Il ruolo del docente in Europa. Dati europei e nazionali a confronto


In Italia ancora oggi molti fanno riferimento alla funzione docente come una professione di comodo per l’idea di posto fisso che le si conferisce, per la possibilità di godere di lunghi periodi di vacanza.

Non si pensa alla “missione” che il docente compie ogni giorno e che non è limitata all’orario scolastico, ma va ben oltre tra riunioni, consigli, aggiornamenti, formazioni, progetti, collegi e programmazioni.

Le ricerche italiane sulla condizione professionale dei docenti nella società della globalizzazione registrano, anno dopo anno, una crescente situazione di disagio e demotivazione in quanto, in passato, essere docente era essere “maestro” e già questo rivelava ammirazione per la cultura, dando così dignità al ruolo rivestito e alla stessa persona che lo rappresentava.

Oggi, le scuole si trovano ad affrontare sfide incommensurabili: devono dare risultati concreti con budget ridotti, essere all’avanguardia, offrire un curriculum motivante e un’istruzione tale da essere al centro della strategia europea della competitività.

Purtroppo, ciò fa della professione docente un mestiere poco ambito. I cambiamenti repentini della società impongono agli insegnanti di rivedere le proprie competenze per migliorarle e di svolgere il proprio compito nel modo più efficace ed efficiente possibile.

Il quadro strategico per l’istruzione e la formazione (ET 2020) approvato dal Consiglio dell’Unione europea che identifica la qualità dell’istruzione e della formazione dichiara che “esiste una necessità di garantire un insegnamento di alta qualità, di offrire agli insegnanti un’adeguata formazione iniziale e uno sviluppo professionale continuo per insegnanti e formatori, e di rendere l’insegnamento una scelta professionale interessante”.

Alla luce della recente riforma del nostro sistema di istruzione e formazione, che ha visto come protagonista il personale docente, si è estrapolato il dato italiano ed è stato comparato al contesto europeo.

Infatti, il nuovo quaderno di Eurydice Italia, La professione docente in Europa: pratiche, percezioni e politiche, è dedicato interamente a questa figura ed analizza le relazioni tra le politiche che regolano le condizioni di lavoro degli insegnanti e le pratiche e le percezioni dei docenti stessi.

Si basa su dati Eurydice ed Eurostat/UOE e su un’analisi secondaria dei dati TALIS 2013, combinando così dati qualitativi con dati quantitativi.

Per quanto riguarda l’offerta e la domanda di insegnanti, in Italia il principale problema è legato all’invecchiamento dei docenti. Gli ultimi dati Eurostat mostrano che il 57% degli insegnanti delle scuole primarie e secondarie in Italia ha più di 50 anni, contro una media europea del 36%. Gli insegnanti dell’UE di oltre 60 anni si attestano al 9% mentre in Italia la percentuale è più alta, ossia il 18%.

Una professione, inoltre, prevalentemente femminile. Per esempio, nel livello secondario inferiore, gli uomini rappresentano, meno di un terzo del totale. Il minore equilibrio tra i generi si registra in Bulgaria, Estonia, Lettonia e Lituania, in cui gli insegnanti uomini sono meno del 20%.

Nel rapporto vengono studiate anche le opportunità di sviluppo di carriera degli insegnanti, sia in termini di progressione gerarchica che di diversificazione dei compiti. Un aspetto che tuttavia in Italia non è contemplato, in quanto nel nostro paese non esiste, al momento, nessuna prospettiva di sviluppo di carriera nell’ambito della professione docente.

Altro dato significativo è il momento della pensione. mentre in Spagna solo il 29,3% dei docenti ha più di 50 anni, l’Italia la batte con un 59,3%.

Circa la retribuzione, gli insegnanti spagnoli guadagnano fra i 32.000 e i 45.000 euro lordi l’anno, quelli tedeschi tra i 46.000 e i 64.000 euro. Invece quelli italiani devono accontentarsi di uno stipendio annuo che oscilla fra 24.000 e 38.00 euro.

In Italia, e a Cipro, gli stipendi dei dipendenti pubblici risultano congelati. Il governo italiano, infatti, per ridurre il deficit pubblico, ha congelato gli stipendi nel 2010, inizialmente fino al 2013, ma la misura è stata adottata da allora ogni anno.

Altro dato poco confortante riguarda l’orario di lavoro: normalmente il carico di lavoro degli insegnanti si suddivide in ore di insegnamento, di disponibilità a scuola e di lavoro totale. Le ore di insegnamento vengono stabilite contrattualmente nella maggioranza dei sistemi educativi (precisamente in 35 sistemi). La maggior parte dei paesi disciplina anche l’orario di lavoro totale degli insegnanti, che è mediamente di 39 ore settimanali. In 18 sistemi educativi, vengono specificate sul contratto anche le ore di disponibilità obbligatoria a scuola, mentre solo in Italia, e in Belgio, vengono indicate esclusivamente le ore di insegnamento.

Il totale settimanale di ore di insegnamento cambia da paese a paese, passando da un minimo di 14 ore in Croazia, Polonia, Finlandia e Turchia, a un massimo di 28 ore in Germania. In media, le ore di insegnamento rappresentano il 44% dell’orario lavorativo totale di un insegnante.

Inoltre, bisogni formativi, che le attività di sviluppo professionale continuo dovrebbero soddisfare, sono diversi a seconda dei diversi sistemi d’istruzione. In quasi tutti i paesi i bisogni espressi dagli insegnanti sono moderati, mentre gli insegnanti italiani, intervistati per l’indagine TALIS dell’OCSE, hanno espresso, il più elevato livello di bisogni di formazione continua.

Dal rapporto di Eurydice emerge che una forma di valutazione degli insegnanti disciplinata a livello centrale è presente in quasi tutti i paesi europei. In seguito alla legge 107, viene, infatti, introdotta, a partire dall’anno scolastico 2015/2016 e con cadenza annuale, la valutazione e la valorizzazione del merito professionale anche nel nostro paese. I criteri per stabilire il bonus in denaro per i docenti meritevoli sono stabiliti da un Comitato di valutazione (la cui composizione è definita al comma 129 della legge) mentre l’assegnazione della somma, sulla base di una motivata valutazione, spetterà al dirigente scolastico.

Anche nel paragone con l’Inghilterra, l’Italia ne esce sconfitta. Un paese che conta 7 milioni di persone in meno rispetto al nostro, aveva investito 80 miliardi di euro nella scuola.

Riguardo la mobilità, poi, il 27,4% degli insegnanti all’interno dell’Unione è stato all’estero almeno una volta per motivi professionali. In almeno metà dei sistemi scolastici europei presi in esame, la percentuale di insegnanti “mobili” è addirittura inferiore. Ciò si verifica in Belgio, Francia, Croazia, Italia, Polonia, Portogallo, Romania e Slovacchia.

Dal confronto dei dati, quindi, balzano agli occhi numeri e percentuali da cui desumo che, per colmare le disparità tra Italia ed Europa, il cammino sia ancora lungo…

Pertanto, i docenti italiani reclamano non solo “stipendi europei”, ma rispetto e dignità per quanto si fa e per come si fa. E citando Socrate “Se uno fa una cosa per un fine, non vuole la cosa che fa, bensì la cosa per cui fa quello che fa!”

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