Il Consiglio dell’Unione Europea. Sistema di governance e deficit democratico dell’Unione


Il Consiglio dell’Unione Europea è, assieme al Parlamento Europeo e alla Commissione Europea, una delle principali istituzioni che partecipano al processo legislativo nell’Unione Europea.

Le attività e le decisioni del Consiglio dell’UE, unitamente a quelle del Consiglio Europeo, ricadono sulla vita di tutti i cittadini europei, influenzandola, e oltrepassano i confini dell’Europa.

Il Consiglio UE, presieduto, ad eccezione fatta per il Consiglio <<Affari esteri>>, da un rappresentante dello Stato membro detentore della presidenza dell’Unione Europea di turno semestrale, in base ad un ordine definito dal Consiglio, attraverso deliberazione all’unanimità (articolo 16, paragrafo 9, TUE), si compone dei rappresentanti degli Stati membri. Il rappresentante di ciascuno Stato membro, a livello ministeriale, è <<abilitato a impegnare il governo dello Stato membro che rappresenta>> (in conformità con l’articolo 16, paragrafo 2 del TUE).

Il Consiglio UE è preposto all’esame, alla negoziazione e all’adozione della legislazione dell’Unione Europea, mediante regolamenti e direttive, assieme al Parlamento europeo, ai sensi dell’articolo 294 del TFUE (procedura legislativa ordinaria), o individualmente, previa consultazione del Parlamento. Esso, altresì, in conformità all’articolo 288 del TFUE, elabora e adotta decisioni individuali e raccomandazioni non vincolanti ed emette risoluzioni. Lo stesso, assieme al Parlamento, stabilisce, in conformità all’articolo 291, paragrafo 3 del TFUE, le regole generali per l’esercizio delle competenze esecutive conferite alla Commissione o riservate allo stesso Consiglio.

Rientra nel ruolo del Consiglio UE, l’adozione del bilancio dell’Unione Europea (l’altro ramo dell’autorità di bilancio è il Parlamento).

Nel quadro istituzionale unico dell’UE, il Consiglio UE esercita le attribuzioni conferitegli ai sensi dell’articolo 16 del TUE e ai sensi degli articoli da 237 a 243 del TFUE. Esso, altresì, in base ad una procedura legislativa speciale e con deliberazione all’unanimità, adotta decisioni, in base a cui sono stabilite le disposizioni applicabili al sistema delle risorse dell’UE e al quadro finanziario pluriennale (in conformità agli articoli 311 e 312 del TFUE).

Il Consiglio UE detiene anche ulteriori poteri. Uno di questi è costituito dagli accordi internazionali dell’UE (negoziati dalla Commissione, e per i quali, il più delle volte, è richiesto il parere conforme del Parlamento). Un altro potere riguarda le nomine (con delibera a maggioranza qualificata) dei membri della Corte dei Conti, del Comitato Economico e Sociale europeo e del Comitato delle Regioni. Un ulteriore potere riguarda la politica economica: esso, in conformità all’articolo 121 TFUE, garantisce il coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri e, ad eccezione delle attribuzioni della Banca Centrale Europea, adotta decisioni politiche in ambito monetario. Altre funzioni sono, altresì, esercitate dal Consiglio relativamente alla governance economica nel quadro del semestre europeo.

Un ulteriore potere del Consiglio UE attiene alla politica estera e di sicurezza comune: il Consiglio delibera in base a regole speciali nell’adozione di posizioni e azioni comuni o nell’elaborazione di convenzioni.

Relativamente al suo funzionamento, il Consiglio, in base alla materia, adotta le proprie decisioni a maggioranza semplice, a maggioranza qualificata, oppure all’unanimità. In conformità all’articolo 16, paragrafo 8 del TUE, quando il Consiglio agisce come legislatore, le riunioni dello stesso sono aperte al pubblico.

Con il Trattato di Lisbona, entrato in vigore nel 2009, è aumentato il numero di settori in cui si applica il voto a maggioranza qualificata in seno al Consiglio, benché, le cosiddette politiche sensibili (un ristretto numero) continuino ad essere sottoposte al voto all’unanimità (fiscalità, sicurezza sociale, protezione sociale, politica estera e di difesa comune, cooperazione operativa di polizia, adesione di nuovi Paesi all’UE).

Rilevante  è, certamente, il fatto che il Consiglio tenda a ricercare l’unanimità, anche quando non ha il dovere di farlo. “Questa tendenza risale al <<compromesso di Lussemburgo>> del 1966, (…)Il testo del compromesso recita:<<Qualora, nei casi di decisioni che possano essere adottate a maggioranza su proposta della Commissione, siano in gioco rilevanti interessi della Comunità, i membri del consiglio devono adoperarsi per giungere entro un congruo termine a soluzioni che possano essere approvate da tutti i membri del Consiglio, nel rispetto dei loro interessi reciproci e di quelli della Comunità>>.” (cfr. Note tematiche sull’Unione Europea)

Nella stessa direzione prosegue, nel 1994 il <<compromesso di Ioannina>>, a tutela degli Stati membri che si preparavano a costituire una minoranza di blocco. “Tale compromesso dispone che, qualora tali Stati avessero espresso l’intenzione di opporsi all’adozione di una decisione del Consiglio a maggioranza qualificata, quest’ultimo avrebbe fatto tutto il possibile per giungere entro un lasso di tempo ragionevole a una soluzione soddisfacente per la grande maggioranza degli stati.”). (cfr. Note tematiche sull’Unione Europea)

Si muove sulla stessa linea e in tempi più recenti “la possibilità di prorogare l’entrata in vigore del nuovo sistema a doppia maggioranza dal 2014 al 31 marzo 2017, consentendo di applicare la vecchia regola della maggioranza qualificata prevista dal trattato di Nizza su richiesta di uno Stato membro.” (cfr. Note tematiche sull’Unione Europea)

“L’Unione, nell’attuale sua struttura istituzionale, vede ancora prevalere l’assetto intergovernativo in cui, per ovvie ragioni, avrà sempre la prevalenza chi è più forte, piegando le decisioni collettive soprattutto ai miopi interessi nazionali. (…) In realtà, sia in Europa che in Italia deve essere ancora assimilato il concetto che senza una crescita del Sud è impossibile che si sviluppi adeguatamente l’intera realtà territoriale. In un’area così fortemente integrata non possono divergere gli interessi fra centro e periferia.” (cfr. SudInEuropa – L’editoriale di Ennio Triggiani).

Il metodo intergovernativo (processo decisionale adottato dalle organizzazioni internazionali), secondo cui sono gli Stati membri a prendere le decisioni, è, all’interno dell’Unione, utilizzato solo in alcuni ambiti, che il Trattato di Lisbona ha ristretto, estendendo il metodo comunitario, il quale si oppone al metodo intergovernativo, soprattutto per ciò che attiene alla politica estera e di sicurezza comune e agli aspetti della cooperazione giudiziaria e di polizia.

L’Unione Europea si è evoluta sotto l’aspetto istituzionale e ha progressivamente esteso le proprie attività a nuovi settori che si pongono al cuore delle sovranità nazionali. Ciò ha diluito la contrapposizione dicotomica tra metodo intergovernativo e metodo comunitario.

Relativamente al metodo comunitario: “Dal punto di vista della democraticità delle decisioni europee, i processi di consultazione delle parti interessate sulle proposte della Commissione europea e, soprattutto, l’intervento decisivo del Parlamento europeo sul contenuto della decisione garantiscono una maggiore democraticità dei risultati rispetto a quelli, ottenuti con minore trasparenza, dal metodo intergovernativo” (cfr. Un nuovo metodo per l’Unione?, Paolo Ponzano – Papers di diritto europeo – rivista 12013, anno 2013, n. 1).

Il dibattito circa il metodo decisionale verso il progetto di integrazione europea è questione vecchia, rilanciata dal Trattato di Maastricht e poi dal Trattato di Lisbona, arricchita, recentemente, di un elemento nuovo, dalla Cancelliera tedesca Angela Merkel, nel suo discorso al collegio di Bruges del 2 novembre 2010, nel quale è difesa l’opportunità di un superamento della dicotomia tra metodo intergovernativo e metodo comunitario, nella direzione di un nuovo metodo, ossia il “metodo dell’Unione”. Quest’ultimo è definito come “una azione coordinata in uno spirito di solidarietà, ciascuno di noi (Istituzioni dell’Unione e Stati membri: NdR) intervenendo nella sua sfera di competenze, ma tutti perseguendo lo stesso obiettivo.” (cfr. Un nuovo metodo per l’Unione?, Paolo Ponzano – Papers di diritto europeo – rivista 12013, anno 2013, n. 1).

In sostanza, il nuovo metodo decisionale dell’Unione, auspicato dalla Cancelliera tedesca, parrebbe fondarsi sulla tesi secondo cui, se le Istituzioni dell’Unione, gli Stati membri ed i loro rispettivi Parlamenti si coordinassero sul piano dell’azione, negli ambiti di loro responsabilità, si potrebbero affrontare con successo le grandi sfide dell’Europa.

Come rilevato da Paolo Ponzano nel suo saggio “Un nuovo metodo per l’Unione?” non vi è mai stata coerenza tra il sistema di governance dell’Unione europea e i principi di legittimità democratica degli Stati nazionali. Si pensi che il Consiglio europeo dei Ministri esercita funzioni legislative, ma anche esecutive (in conformità a quanto previsto dai Trattati). Lo stesso, per alcuni settori di competenza dell’Unione europea, può, altresì, auto-delegarsi nuove funzioni esecutive. Vi è, evidentemente, un’anomalia rispetto al principio fondamentale della separazione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario.

Quella della partecipazione e della democrazia è una questione spinosa dell’Unione Europea. È nutrita, infatti, la letteratura sul il deficit democratico, espressione, quest’ultima, riferita sia alla mancanza di legittimità, sia all’inefficienza delle principali Istituzioni dell’Unione Europea. Accrescono di pari passo lo scoramento rispetto al funzionamento delle democrazie nazionali e il dibattito sulla insoddisfacente efficienza delle Istituzioni transnazionali.

Nelle procedure decisionali adottate nell’UE rilevano gli interessi dei governi degli Stati membri e degli eurocrati, ma non quelli dei loro cittadini. Nel tentativo di dare una definizione dell’espressione deficit democratico è posta in evidenza dai politologi una pluralità di deficit: “una mancanza nel funzionamento del principio di maggioranza parlamentare, una mancanza di un pre-demos europeo, una mancanza di partecipazione diretta e infine la mancanza di un senso di cittadinanza europeo.” (cfr. Deficit Democratico dell’UE: di cosa si tratta? – Il fascino degli intellettuali).

Secondo l’analisi di Friz Scharpf, non c’è alcun dubbio che l’Unione è ben lontana dall’essere pervenuta ad un’identità collettiva “forte” che sembra evidente nelle democrazie nazionali. In mancanza di tale identità, le riforme istituzionali non potranno accrescere sensibilmente la legittimità, in termini di inputs, delle decisioni prese in applicazione del principio maggioritario.” (cfr. Un nuovo metodo per l’Unione?, Paolo Ponzano – Papers di diritto europeo – rivista 12013, anno 2013, n. 1).

Per concludere, un riferimento stuzzicante a quanto sostenuto dal Prof. Joseph Weiler, analista della costruzione europea, secondo il quale, l’Unione europea sarà democratica unicamente quando i cittadini europei avranno facoltà di “mandare a casa” i loro governanti a seguito di un’elezione europea.

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