di questa magnifica esperienza che sicuramente darà la possibilità ai docenti, ai dirigenti scolastici, agli operatori della scuola di avere una palestra di discussione,  condivisione e dibattito.

Abbiamo voluto intitolare la nostra rivista, che sarà mensile, “SCUOLA 4 ALL” per dare subito l’idea di uno strumento per tutti, con tutti e soprattutto di tutti. Vogliamo che la rivista sia uno stimolo per lo sviluppo professionale di tanti operatori  della scuola, per dare voce alla progettualità delle istituzioni scolastiche, per valorizzare le competenze diffuse e per venire incontro ai tanti docenti che non trovano la spinta, il coraggio, la motivazione a scrivere e l’occasione per  raccontarsi.

Non sarà una rivista di esperti, dalle biografie che potete leggere nel portale lo si evince, ma di appassionati del proprio lavoro, di professionisti convinti assertori dell’importante ruolo della scuola, di responsabili del contributo valoriale che necessita alle nuove generazioni, in un’epoca e in una società che stanno rinunciando ai valori e alle idealità, immiserendosi in individualismi  ed egoismi.

Un grazie ai redattori tutti e ai collaboratori, tanti, che hanno accolto subito l’invito a  rendersi protagonisti di un’esperienza formativa, certi che la socializzazione di riflessioni e di esperienze professionali e didattiche possano aiutare a crescere e a riconoscersi nella scuola dell’autonomia.

Il contributo di questa rivista sarà rivolto per sollecitare istituzioni scolastiche capaci di progettualità partecipata adeguata ad affrontare le tante sfide di una scuola innovativa che si rinnova in funzione di una società in continua evoluzione che ci offrirà scenari sempre più imprevedibili che avranno bisogno di nuove start up, di tanta creatività, di tanta sensibilità e di tanta e nuova qualità. Solo la scuola e i suoi docenti possono avere nella loro “mission” il gusto di rispondere a sfide così complesse, ma fascinose che potranno essere vinte con la collaborazione e partecipazione di tutti .

E  credo che sia proprio adatto e necessario augurarci tutti: AD  MAIORA !!!

Scuola 4 All

    La nostra è un’identità terrestre e viviamo in una  “comunità di destino” ( Morin) dove l’effetto “Liebelei”, il battito d’ali di una farfalla in California può provocare un tsunami nel Giappone, ci fa  essere vicini in quel villaggio globale (Mc Luhan) in cui ormai viviamo. Naturalmente la scuola non è isolata da questo mondo complesso e deve fare i conti sia col “locale” immediato, gli stakeholder, sia con un insegnamento/apprendimento di largo respiro che Robertson chiama “glocalizzazione”. (Vito Piazza)

Il Dirigente scolastico deve pensare in grande e operare in piccolo. In questo primo e fondante numero, la Rivista “SCUOLA 4 ALL” vuole accompagnare il lettore ad avere una visione d’insieme dei numerosi e variegati compiti, funzioni e competenze del DS. Si parte da un profilo storico, giuridico, contrattuale del “direttore didattico, preside, dirigente scolastico” dalla sua istituzione (novembre 1903) alla Legge 107/2015( la cd. riforma della “Buona scuola”). Un sommario breve, ma completo, “a puntate” così come definito da Pietro Salvatore Reina nel suo articolo “Il ds: un timoniere sotto gli occhiali della storia”.

Dall’analisi emerge il seguente profilo : il dirigente scolastico assicura la gestione unitaria dell’istituzione scolastica, ne ha la  legale rappresentanza, ed è responsabile della gestione delle risorse finanziarie e strumentali e dei risultati di servizio. Nel rispetto degli organi collegiali a lui spettano autonomi poteri di direzione, coordinamento e valorizzazione delle risorse umane per organizzare l’attività scolastica secondo criteri di efficienza ed efficacia formativa. Esercitando queste competenze il dirigente scolastico promuove gli interventi per assicurare la qualità dei processi formativi e per attivare la collaborazione delle risorse culturali, professionali, sociali ed economiche del territorio. Egli è garante dei diritti costituzionalmente tutelati che riguardano il diritto all’apprendimento degli alunni, la libertà d’insegnamento dei  docenti, la libertà di scelta educativa delle famiglie. Al DS spetta ancora l’adozione dei provvedimenti di concreta gestione del personale visto che è anche titolare delle relazioni sindacali. Per svolgere al meglio le sue funzioni può anche avvalersi di docenti da lui individuati a cui delegare specifici compiti ed è infine coadiuvato dal DSGA.  Le competenze e i compiti, sopra descritti, sono stati potenziati dalla Legge n. 107/2015 che, al c. 1, rievoca, dandone piena attuazione, l’Autonomia delle Istituzioni scolastiche. Il comma 78 della suddetta legge, continua la collaudata tradizione giurisdizionale novellandosi nelle norme sopra citate. Le novità più rilevanti sono introdotte, invece, dai commi 14, 79, 80 e 127 . Prima di entrare nel merito di queste importanti novità non poteva mancare una riflessione approfondita sull’influenza  che ha avuto l’Europa sulla politica di istruzione italiana e la conseguente normativa.

L’articolo “Una finestra sull’Europa” di Rosalia Rossi ha lo scopo di approfondire questo legame. Con il comma 14 il Dirigente definisce, per l’elaborazione del PTOF, gli indirizzi (prima determinati dal Consiglio d’Istituto) per l’organizzazione dell’attività didattica curricolare ed extracurricolare, per il potenziamento dell’offerta formativa, per le attività progettuali anche d’intesa con gli enti e le associazioni del territorio, per la formazione di tutto il personale docente e non. Tale attribuzione  è di notevole importanza poichè permette al DS di delineare in maniera significativa l’identità dell’Istituzione scolastica cui  è preposto.

Questa importante novità viene analizzata in modo puntuale e completo nell’articolo “L’atto di indirizzo del “nuovo” Dirigente Scolastico ” di Daniela Conte e nell’articolo di Nando Mascolo ”Il PNSD in una frase: àncora di salvezza in una scuola che cambia…”. Continuando nella stessa direzione,  con uno sguardo più critico, Mario Atria nell’ articolo “La chiamata diretta: da adempimento burocratico a risorsa per l’autonomia” tratta in particolar modo  i commi 79 e 80 che prevedono che dall’anno scolastico 2016/17, siano i Dirigenti a coprire i posti dell’organico dell’autonomia, prioritariamente posti comuni e di sostegno, proponendo incarichi triennali (quella che è stata diffusamente definita “chiamata diretta”) ai docenti di ruolo assegnati all’ambito territoriale di riferimento. La proposta di incarico ai docenti viene formulata in coerenza con il Piano triennale dell’offerta formativa e sulla base del curriculum, delle esperienze e delle competenze professionali e anche di un colloquio. In questo modo i Dirigenti potranno individuare gli insegnanti più confacenti, in base alle loro competenze ed esperienze professionali, all’Offerta Formativa della Scuola. Quanto previsto dai prima citati commi può risultare determinante per migliorare la qualità e l’efficacia dell’Offerta Formativa, in quanto il D.S. ha concretamente la possibilità di mettere in relazione i bisogni formativi degli alunni con le competenze dei docenti, al fine di effettuare la scelta migliore.

A tal proposito l’articolo “Il leader educativo in funzione del successo formativo” di Rosaria Perillo entra nel merito della funzione del dirigente come “leader dell’apprendimento” promosso nel comma 29 .  Il comma 127 , attribuisce, infine, al Dirigente scolastico il compito di valorizzare il merito dei docenti di ruolo tramite l’assegnazione di una somma di denaro, retribuita dall’apposito fondo previsto dal comma 126. I criteri per individuare gli insegnanti più meritevoli vengono stabiliti dal novellato Comitato di valutazione (comma 129). Il comma 127, come quelli 79 e 80, va nella direzione di una scuola a guida manageriale, in cui è il dirigente a premiare i propri dipendenti.

Questo ruolo di guida è descritto in modo particolareggiato nell’articolo “Valorizzare le risorse: motore del successo” di Alfredo Lanzone. In questa “Vision” tutti gli aspetti sono correlati tra loro e il Dirigente scolastico e’ alla guida di una scuola che deve essere vista come un sistema, seppur a legami deboli (loose coupling) dove la gestione, la conduzione, la progettualità, le attività finanziarie e quant’altro sono legate in un tutt’uno in cui la somma è più dell’insieme delle parti.

 

Il dirigente scolastico: un timoniere sotto gli occhiali della storia

Quest’articolo-saggio vuol essere un sommario (ovvero un riassunto ed una sistemazione diacronica) del profilo storico, giuridico, contrattuale del direttore didattico -preside- dirigente scolastico dalla sua istituzione (novembre 1903) alla L. 107/2015 (la cd. riforma della «Buona Scuola»).

Un sommario, breve ma completo, «a puntate», teso a raccontare, illustrare e fissare la «parabola» della figura sopra descritta nel suo arco storico cronologico.

Sul senso etimologico di questi sostantivi

Le ricerche e gli studi sull’orientamento biologico della linguistica chomskiana analizzzati, nel nostro Paese, con acume da Tullio De Mauro, Andrea Moro et alii de-scrivono il «linguaggio umano come un universo …. Le parole non hanno contenuto in sé, ma se incontrano qualcuno che le ascolta diventano qualcosa […] Analizzare il linguaggio è come analizzare la luce, ci si trova nella stessa direzione». Il dirigente scolastico, nel realismo ontologico del pensiero e della parola, non può non soffermarsi su questo stesso lemma che trova come un tesoro, un dono. Leggi tutto “Il dirigente scolastico: un timoniere sotto gli occhiali della storia”

Una finestra sull’Europa: la L.107/2015

L’Europa ha il compito di incoraggiare il miglioramento dei sistemi nazionali di istruzione e formazione mediante strumenti complementari a livello europeo. La cooperazione politica in tale settore, ha contribuito a definire le riforme nazionali dei sistemi di istruzione e formazione permanenti, la modernizzazione dell’ insegnamento superiore e la qualificazione di strumenti europei capaci di favorire la qualità, la trasparenza delle qualificazioni e la mobilità nel settore dell’ istruzione e della formazione. Interpretare l’educazione – istruzione in una dimensione europea, significa ritenere una serie di caratteristiche e capisaldi comuni a tutti i sistemi scolastici europei, pur rispettando le loro specificità e differenze, per sostenere il raggiungimento da parte del cittadino europeo, delle competenze chiave per l’ esercizio della cittadinanza attiva.

Nel marzo 2010, il Consiglio Europeo ha approvato una nuova strategia, denominata “Europa 2020”, che definisce gli obiettivi da raggiungere nel decennio successivo e individua tre  priorità generali che sono: una crescita intelligente, che prevede lo sviluppo di un’ economia basata sulla conoscenza e l’ innovazione; una crescita sostenibile, dove l’ obiettivo è promuovere un’ economia efficiente e competitiva delle risorse; una crescita inclusiva, che mira ad innalzare il tasso di occupazione favorendo la coesione territoriale e sociale. Vengono, inoltre, individuati dei criteri di riferimento europeo o benchmark di eccellenza, per monitorare i progressi e sostenere il raggiungimento degli obiettivi delineati. I benchmark evidenziati nel documento “Europa 2020”  sostengono la partecipazione degli adulti ad un apprendimento permanente (lifelong learning); il miglioramento dei risultati nelle competenze di base (lettura, matematica e scienze) fornendo raccomandazioni al fine di  migliorare il tasso di alfabetizzazione in tutta l’ Unione; l’ innalzamento della percentuale delle persone in possesso di un diploma superiore; la riduzione dell’ abbandono scolastico dei giovani , rafforzando la prevenzione e stabilendo una più stretta  cooperazione tra i settori generali e professionali e l’ accesso equo generalizzato dei bambini all’ istruzione preprimaria.

Oltre ai benchmark, l’Unione Europea ha stabilito anche cinque obiettivi quantitativi che gli stati membri saranno invitati a tradurre in obiettivi nazionali, definiti in funzione delle rispettive situazioni di partenza, da conseguire entro il 2020. Tali obiettivi si riferiscono al miglioramento del tasso di occupazione, alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, ponendo l’attenzione al miglioramento dell’efficienza energetica attraverso fonti rinnovabili, alle politiche di investimento in ricerca e sviluppo, definendo nuovi indicatori in materia di innovazioni, grazie alla messa a punto di metodi d’ istruzione e di apprendimento specifici, alla riduzione del tasso di povertà ed emarginazione della popolazione. Alla luce di queste considerazioni è stata emanata, da pochi anni, la L. 107/2015 dal titolo “Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti”. Relativamente all’ apprendimento permanente, la legge definisce obbligatoria, permanente e strutturale la formazione in servizio dei docenti che devono rispondere adeguatamente alle mutevoli esigenze e richieste della società. Anche il D.L.gl. 57/2017 definisce il sistema di formazione e di accesso nei ruoli dei docenti della scuola secondaria, con l’obiettivo di una maggiore acquisizione di competenze e conoscenze.

Per un miglioramento dell’offerta formativa e il raggiungimento degli obiettivi stabiliti nel documento “Europa 2020”, la L. 107 presenta una scuola aperta al territorio, intesa come un laboratorio permanente di ricerca, attraverso anche l’adozione di un Piano Nazionale per la Scuola Digitale(PNSD), al fine di sviluppare e migliorare le competenze digitali degli studenti e guidare la scuola in un percorso di innovazione e digitalizzazione. Attraverso il PNSD si diffondono le nuove tecnologie, si diffonde l’idea di apprendimento permanente e si estende il concetto di scuola da un luogo fisico alla ricerca di spazi virtuali, favorendo una didattica meno trasmissiva e più operativa. A sostegno del successo formativo, per gli alunni che hanno raggiunto livelli parziali di apprendimento, il D.Lgs 62/2017 suggerisce  alle scuole l’ attivazione di strategie che garantiscano il miglioramento dei livelli di apprendimento finali.

Altro obiettivo della L. 107 è quello di garantire il diritto allo studio, attraverso la pubblicazione del D. Lgs 63/2017 che prevede l’attivazione di numerosi interventi a sostegno delle fasce economiche più deboli, attraverso il servizio di trasporto, di mensa, di fornitura gratuita dei libri di testo e strumenti didattici e l’erogazione della Carta dello studente. Per rendere il servizio scolastico di qualità e soprattutto inclusivo, con la L. 107 sono state individuate delle strategie che si esprimono nel Piano triennale dell’offerta formativa, nel Rapporto di autovalutazione, nel Piano di Miglioramento e nel Piano annuale di inclusione. Rispetto alla maggioranza dei paesi dell’Europa Unita, l’Italia continua ad essere in ritardo in termini di formazione e di competenze di base. La nuova L. 107 sarà valutata in base ai risultati concreti che consentirà di raggiungere nei prossimi anni, in termini di conseguimento entro il 2020 degli obiettivi comuni stabiliti a livello europeo, da parte del sistema di istruzione e formazione italiano.

L’atto di indirizzo del “nuovo” Dirigente Scolastico

La Legge 107/2015 al comma 14 assegna al Dirigente scolastico la responsabilità di definire  al Collegio dei docenti gli indirizzi generali per la stesura o la revisione del PTOF, documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e progettuale della scuola, contenente la progettazione curriculare, extracurriculare, educativa e organizzativa. Oggi il dirigente scolastico è l’unico dirigente della pubblica amministrazione a scegliere le attività da progettare e ad adottare le modalità di gestione ed amministrazione nei processi lavorativi.

Nella scuola dell’autonomia, posizionata tra servizio efficace e progetto culturale e di vita, il DS non può limitarsi alla sola gestione della vita interna dell’istituzione scolastica, ma deve avvalersi del contributo di tutti gli stakeholders del contesto territoriale onde rendere concreto e tangibile il successo formativo di ciascun allievo, risultato della singola vocazione personale, mixata ad un progetto professionale immediatamente spendibile nel mercato del lavoro locale e rinnovabile per l’intero arco della vita, secondo il Programma Lifelong Learning. Il DS indirizza le linee generali del PTOF, garantisce agli studenti la possibilità di scegliere un curriculum opzionale e provvede alla cura dei talenti (cc. 28 e 29). I docenti e gli allievi collaborano nella comunità scolastica verso l’unico grande obiettivo, la mission, ovvero il successo autorealizzativo per tutti e il conseguente innalzamento del livello culturale per i cittadini dell’intero paese.

Durante i primissimi mesi del nuovo anno scolastico (settembre-ottobre), il DS si consulta con gli attori portatori di interesse e, nel caso in cui diriga una scuola secondaria di secondo grado, si avvale anche del contributo dei membri del CTS (Comitato Tecnico Scientifico) e del CS (Comitato Scientifico), istituiti attraverso i DPR 87,88,89 del 2010 e composti da enti locali, associazioni professionali e stakedolders col precipuo fine di costruire una rete di sistema pubblico integrato basato sulla sussidiarietà, che riconosca in linea verticale il ruolo nella formazione dei soggetti politici rilevanti anche locali (Decreto Lgs. 112/1998), ma si traduca quotidianamente in autonomia organizzativa delle attività didattiche. Il Dirigente, tenendo in giusto conto la centralità della persona, analizzati i dati del RAV, rispettando gli obiettivi prefissati nel PDM (DPR. 80/2013),  sceglie per la propria istituzione scolastica parte dei traguardi indicati dall’Atto di indirizzo del MIUR ed in linea con le relative indicazioni del Direttore Scolastico Regionale di riferimento.

Il nuovo sistema-scuola integrato e aperto, costruito per garantire a tutti gli allievi il successo formativo, mira a conseguire una serie di obiettivi quali il raggiungimento del massimo titolo di studio, il diploma quinquennale, il conseguimento di elevati livelli di competenza certificati, il calo degli abbandoni scolastici e del fenomeno della dispersione, la realizzazione di pari opportunità tra studentesse e studenti, la riduzione delle diseguaglianze socio-culturali, l’ampia diffusione della didattica digitale, l’inclusione degli alunni diversamente abili e con bisogni educativi speciali.  Insomma, la vera mission della scuola italiana dell’autonomia è garantire al paese e all’Europa intera, crescita intelligente, sostenibile, inclusiva (Europa Education and Training 2020).

Il DS orienta l’organico della scuola, al fabbisogno di posti comuni, di sostegno e di potenziamento dei docenti ed al relativo Piano di formazione (c. 57) utilizzando per loro le opportunità offerte dalle reti di ambito e di scopo (cc. 70-72 e 74) e potenziando l’utilizzo di attrezzature e infrastrutture adeguate come previsto dal PNSD (c. 57), garantendo agli insegnanti formazione continua e permanente.

Questo modello di scuola pluralista viene completato, nella secondaria di secondo grado, dalla Alternanza scuola-lavoro quale metodologia tesa al miglioramento dell’occupabilità degli allievi diplomati, alla certificazione delle competenze formali, non formali e informali (Decreto Lgs. 13/2013), alla inclusione nel lavoro degli allievi svantaggiati nel rispetto della tutela del lavoratore (Decreto Lgs. 81/2008).

L’accountability, quale responsabilità incondizionata in capo al dirigente scolastico dei risultati conseguiti dalla scuola sulla base delle capacità, abilità ed etiche, richiedente il giudizio del buon padre di famiglia e la sua elevata capacità decisionale, si realizza essenzialmente nel relazionarsi con gli attori portatori di interesse sia interni che esterni alla scuola, nel comunicare con trasparenza la performance definita mediante un accurato ed adeguato piano della comunicazione, nel coinvolgere gli stakeholders nella definizione degli standard, ottenendo contemporaneamente senso e consenso.

Le scelte propositive e le strategie condivise con gli attori della comunità di apprendimento, dimostrano che la leadership costruttivista promuove fiducia, reciprocità e cooperazione autentica, costruisce alleanze sociali, soddisfa pienamente le aspettative della comunità scolastica e dell’intera comunità di pratica, valorizza le componenti di autonomia, di efficacia e di efficienza, frutto della gestione unitaria da parte del Dirigente dell’intera istituzione scolastica, in sinergia con l’obiettivo 4 fissato nell’Agenda europea 2030, volto a fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, dunque una reale opportunità di apprendimento per tutti.

In sintesi il nuovo dirigente scolastico diventato leader trasforma gli stakeholders in shareholders e crea capitale umano composto da conoscenze, competenze, abilità, emozioni funzionali e strumentali nel generare obiettivi sociali ed economici, sia a vantaggio del singolo che dell’intera collettività.

Il PNSD in una frase: àncora di salvezza in una scuola che cambia…

La scuola sta cambiando. L’avvento delle tecnologie digitali ha aperto scenari estremamente rilevanti nel mondo dell’apprendimento. A ottobre 2017 il Piano Nazionale Scuola Digitale ha compiuto due anni. Il Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD) è il documento di indirizzo del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca per il lancio di una strategia complessiva di innovazione della scuola italiana e per un nuovo posizionamento del suo sistema educativo nell’era digitale. È un pilastro fondamentale de La Buona Scuola (legge 107/2015), una visione operativa che rispecchia la posizione del Governo rispetto alle più importanti sfide di innovazione del sistema pubblico: al centro di questa visione vi sono l’innovazione del sistema scolastico e le opportunità dell’educazione digitale.

Tutto nasce con le Avanguardie Educative, un movimento di innovazione che sta portando a sistema le esperienze più significative di trasformazione del modello organizzativo e didattico della scuola che è stato uno degli stimoli di partenza per il lavoro fatto con le 22 scuole fondatrici e le 250 le scuole adottanti. I temi che da anni fanno parte delle sue sperimentazioni:

  • la trasformazione  del modello trasmissivo della scuola,
  • l’attenzione per i nuovi spazi per l’apprendimento e
  • la valorizzazione dei rapporti con il territorio li ritroviamo nel PNSD.

Inutile negarlo, la prima difficoltà che si è riscontrata e si riscontra a tutt’oggi in molte scuole è l’accesso; i dati parlano chiaro: delle 326.000 aule il 70% è connessa in rete, ma la connessione è generalmente inadatta alla didattica digitale; inoltre il 36% dei docenti (il 62% ha più di 50 anni, rispetto ad una media OCSE del 32%) dichiara di non essere sufficientemente preparato per la didattica digitale. Pensando alla scuola reale i dati credo siano anche peggiori. Al secondo posto metterei gli spazi, che sono fondamentali per un recupero della didattica attiva e della scuola delle competenze e devono diventare i luoghi di incontro della comunità.

Nel PNSD, la tecnologia non è al centro, come si potrebbe pensare parlando di un piano digitale, lo sono invece i nuovi modelli di didattica che utilizzano la tecnologia e lo sono i grandi maestri della scuola italiana. Come si fa a non pensare a Maria Montessori quando si parla di ambienti di apprendimento o di “sedute informali”? Era davvero necessario riportare al centro la didattica laboratoriale  e i laboratori come punto di incontro tra sapere e saper fare. Al paese serve sicuramente una cittadinanza digitale. Le competenze chiave del 21° secolo (azione #16 del PNSD) sono le competenze trasversali: problem solving, pensiero laterale, capacità di apprendere; materie scientifiche che valorizzino la creatività.

Il pensiero logico computazionale (azione # 17) lo si può sviluppare usando qualunque strumento: i bambini devono diventare gli attori protagonisti. I piccoli innovatori crescono. Qualche dubbio sul PNSD? Più che dubbio un timore, il BYOD (Bring Your Own Device). Giusto che si parlasse di BYOD in un piano quinquennale, ma in questo momento è davvero molto complicato pensare a docenti che riescano a gestire e “far scuola” con più di due sistemi operativi, vista la scarsa coscienza digitale del nostro corpo docente come emerge dai dati OCSE. E’ necessaria quindi la formazione del personale! La formazione dei docenti :  quando si parla di innovazione della didattica è una priorità assoluta. Dopo anni di ritardo la formazione è finalmente diventata obbligatoria e in più gli è stata data un’organizzazione molto precisa e definita. I poli formativi territoriali sono già una realtà che però andava portata a sistema: la costituzione di 250/300 poli permetterà la diffusione delle competenze con un approccio di formazione continua.

Nel PNSD ci sono altre azioni rilevanti a supporto. L’animatore digitale è una figura nuova, un “evangelista” che deve diffondere competenze, esperienza e soprattutto entusiasmo!  Accanto all’animatore si è pensato di portare a sistema l’assistenza tecnica alle scuole, per le scuole del primo ciclo un help importante per garantire il funzionamento delle tecnologie. I 250 poli formativi accanto ai 120/150 poli bibliotecari e ai 100 centri territoriali per la disabilità (C.T.S.) formeranno una vera “ragnatela” di servizi su tutto il territorio. Il PNSD vuole attivare un processo di “emersione” delle reti, delle scuole e anche degli attori extrascolastici che hanno avviato processi di innovazione digitale attraverso esperienze che hanno animato in questi anni un vero e proprio movimento di innovazione “dal basso”. C’è una ricchezza enorme di esperienze concrete nelle scuole italiane, ma ancora troppo frammentate, che vanno diffuse in modo strutturale su tutto il territorio. Il piano spinge alla collaborazione con gli enti locali, le famiglie e gli stakeholders per una co-progettazione con il territorio dell’idea di scuola.

PNSD: …Àncora di salvezza in una scuola che cambia, porto sicuro per la scuola del futuro!!!

 

La “chiamata per competenze”: da adempimento burocratico a risorsa per l’autonomia

La legge 107/2015 rende molto più agevole  l’esercizio della gestione unitaria dell’istituzione scolastica, aprendo  al dirigente spazi notevoli per indirizzare la vita della scuola e le scelte di priorità, con il fine di  dare piena attuazione all’autonomia delle istituzione scolastiche. La sua responsabilità più importante è rappresentata dall’opportunità  data nella definizione degli indirizzi e nell’attuazione del PTOF, con la partecipazione di tutti gli organi di governo. L’impianto normativo ha tracciato le nuove Linee guida per l’elaborazione del Piano dell’Offerta formativa che ha cadenza triennale. Il PTOF è soggetto a valutazione degli obiettivi in esso inseriti e può essere rivisto annualmente, entro il mese di ottobre.

L’art. 3 del DPR 275  del 1999 è stato novellato dal comma 14 della succitata legge che ne ha cambiato anche le modalità di elaborazione, affidando un ruolo preminente e strategico al dirigente scolastico, chiamato nella nuova previsione normativa, a definire al collegio dei docenti, gli indirizzi per le attività della scuola e per le scelte di gestione e di amministrazione. Leggi tutto “La “chiamata per competenze”: da adempimento burocratico a risorsa per l’autonomia”

Il leader educativo in funzione del successo formativo

La responsabilità di dirigere un’organizzazione “complessa” come la scuola richiede al dirigente capacità professionali articolate e flessibili in grado di coniugare la funzione di leadership, strettamente connessa alle finalità del sistema educativo, con quella manageriale, più incentrata sugli strumenti necessari alla gestione dei processi. Entrambe mirano alla qualità e all’ efficienza degli obiettivi da conseguire, ma il management si confronta principalmente con la complessità mentre la leadership è orientata al cambiamento in base ad una visione dell’educazione sorretta da una “mission” comune e condivisa.

La ricerca educativa e l’osservazione in campo scolastico, tuttavia, convergono nel riconoscere alla leadership, più che al management, un ruolo chiave ed imprescindibile nella direzione di una scuola sempre più connotata da una dimensione pedagogica che pone al centro dell’azione educativa lo studente e il suo percorso di crescita culturale. Il leader sviluppa, articola e gestisce l’attività scolastica per migliorarne le condizioni e ottimizzarne gli esiti avvalendosi del supporto di tutta la comunità con cui interagisce per creare il progetto di educazione da realizzare. E’ leader educativo che orienta il personale promuovendone lo sviluppo professionale attraverso la cooperazione, il confronto e la condivisione delle scelte. In questa prospettiva va anche la sua capacità di motivare e gratificare i propri followers soddisfacendone bisogni fondamentali come il senso di appartenenza, di autostima e di adeguatezza rispetto ai propri ideali. Ciò garantisce quella convergenza strategica di intenti ed interventi che è una delle chiavi del successo e della qualità dei servizi resi dalle scuole. Ma crea anche le condizioni per una “leadership empowering” che promuove capacità e competenze finalizzate alla creazione di nuovi leaders capaci di perseguire ulteriori risultati personali e collettivi. Una “leadership distribuita”, dal dirigente a tutti i livelli dell’organizzazione (“Middle management” e figure professionali), che è anche “trasformazionale” (B. Bass,1990) nella misura in cui guida e realizza il cambiamento.

Tale impostazione va incontro a quanto disposto dal Dlgs.165/01, art.25 che prevede per il dirigente scolastico la possibilità, nell’ambito della propria funzione di valorizzazione delle risorse umane, di “avvalersi di personale da lui individuato cui attribuire specifici compiti”. Allo stesso tempo, diviene più sicura la guida del dirigente anche nei processi relativi alla didattica poiché si alleggerisce il suo carico di lavoro amministrativo indotto dalle crescenti istanze di educazione poste alla scuola a livello sociale ed istituzionale.

Del resto, la L.107/15, che incrementa le funzioni del dirigente scolastico e le relative responsabilità, ci consegna la figura di un “leader per l’apprendimento” in grado di proiettare il ruolo burocratico-istituzionale su quello educativo definito da E. Damiano “educazionale”, cioè comprensivo di funzioni amministrative e di responsabilità formative. La norma delinea una leadership che valorizza gli studenti individuandopercorsi formativi adeguati (PTOF) e promuovendo iniziative di orientamento e di riconoscimento di meriti e talenti. Un leader per l ’ apprendimento che, in linea con la normativa vigente, opera per assicurare la partecipazione degli studenti alla vita della scuola, esercizio di democrazia e di costruzione di cittadinanza attiva.

Le diverse dimensioni che può assumere la leadership scolastica configurano tutte una dirigenza profondamente rinnovata il cui operato può rappresentare il fattore più importante nel determinare la qualità e l’efficienza della scuola. In relativa autonomia, il capo di istituto deve individuare le mosse vincenti per il successo formativo di tutti gli studenti, di cui è il primo responsabile anche di fronte alla totalità dei portatori di interesse, che è quanto fa la differenza tra un leader e un funzionario.

Collegamenti:

D.P.R. 275 art.6: Ricerca, sperimentazione e sviluppo.
“Le istituzioni scolastiche, singolarmente o tra loro associate, esercitano l’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo, curando tra l’altro:
a. la progettazione formativa e la ricerca valutativa;
b. la formazione e l’aggiornamento culturale e professionale del personale scolastico;
c. l’innovazione metodologica e disciplinare;
d. la ricerca didattica sulle diverse valenze delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione e sulla loro integrazione nei processi formativi;
e .la documentazione educativa e la sua diffusione all’interno della scuola;
f. gli scambi di informazioni, esperienze e materiali didattici;
g. l’integrazione fra le diverse articolazioni del sistema scolastico e fra i diversi sistemi formativi, ivi compresa la formazione professionale.
Se il progetto di ricerca e innovazione richiede modifiche strutturali che vanno oltre la flessibilità curricolare prevista dall’ articolo 8, le istituzioni scolastiche propongono iniziative finalizzate alle innovazioni con le modalità di cui all’articolo 11.
Ai fini di cui al presente articolo le istituzioni scolastiche attivano collegamenti reciproci, nonché con il Centro europeo dell’educazione, la Biblioteca di documentazione pedagogica e gli Istituti regionali di ricerca, sperimentazione e aggiornamento educativi; tali collegamenti possono estendersi a università e ad altri soggetti pubblici e privati”.

L. 107/15, art.1 c.124: Formazione in servizio dei docenti. Piano nazionale di formazione. “Nell’ambito degli adempimenti connessi alla funzione docente, la formazione in servizio dei docenti di ruolo è obbligatoria, permanente e strutturale. Le attività di formazione sono definite dalle singole istituzioni scolastiche in coerenza con il piano triennale dell’offerta formativa e con i risultati emersi dai piani di miglioramento delle istituzioni scolastiche previsti dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 marzo 2013, n. 80, sulla base delle priorità nazionali indicate nel Piano nazionale di formazione, adottato ogni tre anni con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, sentite le organizzazioni sindacali rappresentative di categoria.”

L.107 art.1 c.29 “Il dirigente scolastico, di concerto con gli organi collegiali, può individuare percorsi formativi e iniziative diretti all’orientamento e a garantire un maggiore coinvolgimento degli studenti nonché la valorizzazione del merito scolastico e dei talenti. A tale fine, nel rispetto dell’autonomia delle scuole e di quanto previsto dal regolamento di cui al decreto del Ministro della pubblica istruzione 1o febbraio 2001, n. 44, possono essere utilizzati anche finanziamenti esterni.”

Dirigente scolastico e gestione risorse professionali

La gestione delle risorse umane è diventata da poco una delle tematiche più importanti della scienza dell’amministrazione.  Il dirigente scolastico oggi potrà sviluppare moltissimi strumenti di gestione del personale: selezione, premialità, socializzazione, valutazione per il miglioramento del personale, controllo di gestione e tanto altro.

Ma cosa significa per un Dirigente scolastico e per il comitato di valutazione di ciascuna scuola valorizzare un docente?

La norma è abbastanza chiara, intanto il Ds come da art 25 del decr leg 165 è il responsabile della gestione unitaria del personale e della struttura così come il comitato di valutazione (comma 129/107) decide i criteri del merito tenendo conto del successo formativo e scolastico degli alunni, ottenuto grazie alle metodologie d’insegnamento del docente.

Se l’insegnante odierno riuscirà dunque a migliorare le competenze digitali dei ragazzi potrà quindi concorrere al bonus meritevole.

Il Ds dovrà quindi saper interpretare la “Mission educativa” all’interno di una cornice amministrativa del sistema; solo una buona leadership che valorizza i docenti, potrà tenere assieme la qualità manageriale e gli sviluppi di un’efficace ed efficiente didattica dell’istituto.

Costruire una comunità di docenti dove gli obiettivi vengono creati per finalità ben precise, lanciando sfide, assegnando compiti, motivandoli sempre sul bisogno di autorealizzazione. Rilanciare le teconologie come strumento per incrementare le risorse della scuola che sono gli studenti.

Intensificare il buon clima e l’empowerment come conquista di consapevolezza da parte del docente e in funzione degli stakeholders (quartiere, genitori, contesto). La valorizzazione delle risorse umane all’interno di un istituto scolastico può avvenire non solo con la gestione burocratica (titoli, punteggi) ma con attivià di accoglienza, tutoraggio, socializzazione, motivazione, valutazione gestione dei conflitti  e la collaborazione del middle management.

Per quanto riguarda il bonus, Il Miur (comma 126 della legge 107/2015) ha istitutito un fondo annuale di 200 milioni che verrà ripartito tra le scuole in proporzione alla dotazione organica dei docenti, alle complessità ecc) . Una volta stabiliti i criteri dal comitato di valutazione docenti esso sarà distribuito dal Ds (comma 127 della 107/2015) ogni anno al personale docente in natura di retribuzione accessoria. Non dimentichiamo che i dirigenti hanno l’obbligo di assegnare  il bonus, come recita il comma 93 della 107  e questo fa si che il capo d’istituto diventi una figura manageriale a tutti gli effetti.

I dirigenti scolastici infatti acquisiscono una figura da ‘Manager di confine’ e cioè  titolari di relazioni esterne che possono aiutare le situazioni interne dell’istituto. Oltre alla classica funzione decisionale i dirigenti dovranno avere delle competenze tecniche in modo da saper affrontare compiti gestionali ed affinare quelle relazionali, vedi la gestione dei conflitti. Si tratta dunque di avere una completa gestione della scuola nel suo insieme senza dimenticare mai il principio di autovalutazione.

Oltre la scuola! Verso una società inclusiva…

In occasione della Giornata della Memoria, ricorrenza internazionale celebrata il 27 gennaio di ogni anno come giornata per commemorare le vittime dell’Olocausto, molte scuole organizzano manifestazioni ed eventi per celebrare l’apertura dei cancelli di Auschwitz. Tuttora però,  a distanza di molti anni, la “diversità” è ancora sotto i riflettori della cronaca quotidiana  ed attiva meccanismi di esclusione, di odio e di violenza.

Nel 69° Circolo didattico “Stefano Barbato” a Napoli educare alla diversità ed utilizzare una didattica differenziata per livelli di apprendimento è probabilmente un mezzo per riscattare giovani talenti o semplici cittadini del domani, da un destino quasi segnato. Vivere in un territorio di periferia, dimenticato anche dalle istituzioni, è diventato negli anni una rassegnazione ed un’errata convinzione, che quella realtà rimarrà sempre tale, perché caratterizzata da molteplici problematiche, che solo la scuola e qualche associazione o intervento sporadico, non potrà mai risolvere.

Ma perché arrendersi? Perché non puntare sulla centralità dell’alunno invece che sulla collaborazione delle altre istituzioni? Perché non utilizzare altre strategie, per ridare stimoli, nuove motivazioni e sogni ai piccoli di quel quartiere? Da questa riflessione, coniugando  il Dlgs 60/2017 sulla valorizzazione della cultura umanistica, le Guide al Rispetto emanate dal Miur, la centralità dello studente delle Indicazioni Nazionali – l’apertura al territorio, essenziale per contestualizzare l’offerta formativa e non ultimo la L. 170/2010 è nato un laboratorio di pittura tenuto dalla docente Liccardo Rosa ed il pittore Ivano Domenico Felaco. “ Ho passato le elementari in un banco solitario e triste accanto alla mia maestra, quella stessa maestra che a suon di tirate d’orecchie , durante i dettati mi aveva quasi convinto che le mie proverbiali orecchie a sventola fossero il prodotto dei suoi metodi educativi… Ma io ero e sono semplicemente un dislessico non diverso da tutti voi…” E così, attraverso la bellissima storia della Bella e la Bestia e la testimonianza dell’artista, si è proceduto ad affrontare il tema della diversità sotto diversi punti di vista coinvolgendo anche i genitori. Una Giornata della Memoria all’insegna di una promessa: porre le basi per un reale cambiamento, che non può concretizzarsi nella vita di tutti i giorni se prima non avviene “nelle nostre teste”; perché la diversità è una risorsa, come appunto spiega il Pittore Ivano ai bambini: “da alunno escluso ho fatto della mia diversità una risorsa e della mia passione un lavoro… Mi sono riscattato da qualsiasi forma di pregiudizio grazie alla pittura ed adesso  sono qui, portavoce della mia esperienza e ringrazio l’insegnante Liccardo Rosa per avermi incluso nel suo progetto itinerante ed a quanti hanno collaborato per la realizzazione di quest’ idea”.

Promuovere l’insegnamento educativo di cui parla E. Morin “…trasmettere non del puro sapere, ma una cultura che permetta di comprendere la nostra condizione e di aiutarci a vivere” vuol dire dunque, mettere in pratica un modo di fare didattica che esca fuori dall’aula e dalle metodologie tradizionali. Vuol dire interfacciarsi con nuove modalità educative-didattiche e coinvolgere, in maniera diretta e consapevole, nel processo di crescita e formazione non solo gli studenti ma anche i genitori. Dalla giornata sulla diversità si è poi redatto un vero progetto di nome: Dislart da attuare nella scuola dell’infanzia e primaria ed eventualmente da mettere in rete come esempio di buona pratica scolastica.

Pratiche laboratoriali: l’archeologia nei Licei

Oggi più che mai la ricerca e la sperimentazione sono attività fondanti della progettualità messa in atto da ogni singola scuola, che aperta a scenari sempre più complessi diventa non solo lo spazio fisico in cui si muovono i vari attori, ma anche lo spazio fluido delle interazioni sociali, in grado di favorire nello studente un apprendimento attivo e partecipato.

In questa prospettiva risulta strategico il ruolo rivestito dal dirigente scolastico, che, in quanto leader per l’apprendimento volto all’innovazione e al miglioramento, dovrà favorire pratiche di organizzazione della didattica, di cooperazione e collaborazione, dovrà sostenere lo sviluppo del capitale umano e promuovere tutte le esperienze che portano gli studenti allo sviluppo del pensiero critico e all’acquisizione di competenze spendibili in tutti gli ambiti della vita, avvalendosi in questo dei rapporti con enti esterni, esperti e specialisti del mondo del lavoro.

Le istituzioni scolastiche, alla luce  del Decreto Legislativo n. 60 del 2017, attuativo della Legge n. 107 del 2015, sono chiamate a valorizzare l’esperienza diretta e i saperi degli studenti, attraverso la promozione della cultura umanistica, la valorizzazione del patrimonio e delle promozioni culturali ed il sostegno della creatività, secondo modalità di tipo laboratoriale ed operative.

Un progetto che ha visto gli studenti impegnati in esperienze di scavo archeologico sul campo è stato attivato dal  Liceo Classico “G. Piazzi – C. Lena Perpenti” di Sondrio. Gli studenti impegnati in questo progetto triennale ed europeo hanno coniugato lo studio delle lingue classiche, greco e latino, della lingua straniera, della grammatica comparata, della storia e della geografia, della storia dell’arte con lo studio delle discipline scientifiche e con attività pratiche in un ambiente di apprendimento strutturato ad hoc. L’esperienza è stata molto significativa e coinvolgente per gli studenti che confrontandosi con esperti, specialisti, archeologi, paleo-antropologi, biologi e genetisti, docenti universitari, hanno mobilitato gli apprendimenti anteriori, arrivando alla risoluzione di problemi di natura sempre più complessa, e hanno sviluppato le competenze necessarie per muoversi con disinvoltura nel mondo della complessità.

Attraverso l’esperienza di laboratorio archeologico gli studenti, rafforzando la coscienza della loro radice, diventano protagonisti consapevoli di una storia capace di legare passato e futuro, certezze e ambivalenze, arrivando così alla costruzione di una vera identità di cittadini europei, che li proietta in una dimensione globale.

La scuola tra comunità e conflitto

La comunità scolastica possiamo definirla un insieme di più comunità: quella dei genitori, quella degli studenti, quella professionale dei docenti e quella del personale assistente tecnico amministrativo. La scuola, quindi, è un sistema complesso nel quale si confrontano sottosistemi spesso profondamente divergenti; un contesto dove le aspettative, i bisogni, gli interessi dei vari attori coinvolti (alunni, genitori, insegnanti, personale ATA e personale dirigenziale) possono causare malintesi, disaccordi, litigi sino a determinare relazioni conflittuali. Queste ultime se non vengono ben gestite minacciano il benessere scolastico sino a generare non poche criticità. Nella legge n. 107/2015, Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti, la parola comunità viene citata ben sei volte e dalla lettura del comma 93 -lettera e- emerge con chiarezza quanto segue: compito del dirigente scolastico è la direzione unitaria della scuola, la promozione della partecipazione e della collaborazione tra le diverse componenti della comunità scolastica.

Il dirigente scolastico, nel perseguire il miglioramento del servizio scolastico, ha la responsabilità di promuovere la collaborazione tra i vari attori del sistema scuola. Si tratta di una responsabilità molto importante e di non semplice gestione se pensiamo alle molteplici possibilità di conflitto che potrebbero verificarsi nel microcosmo scolastico. E allora quali strumenti ha il dirigente scolastico per mantenere l’equilibrio tra le varie componenti della scuola e promuovere comunità? Per tentare una risposta credo sia utile riflettere sul termine comunità: una parola calda che evoca accoglienza, condivisione, senso di appartenenza, fiducia, collaborazione, solidarietà. Pertanto per costruire comunità scolastica è necessario sviluppare l’arte del dialogo: servono dialogo e comprensione per far incontrare i diversi attori della realtà scuola.

È necessario promuovere forme d’incontro cooperative basate sulla fiducia e il rispetto reciproco, la collaborazione, la condivisione di spazi e di tempi dove tutti traggano beneficio dall’incontro con l’altro e ognuno si riappropri della capacità di essere nella relazione. La mediazione potrebbe dare una risposta a queste tematiche in quanto è uno strumento pedagogico capace di cambiare lo sguardo verso l’altro, diverso da noi, e di incontrarlo anche nel conflitto.

Il conflitto, infatti, fa parte di ogni relazione umana perché è un evento naturale che nasce dalla diversità: dimensione irrinunciabile del vivere. La mediazione si fa carico del conflitto, della rottura di un dialogo e crea ponti tra i diversi desideri delle persone coinvolte aiutandole a trovare un accordo; in questo modo l’evento conflittuale diviene una preziosa opportunità di cambiamento, di crescita per riorganizzare le relazioni e giungere a soluzioni vantaggiose per tutti. Nello specifico, il mediatore scolastico è un terzo neutrale (nel senso che è imparziale, non patteggia in alcun modo), “sta in mezzo”, è equidistante dalle parti in conflitto, che liberamente hanno chiesto aiuto per riaprire i canali di comunicazione interrotti, per rimettere ordine nel proprio disordine emotivo, per far emergere i bisogni di ciascuno al di là delle posizioni e  recuperare la capacità di vedere l’altro come qualcuno da rispettare e di cui potersi fidare. Le parti, in altri termini, vengono aiutate a governare il conflitto e a riappropriarsi sia del loro ruolo, sia delle loro capacità decisionali.

La capacità di autodeterminarsi e di assumersi le responsabilità di decidere è un concetto cardine della mediazione. In tale prospettiva la mediazione ha un’alta funzione sociale perché opera sul concetto di responsabilità inteso come attitudine a progettare, assumere e mantenere un impegno; educa alla responsabilità di pensare diversamente nel rispetto e nel riconoscimento reciproco che è requisito indispensabile di una comunità che voglia dirsi civile. Alla luce delle considerazioni fatte un Dirigente scolastico che decida, nel rispetto degli organi collegiali, di adottare programmi di mediazione scolastica sicuramente opta per un utilissimo strumento finalizzato a sviluppare abilità e competenze sociali in tutti i protagonisti della scuola, ed in questo modo promuove lo sviluppo di una comunità scolastica capace di considerare la mediazione come una pratica educativa intenzionale di gestione trasformativa delle situazioni di conflitto. In altri termini una comunità scolastica che pratica la mediazione, sa chiedere aiuto ed è capace di aiutare, attiva le risorse interne, anche conflittuali, è in grado di gestire la complessità, di fare richieste e intraprendere scelte autonome, di progettare il futuro, piuttosto che praticare la lamentela e il desiderio di una “scuola ideale” priva di conflitti.