Che cos’è e perché la religione a scuola?


La religione: una via per uscire dalla crisi

Che cos’è la religione? L’Europa di questi ultimi decenni è una società post-secolare, post-cristiana ma non post-religiosa. La religione conserva un ruolo sociale in continua evoluzione, in una società che è anch’essa in continua evoluzione. Le religioni «negli ultimi decenni in conseguenza di processi come la fine dei regimi comunisti e i giganteschi movimenti migratori provocati dalla globalizzazione stanno conoscendo sommovimenti tettonici dalle conseguenze impreviste e imprevedibili» ma ancor di più se «diminuisce la pratica religiosa tradizionale e ancor più la fede nella dottrina ecclesiastica ufficiale… aumenta il carisma riconosciuto di alcuni leader religiosi, la religiosità della terra, lo spazio della spiritualità nell’arte. […]

In realtà, non solo Dio non è mai morto, ma neppure gli Dei sono mai morti. Lo mostra ogni giorno l’impero di Afrodite o del piacere, quello di Ares o della forza, quello di Zeus o del potere. Se infatti non esiste civiltà senza religione, ciò è perché gli esseri umani sperimentano una dipendenza da potenze più grandi, la quale, una volta espressa, genera la categoria del divino. E il divino, oggi come diecimila anni fa, entra inevitabilmente in gioco nella vita umana. […]  Il divino dice soprattutto l’innato bisogno di appartenenza che contraddistingue l’umano. «A chi appartengo io?»: questa è la più forte domanda esistenziale, ancora più urgente del desiderio di indipendenza, e la sua risposta si chiama religione. […] Per questo la religione oggi nell’epoca delle «passioni tristi» risponde al radicale bisogno di appartenenza assumendo un fascino particolare».

Dentro il perimetro di questo grande contesto, a noi interessa focalizzare prioritariamente l’ambito educativo nell’attuale sistema scolastico che è quello svolto dall’«Educazione alla cittadinanza», volta a diffondere la cultura della democrazia tra i giovani, a contribuire alla lotta contro la violenza, il razzismo, le ideologie, l’intolleranza e a promuovere una cultura ed una prassi dei diritti, della pace, della libertà e della giustizia sociale.

Il ruolo educativo che la scuola è chiamata a svolgere richiama la pedagogia a una riflessione che si ponga sul piano «di rispondere alla duplice esigenza del diritto all’educazione della generazione giovane e del compito della cura educativa della generazione adulta, l’una e l’altra accomunate dal riconoscimento della singolarità della persona»

L’istituzione scuola risponde ai bisogni formativi dell’uomo ed per questo deve abbandonare l’impostazione trasmissiva mono-disciplinare e sperimentare progettazioni didattiche che si presentino come strumenti atti a promuovere un sapere unitario che possa alimentare, nutrire, dissetare le varie dimensioni (cuore, mente, corpo, animo/a) dell’essere umano  nei vent’anni e più – gli anni più belli, d’oro – che vive a scuola. Un sapere che, nel processo costruttivo di insegnamento/apprendimento, recuperi in pieno i contenuti disciplinari e permetta allo studente di costruire da protagonista un percorso di apprendimento personalizzato e unitario.

L’insegnamento della religione cattolica (IRC), al pari delle altre discipline, è chiamato a riflettere sul proprio ruolo all’interno della scuola, a tracciare linee pedagogiche teorico-pratiche che gli consentano di essere promotore di un sapere che superi i limiti dell’odierna frammentarietà e del tecnicismo e di essere operatore di interdisciplinarietà. Interdisciplinarità intesa non solo come modalità di incontro tra i saperi disciplinari, ma come caratteristica, topos di un approccio alla realtà della persona che in modo unitario comprende sé e il mondo.

Nella mia personale formazione umana e culturale sono sempre stato affascinato dalla storia del mondo antico, dalle letterature comparate, dalla religione. Al di là dell’ormai esausta disputa sulle radici cristiane dell’Europa, è augurabile che si comprenda che la Bibbia costituisce uno dei punti di riferimento capitali per la nostra stessa civiltà. «Le Sacre Scritture sono l’universo entro cui la letteratura e l’arte occidentale hanno operato fino al XVIII secolo e stanno ancora in larga misura operando». Questa affermazione tratta dal saggio Il grande codice di Northrop Frye sul rapporto tra Bibbia e letteratura registra un dato di fatto: la Bibbia è l’immenso lessico o repertorio iconografico, ideologico e letterario cui si è attinto costantemente a livello colto e a livello popolare.

In un corso di aggiornamento dal titolo «La Bibbia: alle radici della cultura europea», organizzato dall’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Milano, il primo dicembre 2012, il professore Piero Stefani, con acume, sottolinea come nel mondo dell’istruzione italiana la lettura (letteraria, storica, iconografica) della Bibbia non è praticata.

Sul fatto che nella scuola la cultura biblica non «godesse» di ottima salute se ne era accorto il grande Umberto Eco che dalle colonne dell’Espresso nel lontano settembre del 1989 scriveva «Perché i ragazzi devono sapere tutto degli dèi di Omero e pochissimo di Mosè?». In tutte le aree disciplinari la lettura della Bibbia è e sarebbe più che percorribile. Si pensi subito alla storia dell’arte, alla letteratura italiana e non solo ma anche alla letteratura dell’intera Europa (francese, inglese, tedesca, spagnola, ecc…).

La lettura della Bibbia è applicabile allo studio del pensiero filosofico, alla storia, al diritto, alla storia della scienza e dell’economia. In ognuno di questi campi la presenza di influssi biblici è documentabile a vastissimo raggio. La Bibbia perché non può essere presentata a tutti come un classico al pari dell’Iliade, dell’Odissea o dell’Eneide? Un po’ semplificando ma non troppo la Bibbia interroga l’uomo al pari di Sofocle, Euripide, Seneca.

Infine, da un punto di vista strettamente pratico-istituzionale la presenza della Bibbia – «l’alfabeto colorato in cui per secoli i pittori hanno intinto il loro pennello» (Marc Chagall) – comporterebbe ad una qualificazione (da parte del MIUR attraverso concorsi) di un corpo docente che, attualmente, è quasi del tutto impreparato e più praticamente e «semplicemente» a programmare all’interno del P.O.F.T.  una collaborazione fra docenti di materie diverse (letteratura, arte, filosofia, storia, musica, religione) alla ricerca di itinerari di notevole interesse e suggestione.

Max Horkheimer ci ricorda che la «stupidità è una cicatrice». In altri termini crescere è un processo delicato che come il processo involontario del respirare può essere ostacolato o favorito. In-segnare a riconoscere i lineamenti di un patrimonio che ci accomuna significa offrire ossigeno alla mente e al cuore; concorre a rafforzare nei ragazzi energia e speranza, il gusto di approdare a vivere le vertigini di una profondità e ricchezza che ci danno solo le lettere, i numeri e i colori fin dalla loro comparsa negli esseri umani, una comparsa che è legata a quella che chiamiamo civiltà.

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