Inclusione a metà…

di Rosa Liccardo

La scuola italiana è la più democratica ed inclusiva d’Europa. Ma questo basta per parlare di una vera inclusione?

L’Italia, a differenza degli altri Paesi Europei, può sicuramente vantare una grande esperienza, in tematiche come l’integrazione e l’inclusione scolastica degli alunni con disabilità. Eppure rimane nella collettività, la convinzione che l’impianto normativo, pur illuminato, non sia stato sufficiente al fine di sviluppare reali  condizioni per una vera inclusione sociale dei soggetti con disabilità. L’inclusione scolastica, eccellenza italiana in Europa, rischia infatti ogni giorno, di essere svuotata, a causa delle politiche di contenimento dei costi. Il senso di abbandono e di solitudine delle persone con disabilità e delle loro famiglie è in continuo aumento, malgrado i grandi cambiamenti ed i progressi  culturali avuti nel corso degli anni.

Recentemente i ricercatori hanno condotto una rilevazione nelle Asl italiane,  per fornire una mappa sui servizi riabilitativi e socio sanitari integrati sui quali possono contare i disabili italiani. Hanno poi confrontato l’offerta di tali servizi e le strategie adottate con quattro Paesi europei: Spagna, Inghilterra, Francia e Germania. È emerso che l’Italia spende poco rispetto agli altri e pur vantando un sistema scolastico inclusivo, che annulla la diversità e la disabilità tra i banchi di scuola, non riesce a sostenere tali soggetti nel lungo percorso della vita.   La disabilità, al di fuori delle mura della scuola diventa soprattutto un problema di assistenza, rispetto ad altri Paesi europei, che pur adeguandosi più tardi all’idea di realizzare una società davvero inclusiva, hanno poi puntato maggiormente sulle pari opportunità, l’uguaglianza, l’eliminazione delle discriminazioni in tutti i settori, non solo in quello scolastico.

Dopo la scuola, dunque, il processo d’inclusione si blocca, soprattutto per quanto riguarda l’inserimento lavorativo  e la qualità dei servizi offerti alle persone con disabilità ed ai loro familiari. A bloccare l’inclusione è dunque la politica del risparmio?

Osservando il percorso normativo italiano è evidente che la mancata realizzazione di una società che includa e non escluda i diversamente abili, non è dovuta certamente all’assenza di leggi idonee. Il nostro paese già nel lontano 1923 era, per quanto concerne la legislazione scolastica, all’avanguardia sul tema dell’integrazione dei soggetti portatori di handicap o diversamente abili. Infatti, mentre in altri paesi il superamento dei percorsi differenziati e delle classi speciali ha fatto e fa tuttora fatica a scomparire, in Italia l’abolizione delle classi differenziali si ha con la L. 118/71 e successivamente con la Legge 517/1977 si individuano modelli didattici flessibili con i quali attivare forme di integrazione trasversali, esperienze di interclasse o attività organizzate per gruppi di alunni, affidati ad insegnanti specializzati.

Dalla Riforma Gentile, che estese l’obbligo scolastico anche agli alunni ciechi e sordi, si passò nel 1933 alle classi differenziali per alunni con lievi deficit cognitivi e alle scuole o istituti speciali per i casi più gravi, che addirittura permettevano soggiorni in luoghi lontani dalle famiglie. Ci troviamo in un periodo storico che escludeva totalmente tali soggetti dalla società;  chi non ricorda lo sterminio del progetto nazista? Fin dall’antichità la disabilità veniva dunque vista come deformità o deviazione rispetto all’ integrità della persona umana, come ritardo o come inferiorità.

La storia della disabiltà è tutta racchiusa in questi due termini: minorati e diversamente abili. Mentre la società li riteneva minorati, la scuola invece avviava un lento ma importante cambiamento verso l’integrazione. Fino alla fine degli anni ’60 infatti, la logica prevalente era quella della separazione: l’allievo disabile veniva percepito come un malato da affidare ad un maestro-medico e come potenziale elemento di disturbo. Ma dal  1971 in poi, con la Legge n.118, si inizia a pensare all’inserimento nelle classi comuni della scuola dell’obbligo. L’allievo con disabilità, che fa il suo ingresso nelle classi comuni, deve però sapersi adeguare al contesto. Si fa strada il concetto di integrazione, riferito a tutti gli alunni diversamente abili e si cominciano a progettare interventi educativi individualizzati e finalizzati al pieno sviluppo della personalità degli alunni.

Nel 1977 tutti gli studenti con disabilità vengono così integrati nelle scuole comuni e si assiste all’abolizione delle classi speciali, alla nascita di modelli didattici flessibili e ad insegnanti specializzati.  Ma è sicuramente la L. 104/1992, LEGGE QUADRO per l’integrazione scolastica e sociale delle persone con disabilità a rappresentare una vera innovazione in materia di diritto allo studio dei disabili. L’obiettivo dell’integrazione scolastica viene ampliato e si giunge, dunque, finalmente ad una legge quadro, organica, che riordina gli interventi e non si concentra solo sull’assistenza ma anche sull’integrazione e sui diritti dei disabili.

L’obiettivo del legislatore è infatti quello di promuovere la massima autonomia individuale e l’integrazione scolastica viene propugnata per tutti e per ogni ciclo scolastico, compresa l’Università. Un aspetto centrale ed innovativo riguarda anche  la programmazione coordinata dei servizi scolastici con quelli sanitari, socio-assistenziali, culturali, ricreativi e sportivi, perché una reale integrazione poggia le sue basi sul coinvolgimento di tutto il territorio e la cittadinanza. Si inizia a parlare di diversità come valore e di conseguenza a rendere ciascun soggetto con disabilità protagonista della propria vita, in ogni suo aspetto, in vista di un progetto di vita futuro.

Con la legge 53/2003 e con il concetto di personalizzazione viene data ancora un’altra opportunità alla disabilità, in quanto la personalizzazione diviene elemento essenziale della costruzione dei processi di apprendimento, intesa come la realizzazione di percorsi diversi all’interno del curricolo della classe, percorsi che devono rispondere a precisi bisogni formativi dell’individuo, mettendo al centro del programma scolastico non le discipline tradizionalmente intese, ma l’alunno e quindi nel nostro caso specifico l’alunno diversamente abile che necessitava in certi casi di una personalizzazione degli apprendimenti.

Nel 2009 viene ratificata la CONVENZIONE ONU per i diritti delle persone con disabilità e viene introdotto il concetto di INCLUSIONE. Oggi, il termine “integrazione” scolastica è stato ormai racchiuso e sostituito dal termine “inclusione”: intendendo con questo il processo attraverso il quale il contesto scuola, attraverso i suoi diversi protagonisti (organizzazione scolastica, studenti, insegnanti, famiglia, territorio) assume le caratteristiche di un ambiente che risponde ai bisogni di tutti i bambini e in particolare dei bambini con bisogni speciali.

Non è più l’allievo ad adattarsi al contesto ma il contesto che tiene conto delle sue difficoltà. Successivamente vengono emanate ulteriori  leggi che approfondiscono la tematica sull’inclusione: la L. 170/2010 per gli alunni con disturbi specifici dell’apprendimento  e viene introdotto il concetto di BES, alunni con bisogni educativi speciali dalla Direttiva ministeriale del 2012, proseguita con la C.M. 8 del 2013 tra cui rientrano anche gli alunni con disabilità certificati dalla L. 104/1992. La disabilità ha acquisito oggi più visibilità grazie al maggiore interesse alla tematica, ma in realtà essa si presenta come una costante nella storia del genere umano ed è per questo che non va considerata in maniera negativa bensì come una risorsa per tutti noi.

Una società che parla di inclusione non può dunque escludere i diversamente abili dal loro progetto di vita, rilegando alla sola scuola il compito di abbattere le barriere mentali e lavorare per l’inclusione e la L.107 del 2015 e il Dlgs 66 del 2017 – Norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità – non possono restare semplicemente l’ultima novità  nell’ ambito dell’inclusione di tali soggetti.

Cosa  cambia di concreto con l’ultimo intervento legislativo in materia di inclusione e quali sono novità del Dlgs 66/17? Alcune di queste novità modificano significativamente il dettato della L. 104/92.  Ma basteranno per la vera inclusione dei futuri studenti con disabilità?

Il problema in realtà, non sarà tanto la creazione di una scuola inclusiva, quanto l’inserimento di tali soggetti in una società che purtroppo non possiamo ancora definire tale. Nell’età adulta, le politiche di inclusione sociale riguardano, anche l’aspetto occupazionale, oggi purtroppo ancora carente. E’ importante dunque, che si crei una vera e propria alleanza educativa che coinvolga tutti i soggetti interessati, dalla famiglia agli Enti locali perché la vera inclusione necessita ancora di comportamenti strategici e di coordinamento delle risorse economiche, finanziarie, strutturali e  professionali non solo di una buona organizzazione e gestione del sistema scolastico.

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