Generazione Z o Rigenerazione? I bambini e le nuove tecnologie


Internet e le tecnologie digitali hanno trasformato il mondo

Nascosta dietro questa semplice frase si cela un universo di pensieri e di dubbi riguardo all’uso delle nuove tecnologie. Se da un lato esse sono espressione dell’innovazione, del miglioramento e della crescita economica di molti paesi dell’ Ue, dall’ altra parte non possiamo non tener conto degli effetti negativi che spesso le caratterizzano, a causa di un uso eccessivo e non sempre corretto.

Da un punto di vista più strettamente economico, l’idea alla base del mercato unico digitale è passare da 28 mercati nazionali ad un solo grande mercato. Un mercato unico digitale pienamente funzionante che potrebbe apportare 415 miliardi di euro all’anno alla nostra economia, creando centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro. Le TIC dunque, sembrano essere fondamentali per la crescita economica dell’UE, non a caso l’economia digitale sta crescendo ad un ritmo 7 volte più veloce di quello dell’economia reale.

Grazie alla stessa Agenda Digitale Europea sono aumentati gli investimenti in tale settore e sul mercato vi è una continua ed incessante richiesta di strumenti tecnologici, con una conseguente gamma di offerte continue; vi sono più abbonamenti a servizi di telefonia mobile che cittadini.

Il piano d’azione della Commissione europea StartUpEurope ha rafforzato inoltre, negli ultimi anni, il quadro in cui operano gli imprenditori nel settore delle TIC e del web in Europa, aiutandoli ad ottenere le risorse necessarie nel campo della crescita, dell’innovazione e creazione di nuovi posti di lavoro. Computer, cellulari e tecnologie digitali in genere  hanno migliorato il nostro vivere quotidiano e nella città intelligente così come nelle abitazioni di tutti noi non manca mai una connessione wi-fi. Ma cosa succederebbe se andassimo a vivere in un luogo non in rete con le nuove tecnologie? Come reagirebbe la iGeneration o Google Generation?

Tale generazione conosciuta anche col nome di Generazione Z accoglie al suo interno tutti gli individui nati a partire dalla seconda metà degli anni novanta fino al 2010 i cosiddetti “ nativi digitali”, dove la “i” rappresenta sia l’insieme di device nati con loro (iPhone, iPod, iPad…) sia l’uso più personalizzato del world wide web. In Europa, i più grandi fruitori delle tecnologie digitali sono infatti gli appartenenti a tale generazione. Marc Prensky, scrittore statunitense, inventore dei termini “nativo digitale” e “immigrato digitale”, li descrive come individui abili a elaborare le informazioni, con una preferenza per le nozioni che possono ottenere rapidamente ed apprendere attraverso modalità attive e non-lineari, multitasking, poco tolleranti verso le lunghe letture e che sperimentano lo sviluppo delle abilità sociali e professionali all’interno della realtà digitale.

Secondo recenti studi, 9 su 10 ragazzi tra i 9 e i 16 anni possiede infatti un profilo Facebook e il 49% fa uso di sistemi di messaggistica istantanea. Essi utilizzano gli strumenti on-line soprattutto a casa, mentre l’accesso da scuola è  più raro.

Effetti positivi e negativi si alternano dunque sull’ altalena dell’uso del digitale.

Per lungo tempo, in passato, si è pensato però che, una volta raggiunta l’età adulta, il cervello non potesse più essere soggetto a nessun tipo di cambiamento. A partire dal 1980 le evidenze sulla plasticità neurale sono diventate sempre più consistenti, fino a culminare con l’affermarsi di teorie che sostengono l’esistenza di un rapporto multidirezionale tra ambiente, mente, corpo, cervello e comportamento. Le nuove tecnologie, come qualsiasi altro trigger o segnale esterno, determina così anche nell’adulto l’attivazione di specifici pattern neurali e quindi può condurre ad altrettanti specifici fenomeni di plasticità neurale.

Tradotto in altre parole, quando i ragazzi della iGeneration chattano, navigano, giocano e si ritrovano in rete per scambiarsi opinioni all’interno di forum virtuali, reagiscono spesso precipitosamente e senza riflettere sulle conseguenze, buone o meno, delle loro azioni. Inoltre l’ambiente nel quale agiscono, che oggi, a differenza di ieri, è potenzialmente senza confini  può contenere qualsiasi forma di stimolo; ciò sembrerebbe spiegare, almeno in parte, l’elevato numero di diagnosi di  dipendenza, disturbi della personalità, ossessioni o comportamenti anomali.

Se da un lato quindi le nuove tecnologie possono fornire una immensa gamma di opportunità e di sperimentazione di se stessi e lo sviluppo di nuove abilità a partire dai primi anni di vita; proprio l’assenza di confini concreti rischia di essere il maggior ostacolo all’individuazione di un’identità stabile.

Ma siamo sicuri che il pericolo riguarda solo i giovani?

L’attaccamento allo smartphone è molto simile a tutte le altre dipendenze in quanto causa delle interferenze nella produzione della dopamina, il neurotrasmettitore che regola il circuito cerebrale della ricompensa: in altre parole, incoraggia le persone a svolgere attività che credono gli daranno piacere. Ogni like ricevuto sui social network attiva il circuito del rewards o ricompensa, cioè quell’area del cervello legata al piacere e questo comporterebbe una spinta verso un uso eccessivo di questi strumenti.

Ad Amburgo qualche tempo fa, si è tenuta una manifestazione molto significativa, 100 bambini sono scesi in piazza manifestando contro l’uso degli smartphone da parte dei genitori.  Il paradosso è quindi che talvolta anche gli adulti che dovrebbero vigilare ed educare, ad un uso corretto del digitale, trascorrono invece troppo tempo on line e capita spesso che i bambini sia essi consumatori che non consumatori, siano in entrambi i casi le vittime di un uso poco consapevole e corretto delle nuove tecnologie.

L’uso del telefono cellulare, come amico e compagno di giochi va di pari passo con internet e con l’educazione che viene impartita in ogni famiglia. Splendido strumento, usato per consentire di essere simultaneamente sempre soli e mai soli viene regalato ai bambini troppo presto. È evidente in recenti studi che l’accesso dei bambini più piccoli ai media digitali è più ampio rispetto a due anni prima, passando dal 52% al 75%. Il tempo dedicato a questi strumenti in una giornata tipo è triplicato. Collegato a questo dato ve ne è un altro, altrettanto interessante, che riguarda il tempo trascorso dai bambini in compagnia dei media più tradizionali come tv, dvd, videogames e computer, che è diminuito, mentre è aumentato quello dedicato a smartphone e tablet.

Importanti raccomandazioni e spunti di riflessione vengono offerti  dal rapporto L’Enfant et les écrans (Bach et al., 2013) pubblicato dall’Accademia delle Scienze francese, nel quale viene proposta a insegnanti, educatori e genitori una serie di suggerimenti che possano essere loro di aiuto nei differenti contesti in cui si trovano a operare con il supporto delle TIC. Dal rapporto emerge un quadro in generale positivo rispetto all’uso dei dispositivi touch dal punto di vista dello sviluppo cognitivo e sensoriale.

Gli autori, tuttavia, non nascondono i pericoli che i bambini possono correre nel caso in cui abusino di tablet e smartphone (isolamento, ridotta attività fisica, crisi del ragionamento di tipo induttivo, ecc.) e sottolineano il fatto che i nuovi oggetti tecnologici non dovrebbero diventare alternative ai giochi e ai giocattoli tradizionali, ma aggiungersi ad essi. Ma dinanzi a questo quadro generalizzato a livello europeo cosa direbbe oggi sulla questione Maria Montessori?

C’è un testo di Maria Montessori del 1947 intitolato “Introduction on the Use of Mechanical Aids” che probabilmente scrisse come prefazione a un libro  sulle tecnologie nella scuola. È riportato in un numero speciale dell’AMI Journal del 2015. L’introduzione ci dà un’idea di come Montessori considerasse la tecnologia. La studiosa ne era affascinata, le considerava delle “opportunità, un mezzo attraverso il quale una società mondiale interconnessa avrebbe potuto dare sostegno agli altri, e così far avanzare il genere umano”. Nel testo rimarcava l’importanza che la tecnologia potesse avere nelle scuole, ma riaffermava con forza che il primato, senza eccezioni, doveva essere dato allo sviluppo del bambino completo e osservava come i mezzi tecnologici non sempre erano all’altezza del compito.

Questa prematura “competenza digitale” dei bambini è quindi certamente un’abilità nuova che ha un effetto sulla formazione di abilità intellettive e quindi può rappresentare una risorsa per l’apprendimento, ma  come in tutte le cose non sempre si è all’ altezza del compito. L’uso e l’abuso può determinare un rischio. Nello schermo di uno smartphone o di un tablet vengono stimolati prevalentemente due sensi (vista e udito), la multidimensionalità del mondo reale viene meno.

Maria Montessori dunque sarebbe stata d’accordo con  Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta nel sostenere che: Il mondo va toccato, sentito con tutti i cinque sensi e le relazioni vanno vissute nella dimensione concreta e reale, guardandosi negli occhi, ascoltandosi e “sentendosi” non solo con le orecchie, ma anche con il cuore e con la mente. – 

Tuttavia, la scuola non è stata estranea alla rivoluzione  tecnologica, tra le competenze chiave per l’apprendimento permanente un ruolo non marginale viene dato appunto alla competenza digitale. Scuola e didattica sono oggi infatti oggetto di profondi cambiamenti legati all’uso consapevole ed intelligente dei nuovi strumenti tecnologici  “Le tecnologie digitali fanno parte delle nostre vite e dovrebbero far parte anche dei nostri sistemi educativi”. Ne è convinto il commissario europeo all’istruzione e alla cultura Tibor Navracsics, che intervenuto alla seconda edizione del Digital Festival a Bruxelles ha sottolineato il ruolo chiave di un’educazione digitale a scuola, da sviluppare con una strategia “inclusiva, ambiziosa e di lungo termine”, per formare i giovani europei, trasformandoli da semplici “consumatori di nuove tecnologie a veri nativi digitali”.

NOTA

Un altro  aspetto critico che emerge da numerosi studi di carattere internazionale è inoltre l’“analfabetismo emotivo”. Con questa espressione Goleman (2011) intende: la mancanza di consapevolezza e quindi di controllo delle proprie emozioni e dei comportamenti a esse associati; la mancanza di consapevolezza delle ragioni per le quali si prova una certa emozione e l’incapacità a relazionarsi con le emozioni altrui (non riconosciute e comprese) e con i comportamenti che da esse scaturiscono. Ad esempio, lasciare il proprio ragazzo semplicemente cambiando il proprio status su Facebook da “impegnata” a “single” è molto diverso che dirgli “ti voglio lasciare” guardandolo negli occhi; così come  denigrare una persona attraverso una chat e l’uso di un cellulare.

La dipendenza da internet, i fenomeni di cyberbullismo, i messaggi a volte violenti che si celano all’interno di giochi virtuali, sono diventati un problema in molti paesi europei e stanno coinvolgendo anche i bambini non soltanto gli adolescenti con ripercussioni sulla vita personale e scolastica.

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