Conoscenza scientifica, senso comune ed etica della responsabilità


Definire il ruolo del sapere scientifico nella società odierna, complessa, polimorfa, globalizzata e sotto l’influenza del “politeismo dei valori”, è cosa assai importante.

È a tutt’oggi ancora aperto il dibattito sul valore della ‘scienza’. Del resto, la discussione dei filosofi su una soddisfacente definizione della stessa è ancora accesa. Sicuramente, l’attesa è che la scienza appaghi la richiesta di estensione permanente della conoscenza e il bisogno di trovare soluzioni ai problemi che l’uomo sente come indifferibili e determinanti per la propria esistenza.

Risultati di ricerca dimostrabili, descrizione analitica dell’oggetto e correggibilità del processo conoscitivo sono le garanzie proprie della scienza. Nel metodo scientifico, la possibilità dell’errore è strutturale, così come, nell’organizzazione dello stesso, la possibilità di revisione.

Sulla base del fallibilismo di Peirce, nel ’900 la scienza perde ogni pretesa di garanzia assoluta.

L’infallibilità in questioni scientifiche mi sembra una pretesa irresistibilmente comica.” (Pierce, in “Collected Papers”).

Il vecchio ideale scientifico dell’epistéme, della conoscenza assolutamente certa e dimostrabile, si è rivelato un idolo. L’esigenza dell’obiettività scientifica rende inevitabile che ogni asserzione scientifica rimanga per sempre come un tentativo”, sostiene Popper.

All’uomo è dato solo congetturare e la possibilità di autocorreggersi.

Ma la scienza, oggi, ha ancora un valore connaturato?

Nel suo Dizionario di Filosofia, Nicola Abbagnano conclude che la migliore definizione di ‘Valore’ è quella che lo considera come una possibilità di scelta, cioè come una disciplina intelligente delle scelte, che può condurre ad eliminarne alcune o a dichiararle irrazionali o dannose, e può condurre (e conduce) a privilegiarne altre, prescrivendone la ripetizione ogni volta che certe condizioni si verifichino’. In altri termini si può affermare che noi diamo valore a ciò che esalta le autentiche possibilità di scelta, ‘cioè a quelle scelte che potendosi sempre ripresentare come possibili nelle stesse circostanze, costituiscono la pretesa del Valore alla universalità e alla permanenza’.

Poiché la scienza, nelle caratteristiche sopra enunciate, sembra offrirsi come disciplina intelligente delle scelte, ha certamente un valore intrinseco” (cfr. Il valore della conoscenza scientifica – Pedagogia.it).

All’origine del percorso della scienza vi è il problema e il bisogno, l’affanno e la curiosità, il dubbio e l’incertezza. L’uomo è insufficiente a se stesso e necessita di una conoscenza ampia del mondo in cui è ricompreso e da cui dipende, pur nella consapevolezza che, come sosteneva Bacone, “la sottigliezza della natura eccede di gran lunga la sottigliezza del senso e dell’intelletto”.

L’interesse per il mondo che ci ricomprende e ci circonda scaturisce dalla consapevolezza dell’uomo di non essere altro dalla natura e quindi di non essere da essa separato. Di contro, le antropologie moderne evidenziano la centralità dell’uomo e il dominio dell’uomo sulla natura.

Il filosofo tedesco Hans Jonas, allievo di Heidegger, riflettendo sui motivi culturali per cui persone di grande calibro scientifico non abbiano assunto atteggiamenti responsabili nei momenti determinanti della storia, ha ritenuto urgente la formulazione di una nuova teoria etica – questione estremamente attuale, dal momento che i tempi odierni impongono all’uomo di effettuare valutazioni di nuove possibilità e di compiere scelte del tutto nuove. L’auspicio di  Jonas è quello di individuare “un bene”, “un valore”, insito nella struttura stessa dell’essere, che colmi il divario tra “essere” e “dover essere”. L’impegno è negare il “non-essere” e agire in favore della vita e per il bene delle generazioni future. Il fine è scongiurare catastrofi a causa dell’assenza di controllo umano. Da qui il ruolo fondamentale della “paura” nel preservare il genere umano dalla distruzione. La paura, dunque, come  freno all’irresponsabilità e spinta verso la sopravvivenza.

Jonas coglie bene la questione di fondo dei nostri sistemi politici, in quanto le nostre democrazie teorizzano la politica in termini di diritti, che hanno una prospettiva universalistica, però poi la praticano in termini di utilità, e quindi in modo particolaristico, perché le utilità o sono sempre le utilità di un gruppo nazionale contrapposto agli altri oppure, all’interno di un gruppo, determinate categorie che dicono di voler difendere i propri interessi.” (Hans Jonas).

Dunque, la scienza vale nella misura in cui l’uomo vale. E la scienza è onesta (valida, libera, tecnica, critica) nella misura in cui l’uomo è onesto (libero, critico, responsabile, disinteressato).

Anche la Raccomandazione del Consiglio Europeo, 22 maggio 2018, sulle competenze chiave per l’apprendimento permanente (rinnovamento e sostituzione dispositivo del 2006), muovendo dalle consapevolezza del valore della complessità e dello sviluppo sostenibile, relativamente alla Competenza in Scienze, Tecnologie e Ingegneria , pone – strategicamente – l’accento, oltre che sulla conoscenza,  sugli aspetti del processo e dell’attività, prediligendo un rapporto più stretto tra apprendimento formale, creatività ed esperienze di laboratorio e ponendo tali competenze  in stretta relazione con i valori – valutazione critica, curiosità, responsabilità verso l’individuo, la famiglia, la comunità e le questioni di dimensione globale – le questioni morali, la cultura, la sostenibilità ambientale.

La struttura socio-storica in cui la conoscenza scientifica si produce, ne determina le forme.

Le diverse forme di conoscenza che si producono in contesti socio-storici diversi affondano le radici in un humus simbolico che è indicatore privilegiato di tutte le forze sotterranee che attraversano la società. L’immaginario interno o psichico, inteso come fonte comune di individui che abitano stesse comunità, produce icone verbali e figurali che sono esteriorizzazioni utilissime alla comprensione del processo di costruzione e di definizione della realtà. Eventi traumatici che producono mutamenti nelle configurazioni sociali hanno come conseguenze di lungo periodo la distruzione di un paesaggio interiore tradizionale, e innescano una mutazione culturale che investe radicalmente schemi mentali che fanno da supporto alla vita di intere popolazioni. E siccome la natura psichica aborre il vuoto, il problema resta di mostrare che cosa ne prende il posto.” (cfr. Sociologia della conoscenza scientifica).

Repentini cambiamenti, spesso anche drammatici, talvolta scioccanti,  caratterizzano il mondo odierno. Ne sono pienamente investite l’economia e la cultura. Si fanno presenti “nuove marginalità”, determinate anche dall’innesto del rapido sviluppo tecnologico e le “fragilità” caratterizzanti svariate categorie di persone (poveri, anziani, persone con limitati mezzi culturali). Aumenta  la “vulnerabilità” che, a causa dei drammatici fenomeni economici e culturali in atto nel mondo, costringe le persone a fare a meno anche di servizi e beni di ordine primario. Emergono nuove gerarchie sociali, con nuove scale di valori. Emergono nuovi bisogni, che innescano nuove idee e la disposizione delle persone ad accoglierle. I mutamenti a livello dell’“habitus psichico”, le nuove istanze e i nuovi affanni, determinano l’agire degli uomini.

Antonio Camorrino, ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, presso cui insegna Sociologia dei processi culturali e comunicativi e docente di Sociologia dei nuovi media presso l’Accademia di Belle arti di Napoli, dimostra come

la desiderabilità sociale, il prestigio o al contrario il disprezzo connesso ad una particolare attività sarà determinante nello sviluppo o nella stagnazione della produzione sociale di conoscenza scientifica di un determinato periodo. Queste scale valoriali sono, il più delle volte, il riflesso della divisione sociale del lavoro.” (cfr. Sociologia della conoscenza scientifica).

Ancora lontano da mire egemoniche, oggi il discorso scientifico ingaggia la sua battaglia esistenziale sul campo dell’autoreferenzialità, per conquistare la propria legittimazione, attualmente in stato di depressione.

Questa crisi investe in modo particolare le discipline umanistiche , tra queste, soprattutto gli studi storici. Tali difficoltà non sono solo epistemologiche e cioè legate al fatto che le scienze umane e sociali, specie dopo la diffusione del costruttivismo o del post-modernismo, si sono spesso risolte in imponenti constatazioni sull’impossibilità di ridurre la complessità e, di conseguenza, nel rifiuto di fornire sistemi generali di interpretazione della realtà (agibili dalla politica e fruibili anche dal grande pubblico). Esse riguardano anche le modalità attraverso cui la conoscenza scientifica produce senso comune” (cfr. Antonio Bonatesta, ricercatore non strutturato di storia Contemporanea presso l’Università del Salento, in “A me piace il Sud”, di Alessandro Cannavale e Andrea Leccese, Armando Editore, pag. 48).

La “crisi di legittimazione” del discorso scientifico stringe le discipline umanistiche, ed in particolare gli studi storici, in una morsa, asfissiante,  se si tiene conto che, queste ultime

stanno perdendo le grandi arene (televisione e giornali) senza aver appreso come occupare le nuove, vale a dire i social media. Qui il senso storico non si costruisce attraverso i criteri canonici del metodo scientifico né viene validato dai sistemi di valutazione della qualità della ricerca. Così, mentre i ricercatori sono occupati a scrivere per essere valutati, sui social network il senso storico è ormai affare d’altri e si produce sulla base di dinamiche di ridondanza e di consenso” (cfr. Antonio Bonatesta, ricercatore non strutturato di storia Contemporanea presso l’Università del Salento, in “A me piace il Sud”, di Alessandro Cannavale e Andrea Leccese, Armando Editore, pag. 48).

È evidente l’enorme pericolo insito in tale meccanismo.

I mass-media attivano memoria e costruiscono realtà. Essi agiscono socialmente su due diverse dimensioni: “riproduzione” e “produzione”. Come gli individui sono in grado di costruire realtà, riproducendo, ossia ripetendo un “bagaglio di senso” che consente ad un certo modello di realtà di perdurare, e producendo mutamenti nella costruzione di senso.

Agendo nell’ambito del “potere simbolico”, i media producono particolari rappresentazioni della realtà e agiscono, mediante una potente funzione, la “diffusione”, sul senso comune, potendo contare sulla

forza impositiva di cui possono avvalersi nella costante competizione con altri soggetti sociali sulla definizione dei significati” (cfr. Chiara Moroni, Costruire la memoria. Un legame complesso tra mass media e rappresentazioni sociali – Officina della Storia).

I mass media, percepiti come una risorsa quasi legittimata, condivisibile e condivisa, tramutano i fatti, gli avvenimenti in qualcosa di accessibile e accettabile per gli utenti, producendo, intenzionalmente e soggettivamente, significati che entrano in circolo nella società e nel suo sistema simbolico, creando senso comune.

i media producono un effetto “riduttore dell’eccezionalità paradigmatica” dell’evento stesso proprio perché è nella loro natura rendere accessibile, riconoscibile e archiviabile la realtà. Questo fa sì che in parte fallisca la funzione, che per volontà e necessità la società attribuisce al ricordo di un evento, di sollevare e sollecitare la sua memoria e il suo senso critico nei confronti della storia. (…) Se, da un lato, il ruolo dei media in questo processo di comunicazione sociale della memoria non è prescindibile, dall’altro la natura e le logiche che muovono il sistema dell’informazione producono un effetto che potrebbe rivelarsi negativo. La memoria è sì capacità del sistema sociale di archiviare, dimenticare e recuperare quando necessario gli eventi del suo passato, ma uno degli strumenti di cui ci si avvale per ricordare, e forse quello che produce più ridondanza, ha il potere di trasformare tutto ciò che rappresenta e che immette nel senso comune in qualcosa di accettato e condiviso che, in quanto tale, finisce per non essere più oggetto di una riflessione cosciente e intenzionale da parte sia dei singoli sia della società nel suo complesso.” (cfr. Chiara Moroni, Costruire la memoria. Un legame complesso tra mass media e rappresentazioni sociali – Officina della Storia).

Andrea Cerroni, docente di  Sociologia e comunicazione della scienza all’Università Milano-Bicocca, e direttore del Centro Interuniversitario e Master in Comunicazione della Scienza e dell’Innovazione Sostenibile, nel suo contributo del 28 luglio 2016, all’interno di “La rivista del Centro Studi Città della Scienza”,  intitolato “Aprire la conoscenza. Per il bene della scienza e della democrazia”, riferisce che, già da un po’ di tempo, più che altro fra esperti e specialisti, si parla di “scienza aperta”. Si tratta di un’apertura finalizzata a scongiurare la decadenza della scienza e  che investe tre piani: epistemologico, psicologico e sociologico.

Temi fondamentali dell’attuale sviluppo tecnico-scientifico quali la sostenibilità, l’epigenetica, la convergenza nano-info-bio-neurocognitive, l’internet delle cose, le smart cities, un nuovo manufacturing, per solo fare qualche esempio, (…) richiedono un ripensamento persino della tradizionale partizione fra scienze dure e scienze umane, produttori e utilizzatori, produttori professionali e non.”(cfr. Andrea Cerroni,  “Aprire la conoscenza. Per il bene della scienza e della democrazia”,  La rivista del Centro Studi Città della Scienza).

Nel succitato contributo, la scienza è definita “uno dei prodotti umani più creativi” – e, dunque, “storico e sociale”, alla stessa stregua delle diverse forme d’arte –  manifestazione, tra le più alte, della cultura, concludendo che la scienza è “cultura”. Nello stesso contributo si sostiene, altresì, che aprire la scienza nel senso di “aprire le porte della scienza alla cittadinanza democratica”, significhi, prima di ogni cosa, che emergono nuovi diritti, in virtù dei quali, i cittadini possono avere accesso alle conoscenze più all’avanguardia disponibili, a tutti i livelli.

A tal proposito, è in atto un’iniziativa mondiale, che coinvolge 24 Paesi, denominata ‘Pint of Science’, finalizzata alla diffusione delle più recenti scoperte scientifiche – spiegate da esperti di ogni settore delle scienze – nei pub di tutto il mondo, sollecitando l’approccio della popolazione alla ricerca. In Italia vi aderiscono più di 300 ricercatori, i quali, dal 19 al 22 maggio, hanno contribuito alla diffusione dei loro ultimi risultati in 74 pub, dislocati in 23 diverse città italiane.

Poi, “aprire le porte della scienza alla cittadinanza democratica” vuol dire anche che lo/a scienziato/a è investito di nuove responsabilità e di un nuovo ruolo

che deve assumere e che deve essergli riconosciuto, essendo ormai il generatore istituzionale della risorsa chiave dell’intera società della conoscenza.” (cfr. Andrea Cerroni,  “Aprire la conoscenza. Per il bene della scienza e della democrazia”,  La rivista del Centro Studi Città della Scienza).

È chiaro che un ruolo importante è rivestito dalle nuove figure professionali che si occupano di “comunicazione della scienza”.

“aprire la scienza vuol dire aprire il seminarium rei publicae, richiamando ancora il pensiero di Calamandrei sulla scuola come organo costituzionale. Sia i luoghi, sia le procedure, sia le conoscenze che la scienza viene edificando sono i fulcri attorno ai quali ruota la società della conoscenza. Ed è proprio attorno a essi, dunque, che procede sia lo sviluppo della scienza sia quello della democrazia. (…) Scienza e democrazia, insomma, sono le due colonne della partecipazione pubblica alla formazione delle scelte collettive in una società dove la conoscenza è il motore delle attività chiave. (…) Merito del singolo e partecipazione di tutti cessano di mostrare in prospettiva il conflitto che ha segnato le ideologie politiche della modernità. Aprire la scienza vuol dire, perciò, declinare le conquiste di libertà in un mondo che non ha più i tratti del noto. Siamo catapultati in un nuovo mondo e dunque dobbiamo pensare in modo nuovo.” (cfr. Andrea Cerroni,  “Aprire la conoscenza. Per il bene della scienza e della democrazia”,  La rivista del Centro Studi Città della Scienza).

La scienza si connota, così, come spazio di libertà, ma anche di imprescindibile responsabilità.

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