Comunicare con intelligenza emotiva per salvare le relazioni

Comunicare con Intelligenza Emotiva

Comunicare con intelligenza emotiva vuol dire seguire il flusso delle emozioni che, dalla consapevolezza di sé guidano verso l’empatia, per ottenere il massimo dalle relazioni. E per dare il massimo alle relazioni. Vivere in armonia con se stessi, infatti, è la miglior condizione possibile per instaurare legami felici e duraturi. La conflittualità dei nostri tempi, in cui siamo così distanti dal benessere, svela, tuttavia, il distacco con cui ci rapportiamo agli altri. Il motivo è che, senza possedere coscienza della vita emotiva, immaginare i bisogni degli altri è una via senza uscita. Per questo le relazioni sono oggi così difficili. Vediamo, allora, come si riconosce chi è capace di comunicare bene, di condividere se stesso con gli altri.

Il linguaggio del corpo

Mariano Sigman, neuroscienziato argentino, autore de La vita segreta della mente, (Utet, 2017) spiega che, poiché, spesso, le relazioni hanno un fruscio di sottofondo,  l’efficacia dell’interazione dipende dal corretto uso delle chiavi ostensive, cioè, degli aspetti osservabili della comunicazione che, al di là delle parole, permettono una buona sintonizzazione del canale sul quale avviene lo scambio. L’ostensione, infatti, calamita l’attenzione alla comunicazione e al linguaggio. Sapere, ad esempio, che

  • guardare negli occhi le persone mentre si parla e
  • rivolgersi verso di loro con tutto il corpo

trasmette l’ interesse e la nostra buona intenzione ad ascoltare, aiuta le persone in interazione ad innalzare la soglia di attenzione.

Allo stesso modo, e in maniera speculare, osservarsi da una terza posizione percettiva, quella distaccata da cui è possibile notare obiettivamente come interagiscano le persone, può consigliare l’ascoltatore di chiedere di rimandare il dialogo ad un momento più propizio all’accoglienza.

Non sempre, infatti, siamo disponibili alla conversazione, specie se siamo presi da pensieri che possono allontanarci da qui ed ora della comunicazione. Thomas Gordon, in proposito, scrive infatti, che, tra le abilità che andrebbero affinate per migliorare i rapporti interpersonali, la prima e più importante è, senza dubbio, quella di


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Comunicare con intelligenza emotiva

Queste abilità, d’altro canto, rimandano alla consapevolezza emotiva, che fornisce indicazioni preziose alla persona circa la serenità d’animo a stare in ascolto, e all’empatia, per cogliere la condizione mentale dell’altro che potrebbe, parimenti, vivere un momento di chiusura all’ascolto o aver bisogno di formule comunicative differenti, più in linea con il suo sentire del momento, se a parlare siamo noi.

In tutti i casi, i marcatori ostensivi sono un modo efficace di creare condivisione. L’ostensione, infatti, trasferisce la comunicazione dal piano razionale dei contenuti a quello emotivo dell’affidabilità del comunicatore , inviando, in tal modo, segnali di completezza (che non richiedono, dunque, approfondimenti da parti dei soggetti in interazione).

Pensiamo, ad esempio, a come venga calamitata la nostra attenzione, mentre ascoltiamo, se chi ci parla

  • ci chiama per nome, attribuendoci un implicito riconoscimento,
  • varia le espressioni mimiche del volto, muovendo, ad esempio, le sopracciglia, o
  • modifica il tono della voce, enfatizzando opportunamente pause e passaggi chiave del discorso.

Pensiamo, per contro, a quanto ci sentiamo estranei alla conversazione se la persona seduta di fronte a noi non usa nessuno dei marcatori ostensivi, i mediatori del dialogo emozionale, o li usa in modo improvvido.

L’intelligenza emotiva, anche in questo caso, si rivela una competenza fondamentale per affermare l’egemonia su predetti mediatori.

Ancora una considerazione

Poiché la comunicazione interpersonale ha la facoltà di costruire o distruggere le relazioni, a seconda che la comunicazione sia aperta e onesta o chiusa e scadente, solo comunicare noi stessi e le nostre emozioni permette di migliorare la qualità della nostra vita, di comprendere gli altri e di essere compresi. Insomma: “Se voglio che tu mi conosca devo parlarti. E mi aspetto comprensione.

Ma per far sì che tu mi comprenda, devo essere trasparente, aperto, devo rivelare chi sono e che cosa desidero veramente.”

Ecco che il dialogo si sposta sul piano del sentire. Confrontarsi sui contenuti, se si tratta di gestire conflitti, non risolve i problemi. Semmai, li maschera. Ma, se si mettono sul tavolo le emozioni, le divergenze vengono affrontate senza che nessuno si senta perdente e, quindi, risentito. Per di più, si riesce a stabilire e mantenere un dialogo aperto con le persone cui si tiene maggiormente.

Tra le cose che una persona emotivamente intelligente evita accuratamente di fare, compaiono, dunque, tutti quei comportamenti che, nel processo di comunicazione, rischiano di sminuire l’autostima degli interlocutori e di muovere alla relazione.

Errori da evitare

Benché l’utilizzo un linguaggio adeguato al confronto, infatti, generi la probabilità di attivare un cambiamento utile, è sempre bene che non vengano mai specificate soluzioni e che al messaggio udito non vengano associati consigli o pensieri propri. Le persone ci arrivano da sole e detestano sentirsi stupide, se vien detto loro quello che dovrebbero fare.

Inutile, pertanto, aspettarsi che gli altri cambino, solo perché questo è il nostro consiglio. Meglio che ci arrivino in autonomia, davanti ad un ben più nobile: “Come ti senti in questa situazione? Pensi di far qualcosa per cambiare le cose?”

Le persone vogliono, infatti, sentirsi ascoltate e rispettate, specialmente nei loro sentimenti. Non sminuite. Se un attento ascoltatore offre loro la comprensione, ogni problema si sgonfia all’istante.

Per questo, ascoltare distrattamente o frettolosamente, senza provare un reale sentimento di accettazione nei confronti di chi parla o mentre si pensa ad altro, anticipare l’interlocutore, interpretare i messaggi,  impiegare competenze di ascolto per raccogliere informazioni che potranno  essere utilizzate successivamente per altri scopi, tutti questi atteggiamenti equivalgono a mentire, usando l’ascolto come una tecnica per dimostrare di essere abili. E ledono la relazione.


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Perché un obiettivo è alla portata se si possiede intelligenza emotiva?

La vita è bella

Come si chiama un secchione vent’anni dopo? Capo! Questa battuta non la trovi in un libro di barzellette. La cita Daniel Goleman per spiegare come, oggi, sia preferibile aver a che fare con persone che sanno il giusto e hanno maniere vincenti di trattare gli altri, piuttosto che con persone dalle grandi conoscenze ma senza competenze empatiche e modi persuasivi. Soprattuto, la usa per spiegare come questo modello di leadership oggi sia superato, senza capacità efficaci di intrattenere relazioni. I link consigliati ti guideranno in approfondimenti tematici all’interno di questo sito.

Che l’intelligenza logico-matematica non sia la sola attitudine che contraddistingue le persone capaci e quelle di successo è un dato acquisito. Ma altrettanto vero è che, pur sapendo di possedere in potenza molte altre risorse, è sempre su quella che ci ostiniamo a puntare tutte le nostre chances. Studiamo, ci formiamo, ci diplomiamo, ci laureiamo, facciamo un master, infine ci abilitiamo. Ma trascuriamo il fatto che, per tutto il resto della nostra vita, saranno le competenze basse a guidare le nostre scelte, non quelle sempre più alte che maturiamo. Proprio così: le emozioni. Dipende da loro se il talento che ci ha accompagnato per tutta la vita resterà inespresso o aprirà le porte dei nostri sogni.

Che cos’è l’intelligenza emotiva?

Letteralmente l‘intelligenza emotiva è la capacità di valutare preliminarmente le conseguenze sul piano emotivo di scelte e decisioni. È quella capacità, peraltro, che, più dei successi scolastici e dell’intelligenza nell’accezione comune, determina risultati sorprendenti nella vita. Perciò, se sposi la persona sbagliata o affidi i tuoi soldi ad un improbabile consulente finanziario, è con il tuo “sesto senso” che devi prendertela.  Lo afferma nell’opera Intelligenza Emotiva lo psicologo statunitense Daniel Goleman.

Con questo termine, appunto, di intelligenza emotiva, Goleman indica le abilità altre che comprendono le capacità dell’individuo di

  • motivarsi,
  • persistere nel raggiungere gli obiettivi nonostante le difficoltà e le frustrazioni,
  • controllare gli impulsi,
  • procrastinare la gratificazione,
  • modulare gli stati d’animo, soprattutto riuscendo a pensare bene anche in condizioni emotive di sofferenza,
  • empatizzare e
  • sperare, nel senso di conservare la fiducia nei propri mezzi.

Goleman non è il primo ad aver parlato di intelligenza emotiva. Già negli anni venti dello scorso secolo l’eminente psicologo statunitense Edward Lee Thorndike aveva contribuito a diffondere un’idea d’intelligenza legata al mondo delle emozioni, di cui uno degli aspetti era l’intelligenza sociale o intelligenza personale, articolata a sua volta, come dice Howard Gardner, in interpersonale e intrapersonale.

L’intelligenza interpersonale e quella intrapersonale

La prima è la capacità che posseggono persone dotate di elevato coefficiente emotivo, abbreviato in EQ per distinguerlo dal QI, di:

  • intrattenere relazioni gratificanti ed efficaci;
  • conservare le amicizie;
  • risolvere i conflitti;
  • svolgere rapidamente l’analisi sociale in un gruppo;
  • condividere e comprendere gli stati emotivi delle altre persone;
  • distrarre gli altri dalle emozioni negative, distruttive, come la rabbia, che intossicano le esistenze della gente e offuscano la lucidità.

La seconda è la capacità di esercitare un controllo sulla propria vita emotiva per prevenire il sabotaggio di se stessi, a causa del  tormento interiore che limita l’efficacia del pensiero costruttivo. Le persone con questa abilità riescono a distrarre se stessi e i propri pensieri dalle emozioni pericolose, così evitando che un momento di tristezza degeneri in disperazione o che una preoccupazione divenga depressione.


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Chi è l’intelligente?

Secondo gli studi di Peter Salovey e Robert Stenberg, psicologi di Yale, citati nel lavoro di Goleman, una persona può essere definita intelligente principalmente se esprime capacità pratiche di ordine emotivo e relazionale.

Cioè, secondo questi eminenti autori, che inglobano i lavori di Gardner, una persona realizza appieno la propria esistenza se soddisfa una ideale piramide della leadership di se stessa in cinque gradini. Ovvero, se:

  • conosce le proprie emozioni. La capacità di riconoscere ed assegnare il giusto nome alle emozioni, quando si presentano, è il concetto chiave dell’intelligenza emotiva.
  • Riesce a controllare le proprie emozioni. Calmarsi, distrarsi dalla rabbia, liberarsi da stati d’ansia, infatti, sono situazioni che dipendono dall’autoconsapevolezza, ovvero dal riconoscimento delle emozioni.
  • Sa come motivarsi. Dominare le emozioni è essenziale per riscoprirsi creativi, per ritrovare concentrazione e attenzione e per motivarsi nel raggiungimento degli obiettivi. Viceversa, le emozioni negative, se non elaborate, distraggono sempre la concentrazione.
  • Ha doti empatiche che nascono dal riconoscimento delle altrui emozioni sulla base della conoscenza delle proprie. L’empatia è, dunque, alla base dell’altruismo poiché permette a chi ne è dotato di cogliere i segnali sociali, le necessità e i bisogni degli altri.
  • Infine, sa gestire le relazioni, arte nella quale confluiscono tutte le competenze sociali che originano dal riconoscimento delle emozioni, proprie e altrui.

Sempre in tempo

C’è un tempo definito entro cui si sviluppa l’intelligenza emotiva? In realtà, no. Si è sempre in tempo quando ci si vuole migliorare. L’ideale sarebbe coltivare questa attitudine innata fin da piccolissimi. Un ruolo fondamentale, dunque, lo esercitano la famiglia e la scuola. Ma se non accade o non è accaduto, gli studi dimostrano che le competenze emotive possono essere apprese, affinate e allenate ad ogni età. E che ad ogni età ci si può programmare al successo con l’intelligenza emotiva.

Però, occorre volerlo, mettersi a disposizione di un cambiamento e di un nuovo apprendimento. E’ sufficiente praticare la creatività, ritagliare più tempo per se stessi e per gli affetti, circondarsi di persone stimolanti, coltivare il benessere psicofisico e arricchire il vocabolario emotivo.

Mi fermo qui per ora ma tornerò a parlarne.


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Creatività e intelligenza emotiva per costruire relazioni felici

Nella continua asimmetria delle relazioni, che appartiene a tutti, la competenza sociale, basata sull’intelligenza emotiva e sull’empatia, aiuta la buona comunicazione e rende efficaci le relazioni interpersonali. Il rapporto tra la propria individuale conoscenza di con quella dell’altro racchiude il senso della competenza sociale, di cui ciascuno abbisogna per avvalorare la chiave di lettura dell’autoconoscenza e per conoscere gli altri. Questa particolare propensione alla consapevolezza di sé rende molto più semplice il concetto di interazione con gli altri secondo la personale capacità di costruire relazioni sane. Ecco come può servire la creatività a questa funzione.

La creatività

Stefan Zweig, scrittore e drammaturgo naturalizzato britannico, scrive che “colui che ha trovato se stesso non può più smarrire nulla in questo mondo. E colui che ha compreso l’uomo che è in sé comprende tutti gli uomini”.

Partendo da questo presupposto, gli studi di carattere antropologico, che ho potuto mettere in pratica nei miei laboratori sul Metodo Autobiografico Creativo, hanno messo bene in evidenza l’importanza della creatività come strumento per “portar fuori” i vissuti personali più profondi. E, dunque, anche le emozioni dolorose con cui, il più delle volte, evitiamo di confrontarci.

L’indagine intorno alla funzione della creatività, allora, permette la riflessione sulle condizioni rilevanti in cui i sistemi aperti (come i circuiti limbici, sede delle emozioni) contagiano le persone che siano esposte a relazioni risonanti ed emotivamente cariche. Così, una storia narrata con il canovaccio della fiaba classica appare lo svelamento del mondo interiore, sommerso e negato, che può essere finalizzato alla dinamicità del personale essere nel mondo e del viaggio verso l’altro.

Il metodo autobiografico creativo

Il Metodo Autobiografico Creativo è, così, uno strumento molto potente, in grado di far comprendere meglio la realtà, la propria, prima di avventurarsi alla scoperta dell’altro. Come confortato dalle più recenti ricerche in materia di epigenetica, peraltro, il dialogo interiore, basato sull’autobiografia e sulla consapevolezza, è in grado di rimaneggiare il DNA nelle sue carenze emotive che vengono ereditate dalla madre.

Nutrire, infatti, il cervello con immagini di conforto, amore, speranza produce lo stesso effetto di un abbraccio, ossia accresce l’aumento del neurotrasmettitore associato alla produzione di ossitocina, l’ormone della fiducia che si sprigiona quando viviamo relazioni intense e gratificanti.

E questo è reso possibile dalla creatività che individua una comoda modalità di espressione e dialogo attraverso la metafora. E’ così che si affronta e si  risolve la conflittualità con le parti buie della personalità. Arriva in questo modo l’autoconoscenza e lo sviluppo del potenziale personale che chiamiamo intelligenza emotiva.

Funzioni della creatività

  • Capire meglio la propria indole,
  • riconoscere e gestire al meglio le proprie risorse e
  • adottare una comunicazione empatica, predisponendo se stessi e gli altri ad un’apertura vantaggiosa per entrambe le parti.
  • Riconoscere, inoltre, ciò che ragionevolmente ciascuno possa aspettarsi da se stessi e dagli altri,
  • prevedere eventuali reazioni e
  • aumentare la competenza sociale, attraverso un rinforzo di autostima e fiducia.

Cosicché, la massima di Ippocrate, “capire meglio il cervello per capire meglio l’uomo”, lascia intendere quanto sia interessante scoprire gli ordini ed i principi che governano la mente per spiegarsi l’agire umano, oltre i processi cognitivi.


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Il ruolo delle emozioni

Ecco che ritorna il tema della centralità delle emozioni che trasmettiamo agli altri e che ci dicono quanto siamo propensi ad accoglierli o rifiutarli. In questo modo, lo schema proposto dal Metodo Autobiografico Creativo è applicabile in azienda, a scuola, in un’associazione.

Sapere preliminarmente, infatti, da quali emozioni siamo, a volte, dominati, può aiutarci a capire che cosa dovremmo fare per dominarle, e non restarne succubi, e da quali stati d’animo sono pervasi anche gli altri. E adeguarci a loro, se il nostro obiettivo è intrattenere relazioni efficaci.

  • Prendiamo una classe. Quanto sarebbe d’aiuto all’insegnante conoscere le proprie emozioni e quelle dei suoi alunni? Questa conoscenza non aiuterebbe una didattica ad personam, piuttosto che una didattica a pioggia? Se è vero, come è vero, che l’apprendimento è un fatto principalmente emotivo, quanto appare utile e fondato l’apprendimento multisensoriale creativo?
  • E in azienda non è forse utile questa consapevolezza per assegnare ad ognuno un ruolo adeguato e introdurre una leadership risonante?

L’intelligenza emotiva

L’utilizzo concreto del metodo autobiografico creativo consente, infatti, di accrescere i livelli di intelligenza emotiva e di equilibrare le relazioni interpersonali in ogni contesto aggregativo. Tant’è che essa rappresenta il presente e il futuro delle competenze richieste dall’apparato “ricerca risorse umane” delle aziende. Ne parla il World Economic Forum che inserisce l’intelligenza emotiva tra le dieci competenze essenziali per i colletti bianchi a partire dal 2020.

Il futuro, dunque, è fatto di persone in grado di capire le persone. Capacità che diventa fondamentale per la giusta collocazione nei ruoli di leader per facilitare l’inserimento delle risorse umane nella mansione più idonea al carattere e all’indole di ognuno.

Grandi persone

Il mondo sta cambiando rapidamente e finalmente ci appare chiaro che per risollevare le sorti economiche dei Paesi non bastano grandi economisti ma servono e serviranno grandi persone. Per questo, sempre di più, esse saranno scelte e formate nei percorsi di consapevolezza, dove si impara a mettere al centro le emozioni e le relazioni.


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Le materie scolastiche e le emozioni

Le materie scolastiche che insegnano le emozioni

Basta volerlo e un’ora di lezione curriculare in classe può trasformarsi in un’ora d’intelligenza emotiva. Vediamo adesso in che modo le competenze emotive possano essere messe a disposizione delle lezioni tradizionali in classe, partendo dall’utilizzo che è possibile fare di alcune discipline per agevolare lo studio, la riflessione e la comprensione delle emozioni.

Lingua italiana ed emozioni

Nello studio della lingua italiana, ad esempio, le parti di un testo scritto che connotano un’emozione diventano per l’insegnante un assist imperdibile per riflettere, in classe, sul nome, sul riconoscimento e sulle conseguenze delle stesse. Sui personaggi del testo, in relazione alle loro vicissitudini narrate, come sui ragazzi in aula: l’insegnante può, infatti, sospendere la lettura e chiedere quando ognuno abbia incontrato quell’emozione, quali conseguenze abbia avuto, se se ne ricordino gli effetti fisici e l’intensità, quale sia il contrario di quell’emozione, un sinonimo eccetera.

Descrivere, sia oralmente che per iscritto, gli episodi emotivi è un ottimo esercizio per arricchire il lessico, in generale, e il vocabolario emotivo, in particolare.

L’autoriflessione, specie se guidata dall’educatore, aiuta la messa alla prova della consistenza logica delle affermazioni, la discriminazione tra realtà oggettiva e realtà percepita (o soggettiva). Esercizio, peraltro, importantissimo per gli adolescenti che possono, così, rinegoziare comportamenti, confutarli alla luce della loro ricaduta emotiva (su se stessi e sugli altri) e modificare i pensieri irrazionali. Cioè, parlare di emozioni in classe è anche un ottimo allenamento al pensiero razionale.

Le scienze

Già alle primarie, poi, l’ora di scienze può essere il pretesto per studiare i correlati anatomici delle emozioni. Così, individuare le informazioni che anticipano l’insorgere di una reazione emotiva aiuta a riconoscere i segnali neurovegetativi che provengono dal corpo e che sono diversamente associati alle emozioni.

Quello che potremmo definire una “pratica precoce della consapevolezza dei pensieri collegati a stati emozionali (le cosiddette abilità meta-emotive)”.


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La Relazione Educativa: dimensioni emotive e dinamiche di gruppo.

La relazione educativa


Studi sociali e relazioni

Con gli studi sociali, come, ad esempio, nel Liceo Psicopedagogico o nell’Istituto Tecnico per i Servizi Sociali, l’attenzione si sposta sulla relazione. Per gli studenti, parlare di emozioni vuol dire imparare a dialogare, migliorare la capacità di conversare e di stare con gli altri all’interno di un gruppo.

Nei contesti sociali, infatti, esprimere le proprie opinioni, discutere e offrire il proprio contributo nella ricerca e nell’organizzazione delle risorse necessarie a realizzare un progetto condiviso con altri è un acceleratore dei fattori di crescita armonica della persona.

E questo vale anche con i più piccoli (con lo studio dell’educazione civica nelle scuole medie). Favorire nei ragazzi, fin da bambini, la disponibilità alla verifica di atteggiamenti individuali o di gruppo che possono turbare l’armonia della convivenza democratica li fa crescere in autonomia e in responsabilità.

Musica e arte

Ci sono, poi, discipline che sono la casa delle emozioni, come l’educazione musicale e l’educazione artistica.

Raccontarsi attraverso le emozioni suscitare da una canzone è un’attività che gli adolescenti, nel turbinio delle sensazioni da cui è travolta la loro età, amano al di sopra di molte altre attività, incluse quelle ludiche. Il gioco (benché un gioco non sia) aiuta l’insegnante a guidare una riflessione su ritmi, tonalità e modi che stimolano particolari stati d’animo. Come pure, è un ottimo esercizio di alfabetizzazione emozionale per i più piccoli individuare e riconoscere suoni e rumori della natura e dell’ambiente che suscitano emozioni. O produrre suoni e rumori che abbiano lo stesso effetto.

Nell’educazione all’immagine, viceversa, lo scopo del lavoro finalizzato alla consapevolezza emotiva riguarda elementi e immagini che narrano, in forma plastica o pittorica, di emozioni. Allo stesso modo, cogliere le emozioni in un’immagine, partendo dalle composizioni cromatiche o manipolare le immagini per modificarne il contenuto emotivo.

Apprendere, infatti, in modo creativo e personale, come rappresentare vissuti, sentimenti e stati d’animo, accresce la consapevolezza e l’intelligenza emotiva.

Educazione motoria

Un riferimento, infine, all’educazione motoria. Riflettere sulle posture e sulle mimiche delle emozioni, esprimere con il corpo gli stati d’animo, migliorare la respirazione, apprendere tecniche di rilassamento per distrarsi da emozioni negative sono possibilità che offre l’ora di educazione fisica.

Ogni attività, poi, può essere svolta anche con le tecniche di Arti Terapie. Esprimere le emozioni, infatti, con mezzi creativi, quindi, con linguaggi immediati, analogici, non verbali, ne amplifica gli effetti e abbrevia, con la pratica artistica, i tempi di assimilazione dei concetti.


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Miur docente scuola intelligenza emotiva

Miur: sarà la scuola del docente inclusivo e dell’intelligenza emotiva

Sembra davvero che i tempi siano maturi. In Spagna, d’altro canto, da alcuni anni è stata istituita l’ora dell’intelligenza emotiva tra le attività  didattiche in classe per migliorare l’ambiente di apprendimento. La scuola iberica ha, dunque, abbracciato l’idea di Edward De Bono, lo psicologo accostato al pensiero divergente e al problem solving creativo, di aiutare gli studenti a imparare a rendersi autonomi nella ricerca delle soluzioni, grazie alla creatività e allo studio delle emozioni. Ora tocca alla scuola italiana. Così, con la pubblicazione del dossier “Sviluppo professionale e qualità  della formazione in servizio”, il Ministero della Pubblica Istruzione getta le basi per la nascita, nel nostro Paese, del docente inclusivo per un modo trasversale d’intendere l’insegnamento. Anche i nostri professori, in altre parole, andranno a scuola d’intelligenza emotiva.

La Legge 107/2015

Con la Legge 107/2015, non apprezzata da tutti (per usare un eufemismo!), il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca (MIUR), di fatto, introduce sostanziali modifiche all’approccio alla formazione e allo sviluppo professionale. Nasce così la Carta del Docente e un bonus da 500,00 euro annuali che ogni insegnante di ruolo potrà impiegare, nel triennio 2016-2019, per la propria formazione continua e per la valorizzazione delle competenze professionali. Un investimento finanziario di 386 milioni di euro per le azioni formative individuali  che se investiti in formazione per il miglioramento della didattica possono far fare un salto di qualità alla scuola e ai docenti.

Il Piano Nazionale per Formazione dei Docenti

Il Piano Nazionale per Formazione dei Docenti (PFND), recepito con D.M. 797/2016, presuppone che il capitale professionale di cui è dotata la scuola sia uno dei principali fattori di crescita del Paese e che la qualità dell’istruzione sia imprescindibile dalla qualità della formazione. “Per qualificare l’istruzione di un Paese, è importante riscoprire il valore dello sviluppo professionale dei docenti che rappresentano il 97% di un bilancio di una scuola”, come recita testualmente il Piano.

Ecco che allora, in esecuzione a ciò, alcuni giorni fa, sul sito del MIUR viene pubblicato il dossier “Sviluppo professionale e qualità della formazione in servizio”, redatto dalla Direzione Generale per il personale scolastico dello stesso Ministero, per focalizzare l’attenzione degli insegnanti sui punti cardine che ogni formazione/aggiornamento dovrebbe affrontare per essere in linea con il Piano Nazionale di Formazione 2016-2019.


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La scuola inclusiva

Nel dossier, di fatto, l’attenzione all’inclusione e alle diversità viene derubricata dal livello di competenza professionale del docente di sostegno e specifica per allievi con bisogni educativi speciali per diventare un atteggiamento mentale usuale e diffuso di tutti i docenti (“normale” è il temine esatto che usa il Ministero) che agevoli le capacità individuali di “modulare” la didattica in relazione alle caratteristiche personali di ogni allievo. Argomento che i miei lettori abituali sanno che ho personalmente anticipato e trattato in articoli molti apprezzati di cui consiglio la lettura per ogni approfondimento.

Tre su tutti:

La “vera” buona scuola

Chi ricorda quegli articoli troverà coerenza tra quello che il MIUR auspica e le reali necessità della scuola, rilevate (per esperienza diretta) e anticipate da un attento osservatore (e conoscitore) del complesso universo dell’insegnamento. Che si manifesta nei rapporti, spesso tesi, tra l’istituzione e i destinatari ultimi del messaggio formativo, con tutto quello che ne consegue a livello di

  • preparazione generale dei nostri ragazzi,
  • specie se paragonata a quella dei coetanei di altre Nazioni, e
  • d’impatto sul mondo del lavoro.

Insomma, serve qualcosa in più dell’ineccepibile preparazione tecnica disciplinare dei nostri insegnanti. Su questo principio, peraltro, si basa la cosiddetta “vera Buona Scuola“, la riforma che, nei propositi espressi nel  contratto del Governo del Cambiamento da Lega e M5S, dovrebbe soppiantare i punti carenti di quella precedente.

Il docente inclusivo

La circolale MIUR del Maggio 2018 delinea, così, il profilo del docente inclusivo, le cui competenze devono essere aggiornate su più aree, le une integrate alle altre. Così, accanto alle tradizionali competenze tecniche, anch’esse rivisitate alla luce dei nuovi bisogni, ne compaiono di nuove, di carattere trasversale.

Il dossier, testualmente, fa riferimento a competenze di base di matrice:

  • didattica (capacità di pianificazione di interventi mirati, repertorio di metodologie didattiche inclusive e di strategie di individualizzazione e personalizzazione, repertorio di risorse e strumenti per la valutazione incrementale e formativa);
  • organizzativa (capacità di gestire la classe e i gruppi di apprendimento, di allestire ambienti di apprendimento stimolanti, di utilizzare in modo efficace spazi e tempi, di ricorrere a mediatori didattici multicanale, comprese le TIC, per sostenere processi di apprendimento attivi e cooperativi);
  • epistemologica (capacità di riflettere criticamente e di rivedere pratiche e scelte attraverso nuovi percorsi di ricerca e di innovazione);

A cui, indipendentemente dalla materia d’insegnamento del docente, vanno, a questo punto, necessariamente associate quelle di tipo:

  • personale (capacità di empatia, sensibilità pedagogica, motivazione, stile attributivo, livello di autoefficacia, convinzioni personali, aspettative);
  • relazionale (capacità di gestire la comunicazione e le relazioni all’interno della comunità professionale e con i genitori degli alunni);
  • psicopedagogico (conoscenze specifiche sul processo di sviluppo e sulle condizioni per l’apprendimento).

Dico “necessariamente”, poiché da adesso, nelle intenzioni del Miur, dovranno abbandonare la teoria dei testi normativi e diventare pratica.


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A scuola con intelligenza emotiva

La capacità del docente di gestire le relazioni e i comportamenti in classe diventa, dunque, un criterio di qualità, funzionale sia

Una modalità emotivamente intelligente di gestire la dimensione relazionale e comportamentale aiuta, infatti, la creazione di un ambiente di apprendimento ideale. È così che per l’insegnante diventa più agevole trasmettere valori e regole, oltre a gestire in armonia il capitale umano che si fonda su relazione e mediazione tra gli attori. Da una parte.

D’altro canto, è così che il docente creerà

  • relazioni positive con gli allievi e
  • un ambiente di mutuo rispetto, comunicazione coinvolgimento.

Il futuro è oggi

La scuola del futuro è, in sintesi, la scuola dell’intelligenza emotiva, la chiave del cui successo è proprio il docente. Con le sue capacità di

  • far accettare regole condivise;
  • gestire i comportamenti in classe;
  • riconoscere e rispondere ai diversi bisogni emotivi degli studenti;
  • sostenere l’autostima individuale;
  • rinforzare la percezione di efficacia;
  • valorizzare il contributo e l’impegno di ogni singolo studente. Ciascuno secondo le proprie risorse e naturali inclinazioni.

Gli insegnanti non hanno mai smesso ma ci sarà da lavorare ancora. La buona notizia, tuttavia, è che l’intelligenza emotiva, come competenza trasversale, può essere appresa ad ogni età. Anche in modo creativo e divertente.


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A Napoli la prima ora di lezione d’intelligenza emotiva in classe in Italia

ora intelligenza emotiva scuola NapoliMentre si compiono notevoli sforzi in patria per innalzare il livello della preparazione scolastica dei nostri ragazzi (e colmare il gap che ci divide dagli Stati dell’Unione Europea), una vecchia, nuova e preoccupante lacuna respinge la nostra scuola. Nessuno spazio è ancora destinato alla scienza del sé, all’intelligenza emotiva, alla cultura dell’empatia per arginare l’analfabetismo emozionale dilagante. Quanto bisognerà attendere ancora per una riforma che inserisca nei regolari programmi curricolari lezioni su come gestire le emozioni, riconoscere quelle fondamentali – felicità, tristezza, collera, sorpresa, timore, disgusto – e imparare a ricomporre i contrasti in maniera non conflittuale? Leggi tutto “A Napoli la prima ora di lezione d’intelligenza emotiva in classe in Italia”

Le parole che uccidono

Con la stessa facilità, le parole curano o mortificano la fragilità

Nel corso della nostra vita, siamo accompagnati da molte esperienze che ci aiutano a comprendere chi siamo e chi siano gli altri. Ognuna di queste esperienze è, a sua volta, accompagnata dall’incontro con altrettante condizioni dell’anima che raccontano di emozioni e sentimenti. Così, ci “costruiamo come persone” intorno alla tristezza, alla felicità, alla sofferenza, alla solitudine, alla tenerezza, al desiderio, alla speranza, al dolore. E alle parole per dar voce alla dimensione umana che accomuna tutti gli stati d’animo, nessuno escluso: la fragilità. Leggi tutto “Con la stessa facilità, le parole curano o mortificano la fragilità”

Giochi in classe per sviluppare l’intelligenza emotiva

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Un insegnante assiste alla scena di due alunni di prima elementare che si spintonano per uscire per primi dall’aula al momento della ricreazione. Che fare? Intervenire o no? Se sì, come? Diventando giudice della situazione sulla base della scena vista? Chiedendo spiegazioni a entrambi? Parlando con ciascuno separatamente? Ignorando l’accaduto, perché, in fondo “non è accaduto nulla di grave”? Ecco alcune idee creative, ad uso degli insegnanti, per proporre attività in classe finalizzate al miglioramento delle competenze emotive dei ragazzi, necessarie alle sane relazioni. Leggi tutto “Giochi in classe per sviluppare l’intelligenza emotiva”

L’ora curricolare di alfabetizzazione emotiva in classe

intelligenza emotiva e alfabetizzazione emotiva“Nessun apprendimento avviene a prescindere dai sentimenti dei ragazzi. Sentimenti che scaturiscono dai rapporti con gli altri. Ai fini dell’apprendimento, l’alfabetizzazione emozionale è importante almeno come la matematica e la lettura.” Con queste parole, Karen Stone McCown, citata da Daniel Goleman, spiega il programma didattico che ha elaborato per l’apprendimento della Scienza del sé al Neuva Learning Center di San Francisco, la scuola che può essere considerata un vero e proprio corso modello di intelligenza emotiva. L’esperienza, negli ultimi anni replicata con successo nelle scuole spagnole, ha radici negli anni ’60 dello scorso secolo, allorquando si diffonde negli Stati Uniti d’America un movimento per l’educazione affettiva.

Ne ho parlato nei giorni scorsi con l’On. Maria Teresa Bellucci. A lei ho presentato l’idea di introdurre anche in Italia, già a partire dall’Anno Scolastico 2018/2019, un’ora curricolare a settimana  di intelligenza emotiva in classe. L’articolo che segue contiene le motivazioni che possono portare ad un Disegno di Legge per far crescere la nostra scuola. Il prossimo passo sarà una conferenza stampa alla Camera dei Deputati.

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Armare gli insegnanti per rifondare l’educazione

Dove sono finiti il rispetto e l’educazione? I tempi sono veramente cambiati in peggio. Insegnanti, genitori e ragazzi: tutti contro tutti. Dalla contestazione al conflitto il passo è stato brevissimo. Un conflitto, peraltro, che ormai si è spostato dal livello istituzionale (scuola, famiglia, società) sul piano dell’aggressione fisica alla persona. Insulti, minacce e violenze sono l’espressione di un malessere profondo che presenta il conto dell’analfabetismo emozionale. Come siamo arrivati a questo punto? Da che dipende? E’ possibile recuperare l’educazione ai valori positivi per ripristinare la pace? Ecco un’analisi multidimensionale che prende in considerazione i punti di vista degli attori coinvolti e dei diversi aspetti di quella che è diventata una vera e propria emergenza sociale.  Leggi tutto “Armare gli insegnanti per rifondare l’educazione”

Che cos’è, come funziona e a che serve l’empatia?

Detta con parole semplici, l’empatia è la capacità di mettersi nei panni degli altri. E’ il termine con cui le neuroscienze indicano lo stato mentale che interessa l’abilità di un individuo di immedesimarsi in un’altra persona in modo diretto ed esperienziale, fino a coglierne gli stati d’animo, le emozioni e i pensieri. Spesso e impropriamente confusa con la simpatia, l’empatia è un’attitudine innata ma che, in realtà, varia per intensità da soggetto a soggetto. In assenza di patologie, essa dipende dall’indole, dalla sensibilità, dalla storia personale, dalla cultura, dalla formazione e, secondo scoperte relativamente recenti, anche dal sesso (le donne avrebbero una spiccata dote in tal senso, molto più sviluppata che negli uomini).

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