Invalsi, ovvero come negare il sapere critico


Il caso recente del liceo classico più antico della Capitale che nel proprio rapporto di autovalutazione – il Rav, una sorta di vetrina online – riporta come nota di merito il fatto di non avere studenti stranieri, disabili e provenienti da famiglie svantaggiate, ha provocato sollevazioni in rete, sit-in davanti alla scuola, con la ministra Fedeli indignata che ha promesso ispezioni. Ma il problema rimane. E non si può risolvere scrivendo il Rav in modo politically correct.

Il problema è il fatto stesso che esiste il Rav, così come esiste il sistema di valutazione Invalsi che l’ha elaborato, e quell’insieme di certificazioni, moduli, quiz che misurano competenze e stabiliscono graduatorie, fotografando un frammento della vita della scuola e dello studente senza seguire a pieno un processo delicato e in movimento come quello educativo.

Se poi a questo aggiungiamo i bonus merito per gli insegnanti o il fatto che l’alternanza scuola lavoro ormai è codificata con tanto di tutor professionisti dell’Anpal, è chiaro che il problema è uno solo: la scuola sta diventando una specie di impresa con il preside manager e il suo staff che compila il Rav e mette in competizione l’istituto con altri per accaparrarsi le iscrizioni e quindi i fondi per sopravvivere. «Marketing scolastico» l’ha definito Alberto Baccini, docente di Economia politica all’università di Siena in un suo articolo sulla rivista Il Mulino

Fonte: Left
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