Che cosa sono le vacanze? Breve storia di un mito, di un rituale, di un traguardo


Il sostantivo femminile «vacanze», attestato nell’uso della nostra lingua italiana fin dal XVI secolo, deriva dal sostantivo latino, neutro plurale, vacantia, un plurale sostantivato del verbo vacare: «esser vuoto, esser vacante, esser libero da, […] essere immune da vizi, […] avere tempo per (dare ascolto a) qualcuno, ecc…».

Se nella nostra lingua italiana il termine rimanda ad un’«assenza», ad uno «svuotamento» nei dialetti del Sud – scruta con acutezza l’antropologo Franco La Cecla, che nei suoi lavori ha affrontato a più riprese il tema dell’organizzazione dello spazio contemporaneo – l’aggettivo è un «rimprovero, un riferimento all’assenza di contenuto di/ in una persona».

Nel nome «vacanza», però, c’è una storia ben più lunga, millenaria che muove da Ulisse, il «figlio di Laerte, una figura che ha letteralmente afferrato l’immaginario occidentale, un personaggio il cui vero viaggio è senza fine» (cfr. P. Boitani, Il grande racconto di Ulisse) che è attraversata dall’aristocratico e, in origine, britannico per approdare nelle coste italiane, spagnole e greche negli anni Venta, Trenta del Novecento quando nasce il «mito delle vacanze al mare».

Nell’antico mondo romano il diritto all’otium è riconosciuto solo ai nobili. I Romani trascorrono il tempo libero (appunto, otium) nelle ville in campagna o sulla costa di Baia, Pozzuoli, Miseno che diventano il ritrovo di tutta l’aristocrazia del periodo. Nei secoli che vanno dal XVI al XIX si diffonde, si afferma il Grand Tour nell’Europa centrale mediterranea come lunga «vacanza» di formazione (Bildung) per i/le giovani aristocratici/che. È nel Regno Unito del XVII secolo che compaiono i primi luoghi di villeggiatura termale. A partire dal Settecento, andare in vacanza in campagna è una moda degli aristocratici, un segno distintivo che dava lustro al nome della famiglia. Come scritto sopra è negli anni Venta / Trenta del secolo scorso che nasce il mito delle vacanze al mare.

Vacatio, per paradosso, è uno «spazio vuoto» attraversato e pregno di tempo libero, cioè un tempo dotato di libertà, a differenza di quello dedicato al lavoro che è invece un tempo scandito dall’obbligo, dalla produzione, ecc…

Il tempo delle vacanze è il vero tempo libero, quello che ha in sé la pienezza, la pienezza di una scelta che si palesa nella chiacchierata con un amico, nella scelta di un bel libro, di una passeggiata sotto le stelle con chi si ama, di una nuotata con un figlio, ecc…

Le nostre vacanze non siano pagine vuote ma una sosta per ri-partire. Alberto Moravia (1907-1990), che nella sua opera letteraria mette in luce, con grande realismo, la vasta e variegata umanità delle periferie senza mai giudicarla, ci dà un consiglio su come vivere questo tempo di ferie. In uno dei saggi raccolti nel volume L’uomo come fine (1964), Moravia, riconosce che «per ritrovare un’idea dell’uomo, ossia una vera fonte di energia, bisogna che gli uomini ritrovino il gusto della contemplazione. La contemplazione è la diga che fa risalire l’acqua nel bacino. Essa permette agli uomini di accumulare di nuovo l’energia di cui l’azione li ha privati».

Dunque, buone vacanze a tutti/e come un momento libero dalle consuete occupazioni ma teso ad «accumulare energia» per cercare di comprendere come abitare, nel miglior modo possibile, il nostro mondo.

Lascia un commento

Nome *
Email *
Sito web