Le competenze: verso un modello europeo di scuola


I modelli educativi presenti nella comunità europea possono essere classificati per alcune particolarità comuni in quattro tipologie, il modello dei paesi scandinavi, l’anglosassone, il germanico ed il modello latino.

Si tratta di una classificazione sicuramente riduttiva ma che tenta di rintracciare percorsi comuni all’interno di sistemi educativi diversi che variano dalla piena autonomia, concessa alle scuole del tipo anglosassone, al centralismo del modello francese. Attualmente in ognuno di questi sistemi si tenta di apportare correttivi per migliorare le prestazioni della scuola, il cui valore risulta fondamentale per il progresso di ciascun paese e per la costruzione di un progetto educativo comunitario, determinato da scelte politiche capaci di sostenerne i sistemi educativi e valorizzarne le singole peculiarità.

Il modello anglosassone che vede coinvolti l’Inghilterra, il Galles, l’Irlanda del nord e la Scozia, pur puntando sulla piena autonomia delle scuole e sulla libertà di scelta da parte delle famiglie in base all’offerta formativa, ha tentato con l’introduzione del National Curriculum, di creare vincoli (anche se di fatto la Scozia non lo ha adottato), pur sempre nel decentramento. In tale modello educativo non sono previste le ripetenze, gli studenti sono sostenuti da forme di tutoraggio che garantiscono la personalizzazione del servizio.

Il modello scandinavo considerato il più progressista anche in rapporto ai risultati nelle comparazioni nazionali, comprende con diverse sfumature la Danimarca, la Finlandia, l’Islanda, la Norvegia, la Svezia, la Croazia e i Paesi Baltici. Punta sulla continuità didattica e la verticalizzazione del curricolo, non contempla valutazioni intermedie e mira a fornire a tutti gli studenti le medesime competenze di base; manca in buona sostanza l’insuccesso scolastico.

Il modello “tedesco” in cui rientrano con alcune differenze sostanziali per il Belgio, l’Austria, il Lussemburgo, l’Olanda e la Svizzera,  è di tipo selettivo: introduce la scelta dell’indirizzo scolastico precocemente (ad appena dieci anni); in Germania ad esempio, il sistema stesso serve a selezionare gli studenti da destinare a tre diversi percorsi: Hauptschule (Professionale), Realschule (Tecnico), Gymnasium (Liceo). Le scuole sono dotate di autonomia ma controllate di fatto dai Lander.

Il sistema latino risulta piuttosto eterogeneo, in questo modello possiamo riconoscere l’Italia, la Spagna, la Francia, la Grecia, il Belgio, la Polonia, la Bulgaria e la Romania, chi più chi meno questi paesi, pur avendo alle spalle una tradizionale struttura centralistica, hanno sviluppato l’autonomia delle scuole e una didattica basata sulle competenze.

La politica europea fautrice della mobilità, con il riconoscimento delle qualifiche sostiene e incentiva la circolazione delle risorse umane all’interno dell’unione, pertanto occorre trovare raccordi tra i vari sistemi, garantendo competenze riconoscibili, certificabili ma soprattutto spendibili nel campo del lavoro.

In questo scenario le Raccomandazioni del 2018 dell’UE  rappresentano la via alla costruzione di un modello europeo di scuola quanto più omogeneo nei risultati di apprendimento degli studenti ed eterogeneo per le soluzioni esperite che traducono l’identità dei popoli da cui è formata la comunità.

Il documento affronta la necessità di dare risposte comuni a fenomeni globali attraverso il riconoscimento di competenze di cittadinanza che presuppongano oltre alle competenze di base, la capacità di “stare al mondo”, sviluppando atteggiamenti di resilienza ed adattamento; suggerisce soluzioni comuni, quali lo sviluppo nella scuola di ambienti di apprendimento che contemplino l’importanza della tecnologia e delle comunità di pratiche; la necessità di convalidare le competenze acquisite in ambienti informali e non formali; il riconoscimento delle eccellenze ed il sostegno allo sviluppo delle competenze in ambito STEM.

Disegna un percorso ben definito, quasi un “curricolo europeo” per una scuola autonoma e democratica all’interno di quella che Morin definirebbe una “comunità di destino” in cui è necessario “cogliere le mutue relazioni e le reciproche influenze” di un mondo complesso.

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