Bilancio sociale: accountability amministrativa e accountability cooperativa

Dall’anno scolastico 2014/15, con l’attivazione del Sistema Nazionale di Valutazione in materia di istruzione e formazione (DPR 80/2013), tutte le istituzioni scolastiche (statali e paritarie), hanno avviato un’attività di analisi e di valutazione interna per definire un insieme di obiettivi ed azioni di miglioramento, secondo il percorso delineato dal Rapporto di Autovalutazione. Entro dicembre 2019 le scuole dovranno pubblicare sul portale “Scuola in chiaro” un rapporto di rendicontazione sociale per diffondere i risultati raggiunti, in relazione agli obiettivi di miglioramento individuati e perseguiti negli anni precedenti, sia in una dimensione di trasparenza che di condivisione e di sviluppo della qualità del servizio offerto con la comunità di appartenenza.

I cambiamenti economici e sociali in atto nel nostro Paese hanno fatto crescere le richieste di accountability delle scuole, per poterne accertare l’effettivo contributo alla creazione di valore pubblico. Il termine accountability esprime anzitutto la responsabilità per i risultati conseguiti da un’organizzazione nei confronti di uno o più portatori di interessi, da parte di un soggetto o di un gruppo di soggetti che subiscono le conseguenze dirette (positive o negative) delle loro scelte e azioni, a seconda che i risultati desiderati siano raggiunti o disattesi. In questo senso, l’accountability segna un cambiamento radicale delle responsabilità del personale, passando dalla conformità a procedure amministrative, alla responsabilità di gestione dei processi, arrivando a puntare l’attenzione sulla capacità di incidere effettivamente sulla soddisfazione dei bisogni, sulla capacità di aggiungere valore sia rispetto a uno stato di bisogno iniziale dell’individuo, sia attraverso un cambiamento di ordine economico, sociale e culturale, nell’intera comunità di appartenenza.

In questo processo di accountability, che possiamo definire di tipo amministrativo, emergono chiaramente tre componenti: l’autonomia, la responsabilità e la trasparenza. Infatti, l’autonomia senza responsabilità rischia di tradursi in autoreferenzialità e la responsabilità senza autonomia pone problemi di attribuzione dei risultati e di assegnazione delle cause degli scostamenti; mentre la trasparenza (D.Lgs. 33/2013) è intesa come accessibilità totale, anche attraverso lo strumento della pubblicazione, sui siti istituzionali, delle informazioni concernenti ogni aspetto dell’organizzazione, degli indicatori relativi agli andamenti gestionali e all’utilizzo delle risorse per il perseguimento delle funzioni istituzionali, dei risultati dell’attività di misurazione e valutazione svolta dagli organi competenti.

E’ doveroso, allora, evidenziare la differenza tra un approccio di accountability amministrativa, in cui la rendicontazione sociale è imposta centralmente e in modo uniforme a tutte le scuole secondo schemi rigidamente prestabiliti a fini di controllo e comparabilità, ed un approccio di accountability cooperativa, in cui la rendicontazione sociale recupera una fondamentale dimensione di condivisione, caratterizzandosi come un processo volontario che nasce dalla consapevolezza del dovere di render conto ai portatori di interessi (stakeholders) dell’uso che viene fatto dell’autonomia scolastica. Mentre l’accountability amministrativa puntualizza il ruolo della rendicontazione come funzionale alla “competizione di confronto”, l’accountability cooperativa focalizza l’esigenza delle scuole, di costruire attraverso il processo di bilancio sociale, rapporti fiduciari con i propri stakeholders.

La redazione del bilancio sociale negli istituti scolastici, perciò, è uno strumento capace di rendere più trasparente e comprensibile la loro complessa funzione educativa, favorendo un dialogo interattivo per la collaborazione fra tutti i soggetti coinvolti. La rendicontazione sociale, attraverso la pubblicazione di indicatori e dati comparabili, l’accessibilità a format valutativi omogenei dal punto di vista dei quadri di riferimento, dei tempi e dei luoghi di pubblicizzazione, è finalizzata essenzialmente a favorire la school choice, enfatizzando la dimensione di trasparenza, ma lasciando nell’ombra la dimensione di condivisione con la comunità di appartenenza (che pure è prevista dal DPR 80/2013).

In effetti, l’inquadramento della rendicontazione come fase terminale del ciclo di gestione della performance assume significato all’interno di una concezione di governance del sistema educativo che mira a promuovere meccanismi tipici del “quasi mercato”, che gli enti pubblici possono utilizzare per promuovere la competizione nella fornitura di servizi pubblici. Ad avviare una serie di riforme del settore educativo nell’ottica del quasi mercato, per favorire la “competizione di confronto” tra le scuole, è stato il Regno Unito, anche se la disponibilità a prendere in considerazione una molteplicità di offerte non sempre risponde a criteri di scelta razionali. Ad esempio, le famiglie potrebbero scegliere per i propri figli la scuola più vicina alla propria abitazione e non necessariamente quella che offre maggiori potenzialità di sviluppo del capitale umano. Inoltre, la libertà di scelta è possibile se esiste differenziazione istituzionale all’interno del settore, che implica da un lato il riconoscimento di autonomia alle singole istituzioni scolastiche, dall’altro la conoscenza da parte degli utenti e di altri stakeholders delle specificità del progetto educativo, del valore aggiunto prodotto dalle istituzioni (rendimenti scolastici attesi) e delle capacità professionali e organizzative dispiegate per soddisfare i bisogni (disponibilità di mense, attività extracurriculari, sicurezza e disciplina all’interno della scuola, ecc.).

La trasparenza e la rendicontazione della performance all’interno di un sistema di quasi mercato hanno lo scopo di accrescere il livello di razionalità delle scelte, dimostrando, in modo trasparente, il ritorno educativo che la scuola è stata capace di assicurare, valorizzando al meglio le risorse di cui disposizione: umane, finanziarie e di contesto sociale. In sostanza, trasparenza e rendicontazione della performance svolgono nel quasi mercato una funzione analoga a quella che svolgono i prezzi nei mercati. Le assunzioni di fondo di questo sistema sono che tutte le famiglie:

  • desiderino un elevato livello di qualità dell’istruzione per i loro figli;
  • siano motivate a informarsi, a comprendere le differenze istituzionali, il diverso valore aggiunto educativo e la performance degli istituti scolastici;
  • siano in grado di confrontare i dati su Scuola in Chiaro, altrimenti potrebbe generarsi un aumento della segregazione sociale e una crescita di iniquità dell’istruzione, con il risultato che ad approfittare della trasparenza e della rendicontazione della performance sia la parte che ne ha meno bisogno.

Mettere al centro dell’accountability cooperativa il bilancio sociale degli istituti scolastici, significa dimostrare la capacità della scuola di realizzare un equilibrio tra missione educativa e disponibilità delle risorse per sostenerla nel tempo. Risorse che non possono essere viste, riduttivamente, solo in termini finanziari; esse sono soprattutto di tipo intangibile, legate, cioè, alla qualità delle risorse umane, dei sistemi organizzativi e dei rapporti con gli interlocutori sociali (personale, studenti, famiglie, altre scuole, enti locali, imprese, ecc.). 

La pubblicazione e la divulgazione del bilancio sociale diventa un evento importante della vita istituzionale, un’occasione per cementare i rapporti con gli stakeholders e costruire la legittimazione sociale della scuola, dando voce ad opinioni, dubbi e perplessità. L’istituto scolastico che, attraverso il processo di rendicontazione sociale, impara ad aprirsi alla società, si mette nelle condizioni di spiegare, giustificare, sciogliere le molte incomprensioni e i giudizi spesso infondati degli interlocutori sociali meno informati e poco attenti alle vicende della scuola.

E’ fondamentale sottolineare che mentre il ciclo di gestione della performance risponde al principio di sussidiarietà verticale e all’esigenza propria dell’esercizio di ogni funzione pubblica di rendicontare, in un’ottica di decentramento amministrativo, l’efficace ed efficiente utilizzo delle risorse pubbliche, l’approccio del bilancio sociale trova il proprio presupposto nel principio della sussidiarietà orizzontale e, dunque, nella necessità che la scuola-comunità si ponga al centro della governance territoriale per indirizzare i complessi problemi sociali che coinvolgono i servizi educativi.

Gli istituti scolastici che non si fermano alla rendicontazione della performance, ma intraprendono un percorso di convinta apertura alla comunità locale, sono in grado di sviluppare al proprio interno l’antidoto alle logiche dell’adempimento formale e della vuota trasparenza che rischiano di trasformare il ciclo della gestione della performance in un freddo rituale. L’intero sistema scolastico perderebbe un’opportunità preziosa per ripensare l’idea stessa di scuola come crocevia della sussidiarietà verticale e orizzontale, scuola-istituzione al centro della coesione sociale e dello sviluppo economico dei territori.

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A scuola … di cittadinanza digitale

Dice il pedagogista e filosofo Edgar Morin:

“Oggi viviamo in un mondo globale, interconnesso dalla rete, in cui le culture si mescolano generando figli planetari, … Viviamo in una società liquida (Bauman),  in cui i cambiamenti sono talmente repentini da costringerci a rivedere continuamente le nostre certezze. La scuola deve essere in grado di insegnare il senso della cittadinanza terrestre per preparare gli studenti all’era planetaria di intersolidarietà, che sorge dalla consapevolezza che tutti partecipiamo ad una comunità di destino. L’uomo deve acquisire una coscienza planetaria, facciamo parte tutti di una terra patria, siamo tutti cittadini della terra”.

E ancora:

“La vera rivoluzione della scuola deve avvenire cambiando la modalità di trasmissione del sapere: internet è un sistema di comunicazione universalmente condiviso che se usato appropriatamente accresce in modo esponenziale le possibilità dell’uomo, perché gli consente di accedere virtualmente alle informazioni dell’intero pianeta, per cui non solo la parte si trova nel tutto, ma il tutto si trova nella parte”.

In questo quadro si inserisce la necessità per la scuola di educare alla “cittadinanza digitale” che abitui gli studenti (cittadini dell’oggi e del domani) ad un uso consapevole e corretto della rete, comprendendone i vantaggi ma, anche, i pericoli.

Per “cittadinanza digitale” si intende quell’insieme di diritti/doveri che, grazie al supporto di una serie di strumenti (identità, domicilio, firma digitale) e servizi, mira a semplificare il rapporto tra cittadini, imprese e pubblica amministrazione, tramite le tecnologie digitali. La cittadinanza digitale, estensione di quella “tradizionale”, scaturisce dall’ampliamento dei mezzi a disposizione del cittadino per l’esercizio di alcuni suoi diritti (partecipazione, informazione e interazione), nonché per espletare i suoi doveri.

Oggi il tema della cittadinanza digitale diventa di primaria importanza perché la qualità, fruibilità, accessibilità e tempestività dei servizi pubblici dipende dalla condizione “tecnologica” di chi ne usufruisce: l’eventuale disparità di trattamento dei cittadini nasce dalla loro incapacità di accedere alla rete, per cui è fondamentale che tutti acquisiscano le competenze digitali necessarie per esercitare i propri diritti.

Il MIUR riconoscendo l’importanza della tecnologia digitale quale strumento didattico per la costruzione sia di competenze generali che specifiche, ha proposto il Piano Nazionale Scuola Digitale (L. 107/2015)  “documento di indirizzo del MIUR per il lancio di una strategia complessiva di innovazione della scuola italiana e per un nuovo posizionamento del suo sistema educativo nell’era digitale”, in sinergia con la programmazione europea e regionale e con il Progetto nazionale per la banda ultralarga.

Consapevoli che nessun processo educativo può prescindere dall’interazione docente-discente e, quindi, che la tecnologia non può distrarsi da questo fondamentale “rapporto umano”, il Piano risponde alla chiamata per la costruzione di una nuova visione di Educazione nell’era digitale, in cui la scuola, superando il ruolo trasmissivo, favorisca e sviluppi negli allievi la capacità di apprendere lungo tutto l’arco della vita (life long learning) e in tutti i contesti: formali, informali e non formali (life-wide learning).

Si tratta, perciò, prima di tutto di un’azione culturale, che parte da un’idea rinnovata di scuola, intesa come spazio aperto per l’apprendimento e non unicamente come luogo fisico. Le tecnologie, allora, diventano abilitanti, quotidiane, ordinarie, al servizio dell’attività scolastica (formazione, apprendimento, gestione, amministrazione) in modo da ricongiungere tutti gli ambienti della scuola.

Gli obiettivi non cambiano, sono quelli del sistema educativo: competenze, apprendimenti e risultati degli studenti, che determineranno l’impatto che essi avranno nella società come individui, cittadini e professionisti. Tali obiettivi vanno aggiornati nei contenuti e nei modi, per rispondere alle sfide di un mondo che cambia rapidamente, che richiede sempre di più agilità mentale, competenze trasversali e un ruolo attivo dei giovani. Per questo servirà che tutto il personale scolastico, non solo i docenti, si metta in gioco, e sia sostenuto, per abbracciare le necessarie sfide dell’innovazione: metodologico-didattiche per i docenti e organizzative per i dirigenti scolastici e il personale amministrativo.

Tra i nuovi contenuti scolastici entra a pieno titolo, in maniera trasversale a tutte le discipline, l’educazione alla cittadinanza digitale per rendere i soggetti in formazione cittadini in grado di:

  • esercitare la propria cittadinanza utilizzando in modo critico e consapevole la Rete e i Media;
  • esprimere e valorizzare se stessi utilizzando gli strumenti tecnologici in modo autonomo e rispondente ai bisogni individuali, sapersi proteggere dalle insidie della Rete e dei Media (plagio, truffe, adescamenti);
  • saper rispettare norme specifiche (privacy, diritti d’autore, ecc.);
  • essere cittadini competenti del contemporaneo.

La Scuola, quindi, è chiamata ad affrontare nuove sfide: la co-costruzione di una cittadinanza digitale, da realizzare a partire dai contesto formativo e dal rapporto che con esso le giovani generazioni (nativi digitali, come le ha definite Marc Prensky nel 2001) realizzano.

I “nativi digitali” sono soggetti che comunicano, interagiscono, apprendono secondo tempi e modalità differenti rispetto ad un recente passato in cui le tecnologie non erano parte integrante, come lo sono adesso, del nostro “quotidiano”. Per il nativo digitale imparare ad usare le posate o l’iPhone (il computer, il tablet, ecc.),  rappresenta uno stesso stadio di crescita, perché non percepisce la tecnologia come “altro”, come estraneo o diverso dai mezzi o dagli strumenti di comune utilizzo (penna, diario, quaderno).

E’ importante, però, sia per gli adulti che per i giovani comprendere che appartenere per motivi anagrafici alla categoria dei nativi digitali non significa essere soggetti automaticamente competenti in campo digitale. Le competenze digitali, infatti, per essere agite in modo critico e consapevole, vanno consolidate attraverso esperienze di formazione specifiche.

Il salto di qualità che genitori, docenti, rappresentati delle istituzioni dovrebbero compiere è quello di considerare se stessi non solo “immigrati digitali” (cioè persone che hanno fatto entrare le tecnologie nella loro vita, in modo consapevole, in una fase avanzata della crescita, per  un interesse personale e/o lavorativo, indotto dal cambiamento in atto) ma anche “pionieri digitali”, perché per la prima volta sono chiamati ad educare alla cittadinanza digitale figli, allievi, nuovi cittadini, progettando, realizzando e verificando nuovi approcci educativi-didattici-comunicativi, attraverso l’uso di tecnologie in veloce e continua evoluzione.

La cittadinanza digitale, perciò, necessita di una “digital literacy” e, quindi, al contempo di un pensiero critico e di solide basi culturali (fatte anche di competenze specifiche), perché se è vero che la Rete fornisce a chiunque la possibilità di dare visibilità alle proprie idee, (generando forme nuove di partecipazione e di organizzazione sociale che promuovono uno spirito decisamente partecipativo, civico e locale), non va dimenticato che essa se utilizzata in modo improprio, rischia di invadere e violare libertà, diritti e interessi costituzionalmente garantiti oltre, naturalmente, alla non meno importante sfera delle emozioni e della sensibilità personale. Comportamenti devianti, questi ultimi, che sfortunatamente oggi, ormai troppo spesso, sfociano in vere e proprie forme di violenza, cyber bullismo ed emarginazione sociale cui la scuola, agenzia educativa per eccellenza insieme alla famiglia, deve dare, assolutamente, risposte e soluzioni concrete ed efficaci.     Leggi tutto “A scuola … di cittadinanza digitale”

La scuola come comunità educante e inclusiva

Il nuovo CCNL del comparto “Istruzione e Ricerca” siglato nel 2018, introduce per la prima volta, ufficialmente, il concetto di scuola come “comunità educante”, cioè una pluralità di soggetti, non più circoscritta, a dirigenti e docenti, ma comprensiva anche di educatori, Dsga, assistenti e collaboratori scolastici, famiglie e studenti. La norma contrattuale (art.24) precisa che “nella predisposizione del Piano Triennale dell’Offerta Formativa… viene assicurato l’utilizzo integrale delle professionalità in servizio presso l’istituzione scolastica”, offrendo un nuovo campo di azione alle scuole nel coinvolgimento strutturato del personale ATA alle attività scolastiche, sempre nel rispetto delle competenze e dei ruoli professionali.

Il concetto di scuola come “comunità educante” deve essere letto sul duplice fronte: della dimensione valoriale, che pone al centro l’alunno e la sua formazione (per cui l’assistente amministrativo e l’assistente tecnico, pur svolgendo un’attività specifica, devono rendere le loro prestazioni funzionali a finalità educative, per es. quando acquistano materiali didattici o organizzano una gita; o, ancora, il collaboratore scolastico che partecipa attivamente all’assistenza alla disabilità, all’organizzazione della sicurezza in  ambiente educativo, all’elaborazione del PEI) e di quella organizzativa, che rende specifiche, e non fungibili, tutte le professionalità scolastiche, per sottolineare, valorizzare e curare “l’aria educante” che si respira nella scuola.

Non è possibile, infatti, ridurre le istituzioni scolastiche a una visione meramente “aziendalistica”, il che non significa, naturalmente, che esse non debbano e non possano essere in sintonia con le collettività professionali interne ed esterne alla scuola, con il territorio e con l’odierno mondo del lavoro. Anzi, è vero l’esatto contrario! La “scuola azienda”, però, costituisce una visione stravolta dell’istituzione, cui la Costituzione italiana, invece, ha affidato il compito di perseguire finalità educative, senza condizionamenti e in assoluta autonomia.

Questi concetti erano già stati evidenziati dallo studioso americano Sergiovanni, secondo il quale le comunità a scuola “possono essere pensate come aventi ‘centri’ che sono depositi di valori condivisi che danno orientamento, ordine e significato alla vita della comunità’; le scuole possono diventare comunità: che si prendono cura, dove i membri manifestano un coinvolgimento reciproco totale; che apprendono, dove apprendere è un atteggiamento come anche un’attività; di professionisti in educazione dove gli ideali di virtù professionali fioriscono; collegiali i cui membri sono legati da un senso di interdipendenza e obbligo reciproco profondamente sentiti; inclusive dove le differenze sono accolte e valorizzate all’interno di un insieme orientato al mutuo rispetto; di ricerca dove i membri si lasciano coinvolgere da uno spirito di ricerca attiva e collettiva. Ma per diventare ognuna di queste cose, le scuole devono prima diventare comunità che hanno uno scopo ben preciso; luoghi dove i membri hanno sviluppato una comunità di pensiero che li tiene insieme in un modo speciale e li lega a una ideologia condivisa”.

Seguendo il suo pensiero, allora, possiamo affermare che i valori condivisi che possono orientare la comunità scolastica verso tali prospettive sono quelli inclusivi. Infatti, Sergiovanni ci dice che le scuole come comunità inclusive sono: “luoghi in cui le differenze di natura economica, religiosa, culturale e d’altra natura, sono accolte insieme in un tutto caratterizzato da reciproco rispetto. La trasformazione della scuola in comunità si ha nel momento in cui si condividono idee in grado di trasformare l’IO in NOI”.

Purtroppo, i recenti “attacchi” terroristici, nel cuore di un’Europa che si dichiara “inclusiva”, segnalano, al contrario, la mancanza di un’autentica integrazione nel tessuto sociale. I migranti e i rifugiati pongono l’Europa di fronte a una nuova sfida educativa, che richiede il ripensamento dei modelli adottati, in cui sono ancora attualissimi i 4 pilastri dell’educazione presentati da Delors alla fine degli anni 90: imparare a conoscere, imparare a fare, imparare a vivere insieme, imparare ad essere.

Alla luce di tali istanze, in quale prospettiva oggi è possibile pensare la scuola? Come comunità in grado di favorire il benessere di tutti i suoi membri o come organizzazione in grado di soddisfare le richieste provenienti dal mercato del lavoro? La scuola deve sviluppare soltanto le competenze richieste dal mercato del lavoro o deve anche insegnare ad essere, cioè a diventare cittadini del mondo globale? E ancora, cosa significa realmente “buona scuola”?

Non si può rispondere alle suddette domande senza prima stabilire e definire quale modello di uomo e di cittadino la scuola odierna voglia formare.

L’educazione, come già indicato da Delors, “è un tesoro: è l’arma più efficace per combattere il terrorismo e le derive politiche nazionalistiche, che generano paura per le diversità” che emergono nella odierna società globale. La scuola dell’oggi e del domani, perciò, deve accettare la sfida della diversità ed essere inclusiva, in grado di valorizzare le differenze, di educare alla pace, di costruire nuovi modelli di cittadinanza, in poche parole può e deve essere la scuola-comunità, dove vi è attenzione per l’educazione alle differenze.

Ci troviamo in un’epoca di rapidi mutamenti, in piena crisi economica e valoriale, nella quale per la scuola (sia a livello centrale che periferico) diventa difficile individuare quali siano le priorità da perseguire: da una parte la scuola come efficiente azienda al servizio del lavoro e dell’economia, dall’altra la necessità di ripensare ad essa in termini più umanizzanti, creando comunità inclusive.

Uno strumento utile per la costruzione della scuola come comunità inclusiva è costituito dall’Index for Inclusion (Booth, Ainscow, 2014) che integrando le tre dimensioni della cultura, della politica e delle pratiche inclusive mette in evidenza la circolarità esistente tra questi elementi e la loro interdipendenza. Secondo l’Index gli elementi per costruire una scuola inclusiva sono: un quadro di valori condivisi; lo sviluppo sistematico di strategie di comunità e la ricerca attiva di relazioni in cui ruoli e gruppi si costituiscono e cambiano in funzione dei servizi (e non viceversa); la valorizzazione delle differenze.

E’ opportuno tenere presente che la partita dell’inclusione si gioca sulla creazione di reti e sulla condivisione da parte di tutta la comunità scolastica di una cultura inclusiva, da esplicitare in scelte politiche e pratiche inclusive; va da sé che questa “partita” non possono giocarla soltanto gli insegnanti e/o il dirigente scolastico. L’inclusione riguarda tutti e ciascuno, e quindi ogni scuola è necessario che elabori, al suo interno, una propria “vision pedagogica inclusiva” condivisa da dirigente, insegnanti, personale ATA, genitori, studenti e, persino, dal territorio, cui ognuno deve contribuire per la parte che gli è propria.

E’ così che si costruisce una scuola come comunità che apprende (Comoglio), in cui tutti gli attori sono interdipendenti e lavorano insieme affinché essa si trasformi in una comunità di valori, di pensiero, di ricerca, di azione, di pratica, affinché l’apprendimento divenga un processo di dialogo continuo, attivo e collaborativo, per la costruzione del pensiero critico, divergente, creativo, in grado di formare teste ben fatte, e per insegnare il senso della cittadinanza terrestre (Morin). Leggi tutto “La scuola come comunità educante e inclusiva”

Il Parlamento Europeo

Il Parlamento Europeo

Dal 23 al 26 maggio 2019 si svolgeranno negli stati membri dell’Unione Europea le votazioni per eleggere, a suffragio universale, i nuovi deputati che faranno parte del Parlamento Europeo, ma la maggioranza dei cittadini ha compreso pienamente l’importanza e la valenza di tale evento? E’ fondamentale non solo andare a votare ma, anche, ponderare con attenzione a chi dare il proprio voto poiché l’UE costituisce sicuramente un’opportunità da svariati punti di vista, ma soltanto se i nostri deputati sono in grado di promuovere iniziative valide, di dialogare, comprendere, mediare, superare egoismi nazionalistici ed interessi privati meramente economici, a favore, invece, del progresso collettivo, dell’ecosostenibilità, della solidarietà.

Il Parlamento Europeo è l’organo legislativo dell’UE, eletto ogni 5 anni direttamente dai cittadini dell’Unione, composto da 751 deputati (750 più il presidente), organizzati in base allo schieramento politico e non alla nazionalità. Il numero di eurodeputati per ogni paese è pressoché proporzionale alla popolazione di ciascuno Stato, secondo criteri di proporzionalità degressiva: un paese non può avere meno di 6 o più di 96 eurodeputati.

Il Parlamento Europeo, istituito nel 1952 quale Assemblea comune della Comunità Economica Europea del carbone e dell’acciaio, assume la denominazione attuale nel 1962, con elezioni dirette a partire dal 1979. Esso ha tre sedi, Strasburgo, Bruxelles e Lussemburgo, e tre funzioni principali:

  • legislazione – insieme al Consiglio dell’UE, il Parlamento, su proposta della Commissione Europea, adotta la legislazione dell’Unione, decide sugli accordi internazionali e in merito agli allargamenti, chiede alla Commissione di presentare proposte legislative;
  • supervisione – controlla tutte le istituzioni dell’UE, elegge il presidente della Commissione e può obbligare la stessa a dimettersi, concede il discarico (cioè approva il modo in cui sono stati spesi i bilanci dell’UE), esamina le petizioni dei cittadini e avvia indagini, discute la politica monetaria con la BCE, rivolge interrogazioni alla Commissione e al Consiglio, effettua il monitoraggio elettorale;
  • bilancio – elabora il bilancio dell’UE (insieme al Consiglio), approva il “quadro finanziario pluriennale” (bilancio di lungo periodo).

Il lavoro del Parlamento europeo si articola in due fasi principali:

le commissioni (20 commissioni e 2 sottocommissioni, ognuna delle quali si occupa di un determinato settore) che preparano ed esaminano le proposte legislative. Gli eurodeputati e i gruppi politici possono presentare emendamenti o respingerli;

le sessioni plenarie che adottano la legislazione. In questa fase gli eurodeputati si riuniscono per esprimere un voto finale sulla proposta legislativa e gli emendamenti presentati.

Per chiedere al Parlamento di agire su una determinata questione, qualsiasi cittadino o residente di uno Stato membro può presentare una petizione, che può riguardare qualsiasi tema rientri fra le competenze dell’UE. Anche società o altre organizzazioni possono farlo purché abbiano sede nell’UE. È, inoltre, possibile contattare il Parlamento Europeo mediante l’eurodeputato della propria circoscrizione o del proprio paese.

Le sedute del Parlamento Europeo sono aperte al pubblico e le sue risoluzioni e discussioni sono pubblicate sulla Gazzetta ufficiale dell’UE. I deputati europei si riuniscono in seduta plenaria una settimana al mese presso la sede di Strasburgo, mentre altre udienze supplementari di due giorni si svolgono a Bruxelles. Il Parlamento ha il potere di riunirsi senza essere convocato da un’altra autorità, infatti le sue riunioni (che in parte sono regolate dai trattati) si svolgono secondo quanto stabilito dal Parlamento, mediante un proprio regolamento interno. Due settimane al mese, invece, sono riservate alle riunioni delle commissioni parlamentari che si tengono sempre a Bruxelles. La settimana restante è dedicata alle riunioni dei singoli gruppi politici.

Le votazioni, generalmente, sono condotte per alzata di mano, ma può essere richiesta una verifica tramite votazione elettronica. In alcuni casi (ad esempio, quando viene eletto il presidente) è previsto il ballottaggio segreto.

I membri sono disposti in un emiciclo in base ai loro gruppi politici, ordinati principalmente da sinistra a destra, mentre alcuni gruppi più piccoli sono posizionati nell’anello esterno del Parlamento. La restante metà della camera circolare è composta essenzialmente da una zona rialzata dove si siedono il Presidente e lo staff; tra questa zona e gli eurodeputati, all’estrema sinistra sta il Consiglio mentre a destra la Commissione.

Le funzioni del Parlamento Europeo, come si evince da questa breve esposizione, sono molto importanti per garantire l’esercizio democratico dei diritti e dei doveri di tutti i cittadini europei, ecco perché il risultato delle elezioni di maggio 2019 sarà decisivo per il futuro dell’Europa nell’ottica della cooperazione e del progresso politico delle nuove generazioni. Non si tratta solo della scelta  dei rappresentanti; milioni di europei attraverso il loro voto diranno come vedono l’Europa: unita da un destino comune oppure divisa da nazionalismi ed egoismi esasperati.

Oggi il modello di cooperazione europea è indebolito al suo interno da forze centripete e minacciato anche dall’evoluzione degli equilibri geo-strategici mondiali (vedi alcune politiche di Donald Trump o di Vladimir Putin, le tensioni in Asia intorno alla penisola coreana, le velleità di Pechino nel mar Cinese meridionale, ecc.), che hanno contribuito ad alimentare lo scetticismo sulla risposta europea in termini di politica estera.

Di fronte a scenari “sovranisti” di una gravità senza precedenti, l’immobilismo o l’astensionismo non sono più accettabili: difendere l’Europa non vuol dire preservare soltanto un contesto di cooperazione, ma prima di tutto proteggere i nostri ideali democratici, i nostri valori fondamentali, la nostra storia e identità comune, per difendere uniti, con più forza, i diritti di tutti gli europei.

Per garantire una cooperazione sostenibile, però, la nostra generazione si deve impegnare a rifondare un’Europa in cui trovi stabile cittadinanza una nuova idea di sovranità europea, ricongiungendo l’Europa ai suoi abitanti e facendo sì che gli europei riflettano seriamente sul loro destino comune. Leggi tutto “Il Parlamento Europeo”

L’Europa che ci fa crescere

Che l’incontro e il confronto tra culture diverse sia un’opportunità di crescita e non una minaccia, credo sia ormai stato ampiamente dimostrato e, seppure, tale opinione non sia condivisa da tutti, le innumerevoli esperienze di progetti europei avviate da parecchi anni nelle nostre scuole, sembrano avvalorarla. Sia i dirigenti che i docenti, gli studenti e le famiglie coinvolti nei progetti di gemellaggio, di scambi culturali e professionali hanno espresso pareri e commenti decisamente positivi in termini di crescita personale, di formazione ed educazione, di relazione e di integrazione sociale.

L’Istituto Tecnico Commerciale “Edoardo Pantano” di Riposto (antica e prestigiosa scuola della provincia di Catania), che dall’anno scolastico 2016/17 fa parte dell’Istituto Superiore di Riposto, dal 2006 ha aderito a svariate iniziative di respiro europeo, che hanno arricchito ed ampliato l’offerta formativa della scuola permettendo agli utenti, ma anche al territorio, di allargare i propri confini, di esportare e far apprezzare la cultura e le tradizioni mediterranee in tutta l’Unione Europea. Molti i paesi coinvolti: Bulgaria, Polonia, Francia, Spagna, Inghilterra, Austria, Germania, Turchia, Belgio, Lussemburgo, Norvegia.

Responsabile dei progetti Erasmus Plus dell’istituto è la professoressa Pina Valastro (insegnante di lingua francese) che sottolinea: “Nel corso degli anni gli studenti dell’istituto hanno avuto la possibilità di relazionarsi e confrontarsi con coetanei di culture differenti, lavorando insieme su tematiche di interesse comune come:

  • Le riserve naturali;
  • La vita dei migranti nel paese di accoglienza;
  • Conoscersi per comprendersi;
  • L’alimentazione sana;
  • I giovani e gli anziani;
  • L’immigrazione;
  • L’Unione Europea.

Tante le iniziative che l’Istituto Superiore di Riposto negli anni ha organizzato per promuovere la partecipazione ai suddetti progetti di tutta la comunità scolastica, delle autorità locali e della cittadinanza, come la “Festa dell’Europa” che si svolgerà il prossimo nove maggio. Spesso, gli studenti nello svolgimento delle attività previste dai differenti progetti europei hanno intervistato i cittadini e il Sindaco di Riposto, hanno svolto sondaggi fra la popolazione del territorio, visitato associazioni e centri di accoglienza per ascoltare e raccogliere testimonianze dirette, ecc.

Tutto ciò – continua la docente – ha contribuito a sviluppare nei discenti attitudini e competenze essenziali di tipo civico, sociale, organizzativo, linguistico, imprenditoriale, grazie, anche, all’utilizzo di metodologie didattiche e comunicative innovative, basate sulle tecnologie digitali. Attraverso la partecipazione ai progetti europei gli alunni hanno avuto l’opportunità di mettersi in gioco e di crescere sia come studenti sia come cittadini, percependo l’Europa non più come un’organizzazione lontana bensì come una realtà vicina in cui potersi muovere liberamente e dove poter trovare lavoro in futuro.

La prof.ssa Valastro sottolinea ancora: “Un ruolo importante hanno avuto le famiglie degli studenti accogliendo le delegazioni straniere partner di progetto, ospitando gli studenti stranieri, preparando specialità tipiche siciliane da far gustare, accompagnandoli nella visita dei luoghi artistici e paesaggistici più belli del nostro territorio.” Le famiglie, inizialmente titubanti, oggi sollecitano, auspicano e collaborano attivamente con la scuola affinché i loro figli possano partecipare ai programmi europei, riconoscendone a pieno la valenza educativa e formativa.

La responsabile dei progetti Erasmus, poi, evidenzia come attraverso la partecipazione agli stessi gli allievi siano riusciti ad instaurare dei legami di amicizia stabili nel tempo con i loro corrispondenti; infatti diversi studenti, ormai diplomati da anni, continuano a scriversi e/o a vedersi.

Parlando con altri insegnanti della scuola, che negli anni sono stati coinvolti nella progettazione e realizzazione dei progetti europei, sono emersi, inoltre, altri due aspetti importanti: da un lato l’indiscutibile arricchimento in termini di formazione professionale per la comunità docente; dall’altro la grande opportunità che tali iniziative rappresentano per i ragazzi che, pur essendo meritevoli, appartengono a contesti culturalmente ed economicamente svantaggiati. Per questi studenti i progetti Erasmus rappresentano l’unica possibilità di relazionarsi con culture diverse e visitare paesi all’estero, di approfondire le lingue straniere che studiano, nonché di sviluppare nuove competenze legate alle capacità creative, imprenditoriali e di versatilità.

Il dirigente scolastico, la dott.ssa Maria Catena Trovato, consapevole della grande valenza educativa e formativa dei programmi europei, ha promosso i progetti Erasmus + nelle diverse lingue straniere previste nel curricolo d’istituto, veicolando e sottolineando l’importanza della mobilità e dello studio delle lingue straniere per i cittadini dell’odierno mondo globalizzato; offrendo supporto tecnico, organizzativo e formativo ai docenti ed al personale amministrativo, per facilitare lo progettazione e la realizzazione dei progetti suddetti.

Gli studenti intervistati, appartenenti a classi sia del biennio che del triennio, riferiscono di essersi particolarmente entusiasmati nel partecipare ai progetti Erasmus + per svariati motivi: l’approfondimento e la pratica sul “campo” delle lingue straniere; la conoscenza di usi e costumi diversi dai propri; la possibilità di confrontarsi, non solo virtualmente ma anche di presenza, con coetanei di contesti culturali differenti e, quindi, di instaurare rapporti di amicizia duraturi nel tempo; l’acquisizione di nuove competenze sociali, civiche e culturali; l’ampliamento delle future opportunità di studio e di lavoro.

Infine, va sottolineato quanto sia importante per la comunità scolastica imparare ad utilizzare le nuove forme di collegamento con l’esterno, in rete (per es. la community eTwinning, che è una delle azioni del programma Erasmus + e che rappresenta la più grande comunità europea di insegnanti attivi nei gemellaggi elettronici tra scuole per condividere informazioni, opportunità di formazione, ottenere riconoscimenti e certificazioni, migliorare la qualità dell’insegnamento) in modo da innescare pratiche di arricchimento e potenziamento della didattica, e per superare l’autoreferenzialità che tuttora, ahimè, caratterizza parecchie scuole italiane. Leggi tutto “L’Europa che ci fa crescere”

L’Unione Europea: opportunità di studio, lavoro e ricerca

L’Unione Europea attraverso svariati programmi che incentivano gli scambi di esperienze, sia in piattaforma che in presenza, favorisce e sostiene la formazione degli studenti attraverso la condivisione di un’offerta formativa di ampio respiro; occasione unica anche per i ragazzi che sono nati in luoghi culturalmente ed economicamente svantaggiati.

Da alcuni anni l’UE, vive un periodo di evidente crisi di consensi. L’uscita della Gran Bretagna dall’Unione, la grande difficoltà a gestire il flusso dei migranti provenienti soprattutto dai paesi dell’Africa e del Medio Oriente, la minaccia sempre pressante del terrorismo di matrice islamica, il perdurare della recessione economica in quasi tutti i paesi europei, del conflitto siriano e dell’instabilità in Libia, sono senza dubbio elementi di grave destabilizzazione dei valori che portarono alla costituzione dell’UE e, quindi, di indebolimento di una visione condivisa che dalle origini aveva consentito di raggiungere importanti e significativi risultati.

Per la prima volta, la capacità di attrazione dell’UE viene messa in discussione dall’interno. Nonostante ciò, dal punto di vista dell’istruzione/formazione, del lavoro e della ricerca essa rimane indubbiamente una risorsa ancora non appieno sfruttata, soprattutto da docenti e studenti italiani.

Com’è noto, pur essendo i singoli stati membri sovrani e responsabili dei propri sistemi educativi e formativi, nel rispetto delle tradizioni educative, culturali, economiche e sociali di ogni nazione, ormai da decenni, vengono emanate delle Raccomandazioni dal Parlamento europeo per accordare i differenti sistemi scolastici e uniformare i titoli di studio e le qualifiche secondo quadri comuni di riferimento, in modo da permettere una reale mobilità dei cittadini europei all’interno dell’Unione, sia per motivi di studio e di ricerca sia per lavoro. L’UE ha, perciò, una funzione di supporto fissando obiettivi comuni e favorendo lo scambio di buone pratiche.

Analizzando tutti i sistemi scolastici dei paesi membri dell’Unione si rileva inequivocabilmente e in modo generalizzato la promozione dell’educazione alla “cittadinanza responsabile” per sviluppare nei giovani il pensiero critico, la cultura politica e la partecipazione attiva alla vita sociale. Due obiettivi principali delle strategie di collaborazione per il periodo 2010-2020: offrire ai giovani nuove e pari opportunità di studio e lavoro; incoraggiarli a partecipare attivamente alla società.

Emerge la finalità di creare maggiori opportunità lavorative e una vita “migliore” e, di conseguenza, dimostrare che l’Europa è in grado di promuovere una crescita sostenibile, inclusiva e intelligente. Per cui, a seguito del non completo raggiungimento degli obiettivi della strategia “UE 2010”, è stato concepito il Programma Erasmus + (2014/2020) che accorpa in un unico segmento di finanziamento, tutti i programmi a sostegno dell’istruzione, formazione, gioventù e sport, con lo scopo di sostenere, anche, gli obiettivi relativi all’istruzione della Strategia “UE 2020” (crescita intelligente, inclusiva e sostenibile, occupazione, equità sociale e integrazione) e i traguardi nel campo dell’istruzione e formazione per la cooperazione europea del programma Education and Training 2020, “ET 2020” (forum per scambi di informazioni, buone pratiche didattiche e formative, apprendimento cooperativo, metodi di lavoro comuni, strategie e soluzioni vincenti, ecc.)

Il programma Erasmus +, coinvolge numerose organizzazioni (università, istituti d’istruzione e formazione, centri di ricerca, imprese private, ecc.) e offre la possibilità alle persone di tutte le età (studenti, docenti, personale amministrativo, dirigenti, cittadini in genere) di usufruire della mobilità per condividere e sviluppare conoscenze e competenze presso istituti e organizzazioni di differenti paesi dell’UE o, anche, di creare e gestire in modo innovativo progetti comuni attraverso gemellaggi elettronici, come ad esempio “e-Twinning”, che è la community europea più grande di insegnanti attivi nel settore.

Fra le attività possibili: studiare e insegnare all’estero, svolgere servizio di volontariato o di tirocinio formativo europeo, o esperienze sportive di livello comunitario per gli studenti-atleti (promuovendo le carriere duplici), azioni per sostenere lo sport e l’attività fisica in generale, per affrontare le minacce relative all’integrità dei valori insiti nello sport (quindi favorire la tolleranza, il rispetto delle regole e dell’avversario, l’integrazione) e, non da ultimo, contribuire ad organizzare la settimana europea dello sport.

Altra iniziativa fondamentale nel settore dell’istruzione è il programma “Youth on the move”, il cui scopo è di aiutare le nuove generazioni ad acquisire conoscenze, abilità, competenze ed esperienze adeguate alle richieste dall’odierno mercato del lavoro e, quindi, facilitarne l’inserimento. L’UE punta ad una scuola basata sulla personalizzazione degli apprendimenti, su un’azione formativa che tenga conto del diritto di ognuno di apprendere secondo le proprie attitudini e capacità. Ogni paese ha sviluppato un proprio modello di istruzione e formazione che sebbene ancorato alle tradizioni e al contesto nazionale, tiene conto delle raccomandazioni dell’Unione, in un processo di armonizzazione dei diversi sistemi educativi, che devono confrontarsi con una domanda formativa e lavorativa caratterizzata da una grande mutevolezza e da una dimensione sempre più globale.

La partecipazione alle iniziative europee, perciò, è un modo efficace per sviluppare nuove competenze legate all’apprendimento sul campo delle lingue straniere e alle capacità creative, imprenditoriali e di versatilità, che consentiranno ai cittadini del domani non solo di inserirsi più facilmente e attivamente nel mondo del lavoro, ma, anche, laddove fosse necessario, di cambiare lavoro, perché in grado di continuare a formarsi e ri-immettersi continuamente nel circuito in perpetuo divenire delle attività produttive.