Da un passo di Seneca apprendiamo che già nella Roma di Nerone, il filosofo lamentava il modo di insegnare dei suoi tempi : “non scholae, sed vitae discimus“; ribadiva infatti, il sapiente, che non si studia per la scuola, ma per la vita…
Nulla di nuovo quindi sotto il sole, quando, con maggior senso critico e precisione didattica, si è tornati a porre l’accento su quanto sia importante lavorare nell’apprendimento senza perdere di vista quelle che devono essere le finalità dell’azione educativa: formare il cittadino, aprire la sua mente e il suo cuore (oserei dire), permettendogli di vivere in questa società complessa e in continuo divenire da vero protagonista positivo, ossia come “essere” consapevole di se stesso e delle sue potenzialità emotive e intellettive, empatico, aderente ai principi filantropici, in continua crescita culturale, come suggerisce lo stile cognitivo del long life learning, competente.
E’ un ideale di humanitas, in un certo senso, in cui si può leggere l’eco del terenziano homo sum, humani nihil a me alienum puto: sono un essere umano, non ritengo estraneo a me nulla di ciò che riguarda l’uomo, ma anche del panta rei di Eraclito: tutto scorre , tutto si trasforma e in questo processo di cambiamento siamo inseriti anche noi e rischiamo di diventare desueti se non ci adeguiamo ai cambiamenti e all’innovazione.
Nel panorama attuale, per la realizzazione del cittadino esemplare si affiancano due percorsi che finiscono per diventare complementari tra loro: la didattica per competenze e l’educazione emotiva.
L’efficacia dell’azione educativa diventa fondamentale e così gli elementi che contribuiscono a determinarla: l’aspetto tecnico, che cosa si fa; quello emotivo , come si fa; la motivazione, perché si fa qualcosa. (Stefano Centonze)
La didattica per competenze si concentra soprattutto sull’aspetto tecnico, sul “che cosa si fa“, ma offre anche risposte motivazionali e accompagna la scuola verso un percorso innovativo in cui il discente diventa protagonista del processo di apprendimento.
Nella didattica per competenze il docente figura come facilitatore; l’apprendimento diventa un fatto soprattutto sociale in quanto si prediligono sopratutto esperienze di peer tutoring, laboratorialità, gruppi cooperativi e discussione.
Viene privilegiata l’esperienza attiva , concreta, in contesti significativi e reali.
Torniamo ora all’aspetto emotivo.
Nel suo libro, L’ospite inquietante, il sociologo Umberto Galimberti osserva che l’uomo del nostro tempo ha indurito il cuore, quel nucleo caldo della sua identità, che nei primi anni della vita elabora le mappe emotive che in seguito lo guideranno, dettando i suoi atteggiamenti nel rapporto con se stesso e con gli altri.
Nei primi tre anni di vita il bambino deve essere ascoltato, seguito ed accudito con la massima attenzione da parte dei genitori, altrimenti penserà di non valere niente e il processo di elaborazione dell’identità personale verrà alterato. Un atteggiamento genitoriale positivo e presente permetterà di passare dall’impulso, ossia dal gesto di risposta istintivo ad uno stimolo emotivo, all’emozione vera e propria, consapevole di un processo e infine al sentimento, la forma più evoluta perché non è basata solo sull’emozione ma è un fatto anche cognitivo. Il sentimento infatti si apprende e consente di percepire il mondo esterno e gli altri in maniera adeguata.
Ed è a questo punto che entra in funzione la scuola. La letteratura ci insegna che cos’è l’amore, la noia, il dolore… se vogliamo che i ragazzi apprendano che cos’è il sentimento, dobbiamo motivarli, interessarli e coinvolgerli, appassionarli alla lettura.
Ora, se nel passato, intelligenza ed emozioni erano considerati quasi antonimi, recentemente la testa e il cuore sono considerate due facce della stessa medaglia, e si pensa che non possa esserci un comportamento intelligente senza le emozioni.
La storia del termine “intelligenza emotiva” sicuramente richiama l’opera di Howard Gardner, Formae mentis, che nel 1987 ha introdotto il tema delle intelligenze multiple, introducendo un’interessante riflessione sui molteplici aspetti dell’intelligenza.
Le intelligenze si classificano facendo riferimento a due grandi categorie: intrapersonali, manifestano la capacità di comprendere la propria interiorità, interpersonali, gestiscono in maniera intelligente le relazioni con l’altro.
Nel 1995 poi, Goleman nel suo best seller Intelligenza emotiva, definisce questo tipo particolare di intelligenza come un insieme di competenze fondamentali per saper bene affrontare la vita. Si tratta della capacità di motivare se stessi, persistere nel perseguire un obiettivo nonostante le frustrazioni, di controllare gli impulsi e rimandare la gratificazione, di modulare i propri stati d’animo, evitando che la sofferenza ci impedisca di pensare, di essere empatici e di sperare.
L’intelligenza emotiva si basa quindi su due grandi competenze:
una competenza personale: la consapevolezza e la padronanza di sé, la motivazione;
una competenza sociale: consiste nello stabilire relazioni con gli altri, nello sviluppo dell’empatia, nella capacità di saper indirizzare anche gli stati d’animo altrui.
E’ quindi evidente che questo genere di competenze aiutano a vivere meglio, guidano l’individuo nel raggiungimento dei propri obiettivi, nella comunicazione con gli altri, nella gestione dei conflitti, nel reagire di fronte alle difficoltà, nella guida di gruppi, mi riferisco alla leadership, ma anche a forme più semplici di management.
Ci sono quindi numerosi aspetti sui quali riflettere, perché l’azione didattica se non viene adeguatamente motivata e sostenuta a livello emotivo rischia di diventare “una cattedrale nel deserto”.
Sono nata a Roma, il 1 /11/1965. Sono entrata nella scuola molto presto e non ne sono più uscita. Mia madre era una maestra, aveva il dono di farsi voler bene dai suoi alunni e dai loro genitori, ricordo che, con notevole anticipo sui tempi, aveva convinto mio padre, innamorato di Londra e in servizio per vari anni all’ambasciata britannica, a dare lezioni di inglese ai bambini. Mi sono laureata in lettere nell’Aprile del 1992, all’Università “La Sapienza”, con una tesi in latino medioevale; il mio lavoro consisteva nella traduzione dal latino all’italiano del De Mirabilibus urbis Romae, di un certo magister Gregorius, un viaggiatore inglese in visita nella città eterna nel Xll secolo. Il matrimonio mi ha regalato tre figli, che sono la mia gioia e il mio tormento. Il più piccolo non ama molto la scuola, ha sedici anni ed è piuttosto “recalcitrante”; questa esperienza ha fatto nascere in me una certa attenzione per i ragazzi che nel loro percorso educativo incontrano delle difficoltà, ho imparato a guardarli con simpatia e soprattutto ho maturato la convinzione che ai loro piccoli passi bisogna dare un appoggio, sempre una motivazione e mai un motivo per lasciarsi andare. Dopo anni di precariato nella graduatoria del liceo scientifico, sono stata chiamata per ottenere il ruolo nella scuola media, in virtù del concorso del 1999. Ho accettato, ma mi sentivo insicura, provavo ansia all’idea di rapportarmi ai ragazzi di una fascia d’età diversa rispetto a quella ormai ben nota, alunni che avevo sentito definire da una collega “gnomi”, caotici e confusionari. Il primo giorno di scuola media da insegnante è un ricordo che ancora mi fa sorridere. Avevo portato una scheda per fare l’analisi di un testo guidata, così, pensavo: “almeno saranno impegnati a fare qualcosa”. Alla consegna del foglio sono uscite fuori dalle cartelle nell’ordine: matite colorate, forbici, colla: tutti al lavoro con fantasia. Mi hanno fatto anche molte domande… Nella scuola secondaria di primo grado sono rimasta fino al 2016, mi sono trovata benissimo , ho incontrato delle colleghe positive, con cui ho partecipato al consiglio di istituto, ho fatto progetti di teatro bilingue (italiano-inglese), ho partecipato alla commissione orientamento e a quella sull’inclusione. Ho accompagnato le classi ai campi scuola. Veramente ho avuto la possibilità di vedere aprirsi nuovi orizzonti. Nel 2011, alcune amiche e colleghe mi hanno invitato a tentare con loro il concorso per la dirigenza scolastica. Ho partecipato ad un corso di preparazione in presenza, ho fatto esperienza di nuove realtà, ma non mi sono sentita nemmeno di andare a tentare la preselettiva, perché mi facevano paura e tuttora è così, le responsabilità del dirigente scolastico. L’occasione si è poi riproposta ora. Non so che cosa farò, sempre combattuta, tra il desiderio di cambiare tutto e la consapevolezza delle difficoltà. Nel 2016, ho ottenuto il passaggio di ruolo, affrontando l’anno di prova, come previsto dal decreto 851 del 2015. Sono stata spinta al cambiamento, mossa dall’antico amore per la letteratura, ma anche dal fatto che i rapporti umani nella mia scuola non erano più gli stessi di quando ero arrivata. Di fronte alla nuova possibilità di tentare la dirigenza, mi sento ad un bivio. Vedremo. Comunque vadano le cose mi piace pensare sempre a nuovi obiettivi da realizzare. Vorrei concludere con la frase di un personaggio del cinema, Forrest Gump: “la vita è come una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita”.