Let’s start CLIL

di Giuseppina Mastropasqua

Il termine CLIL è stato introdotto da David Marsh e Anne Maljers nel 1994 ed è acronimo di Content Language Integrated Learning, ovvero una metodologia che integra l’apprendimento di una lingua straniera con una disciplina curricolare. La scelta del primo termine dell’acronimo da parte di Marsh non è stata casuale; nella metodologia CLIL, infatti, l’attenzione è focalizzata sul Content (C), con tale termine si indicano i contenuti-conoscenze di una disciplina non linguistica (DNL) che vengono “veicolati” in lingua straniera.

La distanza tra l’apprendimento tradizionale delle lingue straniere (soprattutto in Italia) e l’apprendimento delle lingue in un contesto CLIL è siderale.

“L’apprendimento delle lingue straniere si è spesso tradotto in una conoscenza formale con una forte carenza dell’aspetto comunicativo” (Mario Cardona).

Gli studenti italiani risultano avere scarse speaking skills e, come fa notare Marcella Menegale, hanno scarse possibilità di migliorarle durante una lezione tradizionale in cui il docente occupa la scena per il 90% del tempo. Una lezione CLIL, invece, crea un ambiente d’apprendimento diverso, ovvero, una lezione non focalizzata sul docente, ma sul discente.

Nel CLIL Learning environment gli studenti manipolano informazioni (ovviamente in L2), risolvono problemi, condividono idee e conoscenze, discutono soluzioni ed esaminano ipotesi: doing things through language. In tal modo, le communication skills vengono acquisite in modo più naturale e disinvolto (learning by doing).

Il Consiglio europeo di Lisbona 2000 e il Consiglio di Barcellona 2002 hanno individuato nella didattica CLIL uno strumento efficace per la diffusione del multilinguismo. Gli Stati membri si sono assunti, all’inizio del 3° millennio, l’impegno non più rinviabile di migliorare le opportunità di vita dei cittadini, aumentando la mobilità grazie a un migliore dialogo interculturale. Oggi la metodologia CLIL fa parte dell’offerta formativa a livello primario e secondario nella maggior parte dei paesi dell’Unione Europea.

L’introduzione del CLIL nella scuola italiana trova attuazione nelle Indicazioni Nazionali 2012 della scuola del 1° ciclo e nei D.P.R. 88 e 89/2010 (Regolamenti dell’assetto ordinamentale degli istituti tecnici e dei licei).

Nella scuola del 1° ciclo le Indicazioni nazionali 2012 sfiorano appena il CLIL, si legge infatti: “Si potranno inoltre creare situazioni in cui la lingua straniera sia utilizzata, in luogo della lingua di scolarizzazione, per promuovere e veicolare apprendimenti collegati ad ambiti disciplinari diversi”.

Nelle Indicazioni nazionali 2018 il CLIL diventa un auspicio e vi è scritto: “Viene quindi auspicata l’introduzione graduale della metodologia CLIL in tutti i gradi e ordini di scuola”.

L’esiguità di dettagli nelle Indicazioni nazionali lascia molto spazio alla libera iniziativa dei docenti italiani nell’implementazione dei moduli CLIL. Anche C. M. Coonan mette in risalto l’esistenza di “no ministerial (national or local)  indications that define standards and set up benchmarks for the CLIL programmes” e, esaminando la questione italiana, per non dire “all’italiana”, continua sostenendo: “Clil programmes are not submitted to a local board of experts for approval, thus the school that propose them are self referential. On account of this, any teacher can decide to set up CLIL”.

Il problema dell’aleatorietà dei programmi CLIL non cambia nella scuola del 2° ciclo. Anzi, nella scuola secondaria di 2° grado vi è anche una querelle tra docenti e dirigenti e tra docenti di DNL con specializzazione CLIL e docenti di lingua straniera.

Per dileguare qualche dubbio, si segua letteralmente il D.P.R. 88/2010, art 8, comma 2, lett.B, dove si parla di “Insegnamento in lingua inglese di una disciplina non linguistica compresa nell’area di indirizzo del quinto anno”; quindi, il CLIL negli istituti tecnici va adottato dai docenti che insegnano una disciplina dell’area di indirizzo. Negli istituti tecnici la metodologia CLIL viene adottata solo al 5° anno e solo in inglese. Il D.P.R. 89/2010, art. 10, comma 5 e 6 recita: “Nel 5° anno è impartito l’insegnamento in lingua straniera di una disciplina non linguistica compresa nell’area delle attività e degli insegnamenti obbligatori per tutti gli studenti o nell’area degli insegnamenti attivabili dalle istituzioni scolastiche nei limiti…”.

Si desume che nei licei le discipline che possono adottare la metodologia CLIL sono tutte le DNL (dalla storia dell’arte alle scienze motorie) e in qualsiasi lingua straniera. In tutti i percorsi liceali è prevista la metodologia CLIL al 5° anno, fa eccezione il liceo linguistico.

Nell’allegato D delle Indicazioni Nazionali dei Licei 2010 si dice testualmente: “Dal primo anno del secondo biennio è previsto l’insegnamento in lingua straniera di una disciplina non linguistica (CLIL), compresa nell’area delle attività e degli insegnamenti obbligatori per tutti gli studenti o nell’area degli insegnamenti attivabili dalle istituzioni scolastiche… Dal secondo anno del secondo biennio è previsto inoltre l’insegnamento, in una diversa lingua straniera, di una disciplina non linguistica”.

Anche la Legge 107/2015, comma 7, pone come obiettivo formativo prioritario “la valorizzazione e il potenziamento delle competenze linguistiche, con particolare riferimento all’italiano nonché alla lingua inglese e ad altre lingue dell’Unione europea, anche mediante l’utilizzo della metodologia Content language integrated learning”.

Urge sottolineare, tuttavia, che l’obbligatorietà dei Regolamenti e delle Indicazioni Nazionali è rimasta inattuata. Dalle ultime rilevazioni solo un quarto dei licei e degli istituti tecnici hanno ottemperato alla norma. Le motivazioni di tale inadempienza non sono un arcano tra docenti e politici italiani, ma si rinvia ad altri momenti e luoghi la spiegazione delle stesse. Si coglie solo l’occasione per sottolineare che se si vogliono fornire alle future generazioni le chiavi per un’interpretazione autentica della complessità della società contemporanea si deve essere in sintonia con quanto sostiene Siv. Bjorklund: “Access to knowledge was once for building our modern society; now access to knowledge through languages is important for giving people equal opportunities of being an active part of the pervasive internationalisation of all domains of life”.

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